L’individuazione del momento rilevante per la valutazione dell’usurarietà degli interessi e degli ulteriori oneri economici connessi ad un finanziamento rappresenta un tema oggetto di acceso dibattito, sia in dottrina sia in giurisprudenza.

La legge 7 luglio 1996, n. 108, infatti, non indica espressamente il momento in relazione al quale debba essere effettuato il raffronto tra condizioni contrattuali e tasso soglia usura, lasciando quindi aperte diverse letture interpretative.

Si discute, in particolare, se la qualifica di usurarietà degli interessi debba riferirsi alla situazione esistente al momento della conclusione del negozio (con la conseguente irrilevanza di una eventuale successiva diminuzione dei tassi soglia), ovvero se sia necessario operare un continuo raffronto ed adeguamento dei tassi degli interessi di volta in volta maturati in relazione alle singole operazioni creditizie con i tassi soglia quali di tempo in tempo rilevati.

Tale dibattito non può ritenersi composto e potrebbe ricevere ulteriore linfa dalla recente sentenza della Cassazione dell’11 gennaio 2013, n. 892, in tema di “usura sopravvenuta”1.

Appare opportuno, sin da subito, evidenziare che, con l’espressione invalsa nella prassi di “usura sopravvenuta”, si indicano in realtà due distinti fenomeni.

Il termine usura sopravvenuta si utilizza, secondo una prima accezione, in relazione ai contratti che risultavano in corso al momento della entrata in vigore della l. 108/96, ma che erano sorti in un periodo antecedente alla citata legge.

Si parla di usura sopravvenuta, secondo una seconda accezione, in relazione alla pretesa necessità di procedere alla verifica di usurarietà delle condizioni contrattuali nel caso di tasso convenuto originariamente in misura lecita (ossia sotto soglia usura) ma che, per effetto di una sopravvenuta variazione in diminuzione del tasso soglia, sia divenuto successivamente superiore al tasso soglia rilevato di tempo in tempo.

In dottrina e giurisprudenza sono state ampiamente sostenute sia la tesi della rilevanza dell’usura sopravvenuta nelle due diverse fattispecie sopra richiamate, sia la tesi della irrilevanza dell’usura sopravvenuta.

Appare opportuno ricostruire le argomentazioni addotte a sostegno della tesi favorevole e della tesi contraria, prima di esaminare le conclusioni cui è giunta la Cassazione nella richiamata pronuncia dell’11 gennaio 2013, n. 892.

Parte della dottrina e della giurisprudenza ritengono rilevante la c.d. usurarietà sopravvenuta degli interessi che, ancorché pattuiti lecitamente (al di sotto del tasso soglia ovvero in assenza di tasso soglia), dovessero risultare in seguito superiori al tasso soglia rilevato al momento della corresponsione delle somme da parte del debitore2.

In base a tale interpretazione, la valutazione di usurarietà deve essere rapportata non al momento di perfezionamento del negozio, bensì al momento del pagamento degli interessi, ovvero (secondo una diversa lettura) al momento della relativa maturazione.

A favore di tale ricostruzione si richiama, in primo luogo, la rilevanza penale della percezione di interessi superiori al tasso soglia, da cui conseguirebbe la nullità parziale sopravvenuta per contrasto con la normativa imperativa penale, ovvero l’inefficacia sopravvenuta della clausola determinativa di interessi pur originariamente lecita. Si osserva, altresì, come il termine di prescrizione del reato di usura, ai sensi dell’art. 644 ter c.p., decorra con l’ultima dazione o pagamento di interessi.

Sempre secondo la tesi dell’ammissibilità della c.d. usurarietà sopravvenuta, nel caso in cui gli interessi originariamente pattuiti al di sotto del tasso soglia superino tale limite nel corso del rapporto sarebbe inapplicabile l’art. 1815 c.c. e, di conseguenza, il tasso dovrebbe essere ridotto al limite del tasso soglia rilevato di tempo in tempo, in virtù del meccanismo di integrazione legale del contratto previsto dall’art. 1339 c.c.3.

In base ad una diversa ricostruzione, ma sempre a sostegno della tesi della rilevanza dell’usura sopravvenuta, è stato rilevato che “se la soglia è superata al momento dell’obbligazione, per tutto quanto la superi cessa l’obbligo di adempimento (…), la fonte che costituisce quel diritto diviene in effettuale (…). Come si vede, in tema di clausola interessi originariamente non usuraria, per ritenere la sua perdurante effettività nei limiti dei tassi soglia non è affatto necessario (ed è invece fuorviante) riferirsi a meccanismi legali di sostituzione (per giunta di una clausola con il nulla)”4.

