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Eccoci di fronte un ‘altro caso,dove le banche applicano tassi di usura, e l’imprenditore o il cittadino in questione viene risarcito, ma cerchiamo di spiegare meglio ciò che è successo la vicenda si svolge a Prato il mese scorso.

La banca pensa di essere in credito di 116mila euro e invece viene condannata a pagarne 310mila. Bello scherzo, è ciò che è successo in una sentenza di primo grado nella causa civile che ha visto di fronte la curatela del fallimento di un noto gruppo tessile con sede a Prato e Montale è un istituto di caratura nazionale. La storia antecedente è semplice, un gruppo fallisce e la banca viene ammessa allo stato passivo per una determinata cifre,in questo caso circa 35mila euro.

L’istituto però si oppone perchè ritiene di dovere avere di più oltre 116mila euro.

Lo svolgimento va avanti e viene redatta una perizia tecnica che per la banca riserva una sorpresa,visto che siamo in periodo natalizio,non solo le cifre richieste non tornano, ma è addirittura debitrice dell’azienda per aver applicato tassi usurari ed aver preteso spese e commissioni non dovute.
A quel punto,l’incaricato della cura del fallimento,porta la causa davanti alla sezione civile per quantificare esattamente l’importo dovuto; la cosa viene ulteriormente approfondita e la cifra e la cifra che salta fuori è stupefacente: 309mila euro.

Nella sentenza c’è un passaggio che riporta la perizia stessa: “il tasso di interesse passivo effettivamente applicato dalla banca considerando l’intero ammontare delle competenze rivenienti dai c/c anticipi e c/sovvenzioni, risulta superiore al tasso soglia e di conseguenza gli interessi addebitati devono considerarsi usurari.”

Per questo il perito nella sua relazione determina in 309mila euro la cifre che la banca dovrebbe corrispondere alla curatela “tenendo conto dell’interno ammontare delle competenze,spese e commissioni scaturenti dagli ulteriori conti correnti”,oppure in 83mila nel caso dovesse essere considerato un unico conto corrente.

Al termine delle sue valutazioni il giudice ha ritenuto “di dover optare per la prima soluzione”

Non solo leggendo la sentenza il giudice si spinge a fare una considerazione che qua riportiamo: “Le clausole relative alla commissione di massimo scoperto presenti nei contratti bancari si limitano genericamente ad indicare la percentuale di commissione di massimo scoperto applicata al conto,senza specificare su quali importi e per quali periodi venga applicata.Ne deriva che anche il contratto fra l’azienda e la banca fosse da considerare nulla non risultando in alcun modo specificato per quali importi,per quali periodi e in base a quali criteri fosse applicata la clausola. Infatti un contratto per essere valido richiede che l’oggetto sia determinato o determinabile,diversamente risultando impossibile, per il cliente,comprendere la reale entità della commissione e verificarne la corretta applicazione da parte dell’istituto di credito”

In questo caso l’applicazione di suddetta causola aveva determinato un debito per l’azienda di oltre 15mila euro.

Dunque alla fine il giudice ha condannato la banca al pagamento di 310mila euro,tra tassi usurari,spese e commissioni non dovute,i difensori dell’istituto hanno presentato appello nel frattempo però la banca ha pagato.

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(di staff)