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Sicuramente gli Arabi i numeri li conoscono, i ragionamenti loro li sanno fare, l’evoluzione economica potrebbe portare a copiare chi ha successo e specula molto meno di noi Europei.

L’invito è quello di leggere tutto fino all fine, per capire il meccanismo economico finanziario.

Interpellata l’associazione DECIBA :

www.deciba.it

Andiamo nel pratico, un mutuo di 30 anni costa al cliente quasi il doppio, il modello Islamico è completamente diverso, si paga una commissione iniziale e poi si restituisce il denaro, semplice, verificabile, possibile per tutti, il risparmio finale sarebbe di oltre il 70% . Un modello facile che andrebbe a togliere quei miliardi che le banche speculano annualmente.

Il tema è stato affrontato nei giorni scorsi da un workshop promosso dallo studio legale Nctm, al quale hanno partecipato Vincenzo Amendola, sottosegretario agli Esteri, Stefano Loconte, avvocato consulente della Commissione Finanza della Camera dei Deputati, Maria Alessandra Freni, della Banca d’Italia,Stefano Padovani, dello studio Nctm, Marco Causi, deputato PD in Commissione Finanze , e Franco Carraro, Forza Italia, vice presidente della Commissione Finanze del Senato.
L’interesse dei paesi musulmani con eccedenza di capitali a investire in Europa è rafforzato dalla particolare fase economica che vivono gli esportatori di petrolio, colpiti da un prolungato declino del prezzo del greggio, le cui cause strutturali, al di là della guerra al ribasso scatenata dall’Arabia saudita in funzione anti-Iran, sono destinate a durare: da qui l’esigenza di diversificare le economie dei paesi produttori verso il settore dei servizi e l’interesse ad investimenti nel medio e lungo periodo, diversificando anche geograficamente i propri investimenti.

D’altra parte, la finanza islamica cresce ad un ritmo del 20% annuo e i capitali che movimenta hanno superato i 2.000 miliardi di dollari.

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La finanza islamica segue regole sue specifiche, richiedendo – almeno teoricamente – un forte legame con le attività produttive e l’economia reale. La speculazione dovrebbe dunque essere bandita, partendo dal presupposto che “non si può vendere ciò che non si possiede”. L’investimento deve perciò avere un qualche legame, più o meno diretto, con una sottostante realtà imprenditoriale e il profitto deve configurarsi come partecipazione al rischio d’impresa. Un esempio, derivante dallo strumento contrattuale denominato Muharaba. Se una banca islamica deve finanziare la compravendita di un immobile, non eroga un mutuo ma acquista il bene e lo rivende al compratore finale ad un prezzo maggiorato, cedendo subito l’utilizzo del bene e rateizzando il pagamento del corrispettivo. Il profitto della banca è legato alla triangolazione del trasferimento del bene e al relativo surplustra le due transazioni, e non alla determinazione di un interesse sul capitale. Come è stato evidenziato nel convegno, questo crea problemi a fronte della normativa fiscale italiana, ad esempio l’acquirente finale dell’immobile si troverebbe a dover giustificare un prezzo d’acquisto superiore al valore di mercato perché inclusivo di fatto di quelli che, dal punto di vista di un normale mutuo, sarebbero gli interessi sul capitale prestato.
In realtà, è stato sottolineato nel convegno, gli aggiustamenti alla normativa italiana non sarebbero di difficile realizzazione è stata infatti ricordata una presa di posizione della Consob che nel 2014 ha giudicato la finanza islamica “non incompatibile con la disciplina italiana dei mercati finanziari in quanto poggia su un insieme di regole oggettive che prescindono dalla connotazione etica o religiosa”. Anche il Codice Civile (art. 1322) consente di concludere contratti atipici, a condizione che “siano diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico”.

Insomma, le condizioni per rendere possibile la finanza islamica anche in Italia esistono, tanto che se ne sta occupando un gruppo di lavoro della Commissione Finanza della Camera dei Deputati.

Dal convegno è anche emersa la proposta dell’emissione di titoli di Stato secondo le regole della finanza islamica: si tratterebbe di un’operazione di cartolarizzazione da parte del patrimonio immobiliare, che assumerebbe le caratteristiche del sukuk, i cosiddetti bond islamici. Data la proibizione degli interessi, le obbligazioni devono infatti assumere la forma di co-partecipazione alla proprietà di asset tangibili. E nell’ipotesi proposta, questi asset sarebbero immobili di proprietà statale, comprati e rivenduti da una società costituita ad hoc, le cui quote di partecipazione sarebbero acquistate dagli investitori.