Altra autorevole dottrina, da ultimo, ha evidenziato come l’applicazione di interessi superiori al tasso soglia, da un lato, non sarebbe meritevole di tutela ex art. 1322 c.c. ed, al tempo stesso, risulterebbe in contrasto con il canone di buona fede oggettiva che impone di ridurre gli interessi nei limiti consentiti per legge e quali di tempo in tempo fissati.

A favore della tesi dell’ammissibilità dell’usura sopravvenuta, pare opportuno richiamare anche una recente decisione dell’Arbitro Bancario e Finanziario, Collegio di Roma, secondo cui “il superamento del tasso soglia sopravvenuto all’entrata in vigore della legge n.108 del 1996 non determina la configurazione del reato di usura, né comporta la nullità della relativa clausola contrattuale ai sensi dell’art. 1815, comma 2 c.c.. Tuttavia, il Collegio ritiene che l’applicazione dei tassi superiori alla soglia di usura, benché non sanzionabile, sia tuttavia in contrasto con l’art. 2 della citata legge n. 108/1996, norma imperativa sopravvenuta ispirata ad un generale principio di non abuso del diritto, che impone l’adeguamento degli interessi a suo tempo stipulati in modo che non risultino in contrasto con la norma stessa (cfr. in tal senso Trib. Milano 15.10.2010). L’applicazione di interessi superiori alla soglia di usura, dopo l’entrata in vigore della legge n. 108/1996, evidenzia altresì un comportamento contrario a buona fede, sicché anche sotto questo profilo si impone una rideterminazione degli stessi entro i limiti della soglia di usura”.

E questa è una tesi a favore della usura sopravvenuta,sia chiaro.

Secondo una diversa ed opposta lettura interpretativa, il momento rilevante per la verifica dell’usurarietà delle condizioni contrattuali rispetto al tasso soglia è da individuarsi (unicamente) in quello della conclusione del contratto.

Autorevole dottrina penalistica ha con enfasi rilevato che “il fuoco della norma penale è ancora oggi il momento della pattuizione” e, precisamente, della determinazione convenzionale del corrispettivo usurario.

In sostanza, il contratto validamente concluso che prevede condizioni al di sotto del tasso soglia non è inficiato dalla successiva dinamica della determinazione dei tassi soglia anche nel caso di ribasso degli stessi.

A fondamento di tale interpretazione, anche con riferimento ai contratti in corso al momento dell’entrata in vigore della l. 108/96 ma sorti in un periodo antecedente, si richiama, in primo luogo, l’art. 1 della legge 28 febbraio 2001, n. 24, concernente interpretazione autentica della legge 7 marzo 1996, n. 108 che, al dichiarato fine di comporre l’acceso dibatto in materia di usura, ha espressamente indicato quale momento determinante ai fini della valutazione di usurarietà il “momento in cui (gli interessi) sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo, indipendentemente dal momento del loro pagamento”.

In particolare, dalla Relazione governativa di accompagnamento al decreto legge 29 dicembre 2000, n. 394, successivamente convertito, con modifiche, nella legge 24/2001, emergerebbe che l’intento del legislatore era quello, da un lato, di escludere la possibilità di applicare la l. 108/1996 ai contratti conclusi prima della sua entrata in vigore, dall’altro, di escludere l’ammissibilità dell’ipotesi della cd. “usura sopravvenuta” concernente i contratti stipulati dopo l’entrata in vigore della l. 108/199610.

A sostegno della tesi dell’irrilevanza dell’usura sopravvenuta, inoltre, si evidenzia che l’art. 1815, comma 2, c.c. riferisce la nullità della pattuizione al momento in cui sono “convenuti interessi usurari”.

Ancora a sostegno di tale tesi, si richiama la sostanziale iniquità di una diversa interpretazione in quanto, qualora l’obbligazione di pagamento degli interessi fosse influenzata da un dato accidentale, imprevedibile ed esterno alla volontà delle parti, quale la riduzione del tasso soglia, la banca creditrice di interessi convenzionalmente fissati ab origine ad un tasso inferiore al tasso soglia rilevato al momento della conclusione del contratto, non sarebbe mai sicura di ottenere quanto contrattualmente e lecitamente convenuto con il cliente. La banca creditrice sarebbe, in sostanza, esposta oltre al rischio insito ai contratti a prestazione corrispettiva di durata, anche all’alea collegata al modificarsi al ribasso del tasso soglia.

Con particolare riferimento ai contratti di mutuo, inoltre, ove si acceda alla tesi (peraltro contrastata) che l’obbligazione di pagamento del mutuatario non sorge di volta in volta alla scadenza delle singole rate, bensì istantaneamente ed unitariamente al momento della consegna della somma mutuata dalla banca al cliente, risulterebbe evidente che la verifica di usurarietà della unitaria obbligazione di pagamento del cliente – mutuatario, sebbene possa prevedere un piano di pagamento diluito nel tempo, dovrebbe necessariamente essere condotta con riferimento al momento della conclusione del contratto di mutuo, rimando indifferente alle successive variazioni del tasso soglia.

Ulteriore sostegno alla tesi dell’inammissibilità della c.d. usurarietà sopravvenuta per riduzione del tasso soglia si può trarre dalle Istruzioni della Banca d’Italia per la rilevazione del tasso effettivo globale medio, che prevedono per i mutui e gli altri contratti di credito che “sono assoggetti alla rilevazione (…) esclusivamente i nuovi rapporti di finanziamento accessi nel periodo di riferimento”12.

Anche l’Arbitro Bancario e Finanziario, in particolare il Collegio di Milano, ha sostenuto la tesi dell’irrilevanza dell’usura sopravvenuta in quanto sarebbero “irrilevanti, al fine di verificare se gli interessi applicati siano usurari, le eventuali variazioni che intervengano nella determinazione periodica dei tassi soglia (…). Ne consegue che gli interessi, che al momento della stipula del contratto che li contempla non sono usurari, non possono in alcuno modo divenirlo in un momento successivo. Ciò si evince chiaramente anche dal disposto dell’art. 1815, 2° comma, cod. civ., che commina la nullità, originaria, della clausola con cui sono convenuti interessi usurari. L’indagine deve quindi essere condotta verificando la legittimità degli interessi che erano stati stipulati nel contratto”.

Mentre questa tesi è contraria all’usura sopravvenuta.

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Quasi in sordina, la Cassazione con la sentenza dell’11 gennaio 2013, n. 892 potrebbe riaprire un rilevante fronte di contenzioso tra banche e clienti con specifico riferimento alla tematica dell’usura sopravvenuta.

Occorre premettere ed evidenziare che, nella citata sentenza del gennaio 2013, la Suprema Corte è stata chiamata a pronunciarsi in relazione ad un rapporto di conto corrente sorto prima della legge 7 marzo 1996, n. 108. Si tratta, evidentemente, di una questione di jus superveniens.

La Suprema Corte, esclusa la possibilità di applicare in modo retroattivo la legge 7 marzo 1996, n. 108 ed affermata, quindi, la validità delle originarie clausole contrattuale relative agli oneri economici convenuti tra le parti, ha escluso la possibilità di procedere con l’automatica sostituzione del tasso originariamente determinato tra le parti con il tasso legale. Ad avviso della Suprema Corte, “trattandosi di rapporti non esauriti al momento dell’entrata in vigore della L. 108” occorre piuttosto procedere, ai sensi degli articoli 1419, secondo comma, c.c. e 1339 c.c. attraverso “l’inserzione automatica di clausole, in relazione ai diversi periodi, dai tassi soglia”.

Si tratta di una motivazione alquanto abborracciata.

Non convince, in primo luogo, il richiamo alle ipotesi di nullità parziale ex art. 1419, comma 2, c.c. in quanto, si tratterebbe di una sanzione (la nullità appunto) che colpirebbe non il momento genetico del rapporto, quanto il comportamento delle parti nella fase di esecuzione.

La stessa pronuncia, del resto, non spende parola sull’ampio dibattito, evidenziato in precedenza, relativo al tema dell’usura sopravvenuta, al fine di superare le contrapposizioni o fornire quantomeno una nuova ricostruzione sistematica.

Appare possibile concludere che, con la sentenza dell’11 gennaio 2013, n. 892, la Suprema Corte si è limitata di fatto a riproporre il tema, schierandosi a favore della tesi della rilevanza dell’usura sopravvenuta (con riferimento ai rapporti sorti prima della legge 7 marzo 1996, n. 108), con una motivazione davvero “timida”.

Qui invece parliamo della sentenza in Cassazione del gennaio 2013.

Le tesi sopra richiamate, favorevole e contraria alla rilevanza dell’usura sopravvenuta, presentano entrambe argomentazioni in parte condivisibili, ma anche evidenti limiti irrisolti.

Si potrebbe discutere ancora molto se debba prevalere un orientamento “formalistico” e contrario all’usura sopravvenuta, ovvero un orientamento “sostanzialistico” e favorevole alla tesi della rilevanza dell’usura sopravvenuta, con le diverse e richiamate declinazioni circa le conseguenze ed i corretti rimedi esperibili.

La sensazione, peraltro, è che tale impostazione del discorso non abbia condotto molto oltre rispetto alle posizioni estreme e sempre più radicatesi nel corso degli ultimi anni.

Pare, quindi, opportuno provare a “risalire la china”, per individuare quali debbano essere gli interessi preminenti.

In primo luogo, a favore della tesi dell’usura sopravvenuta, sarebbe difficile contestare l’oggettiva disparità di trattamento che si verifica tra un cliente che, pur sulla base di condizioni validamente pattuite al di sotto del tasso soglia, a seguito di una variazione in diminuzione dello stesso parametro, sia chiamato a corrispondere oneri superiori rispetto ad altro (nuovo) cliente della stessa banca che, beneficiando della medesima variazione negativa del tasso soglia, sia tenuto a corrispondere oneri in misura inferiore.

Si pone, quindi, la questione principale se siffatta situazione di oggettiva disparità di trattamento, reale ed incontestabile, possa trovare “giustificazioni” valide e di carattere sistematico-generale, ossia sovraordinate all’interesse particolare dei protagonisti di una singola relazione contrattuale.

Facile (quanto dovuto) appare in primo luogo il richiamo al dato di diritto positivo rappresentato dal decreto legge 29 dicembre 2000, n. 394, successivamente convertito, con modifiche, nella legge 24/2001, ossia alla legge di interpretazione autentica che, al dichiarato fine di comporre l’acceso dibatto in materia di usura, ha espressamente indicato quale momento determinante ai fini della valutazione di usurarietà il “momento in cui (gli interessi) sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo, indipendentemente dal momento del loro pagamento”. Tale norma, che ha superato il vaglio di costituzionalità, evidentemente ha assunto quale rilevante in via prevalente l’interesse generale di stabilità del sistema.

Ma vi sono ulteriori considerazioni che risultano dovute. In primo luogo si provi ad immaginare quale potrebbe essere il comportamento (o la reazione) del sistema bancario dinanzi ad un’affermazione della rilevanza della tesi dell’usura sopravvenuta. Nessuna banca o intermediario finanziario, al momento della concessione del credito a tasso fisso, potrebbe stimare e ponderare il rapporto rischio-rendimento, con una evidente implicazione negativa di carattere sistematico – generale riferita alla stabilità delle banche e degli intermediari finanziari.

Le stesse banche e intermediari potrebbe decidere di limitare fortemente l’erogazione, ad esempio, di muti a tasso fisso, in quanto non vi sarebbe certezza circa i relativi ricavi. Una seconda conseguenza negativa, sempre di carattere generale e sistematico, colpirebbe, quindi, il mercato del credito ed, in ultima istanza, proprio i clienti finali.

Si impone, infine, una terza considerazione. La rilevazione del tasso soglia si basa su una complessa procedura che muove attraverso le rilevazioni effettuate dalla Banca d’Italia che hanno ad oggetto i nuovi rapporti di finanziamento accesi nel periodo di riferimento. In sostanza, il momento decisivo anche ai fini della rilevazione del tasso effettivo globale medio è individuato nel momento della conclusione del contratto. Come la Cassazione ha ripetutamente affermato, le metodologie di rilevazioni utilizzate da Banca d’Italia non possono “sostituirsi” alla normativa di riferimento (si veda il caso degli interessi di mora), ma cionondimeno appare evidente che ove si ritenesse rilevante ai fini della verifica di usura non solo il momento di conclusione del contratto, ma anche il momento del pagamento o della maturazione degli oneri a carico del cliente, gli attuali schemi segnaletici di Banca d’Italia ne risulterebbero compromessi e sarebbe, quantomeno, necessario procedere ad una modifica degli stessi schemi segnalatici e di rilevazione.

In conclusione, le richiamate considerazioni di carattere sistematico e generale, il dato di diritto positivo rappresentato dalla legge di interpretazione autentica, unitamente all’attuale struttura del sistema di rilevazione del tasso effettivo globale medio, paiono deporre e fondare la tesi dell’inammissibilità dell’usura sopravvenuta.

Sappiamo perfettamente che il diritto bancario non è facile da capire,ma speriamo ugualmente di essere stati chiari.

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(lo staff)