Molti pensano che contro la banca non si vinca,questa ipotesi si fa per l’inefficienza dei media tradizionali,noi quasi tutti i giorni vi pubblichiamo sentenza a favore dei cittadini ,aiutateci a diffondere l’informazione . ESCLUSIVO COMMENTO DEL PRESIDENTE GAETANO VILNO E L’AVVOCATO ROSA CHIERICATI 23 Agosto 2014 – ORDINANZA Sospensione della provvisoria esecutività del Decreto Ingiuntivo L’art. 117 T.U.B. esige la forma scritta ad substantiam per la validità delle clausole economiche del rapporto bancario. In mancanza di produzione del contratto, manca la prova della legittimità degli addebiti e della formazione del saldo. Nel contratto di finanziamento, ove sia indicato un ISC che non tenga conto di tutti i costi collegati al’erogazione del credito, viene violata la legge sulla trasparenza e gli obblighi di determinatezza del tasso, derivandone la nullità. Con un’ordinanza che si inserisce nel solco ormai profondo tracciato dalla Giurisprudenza di legittimità degli ultimi 15 anni, e in perfetta applicazione del precetto legislativo, il Tribunale di Rovigo, sospende la provvisoria esecuzione di un decreto ingiuntivo di circa Euro 89.000 costituito dal’apparente saldo a debito di un conto corrente e di un apparente debito residuo di un finanziamento, sia nei confronti del debitore principale, sia nei confronti del fideiussore. La Banca ha omesso di produrre il contratto di conto corrente, nonostante sia stata svolta piena eccezione in tal senso, ed abbia avuto tutto il tempo per farlo, a nulla rilevando la produzione in giudizio di tutti gli estratti conto. Il Giudice, infatti, osserva che l’art. 117 T.U.B. impone la forma scritta ad substantiam per i contratti bancari e la mancata produzione del contratto di conto corrente impedisce in origine la legittimità degli addebiti a titolo di interessi, spese e commissioni di qualunque genere. Del pari, ove in un finanziamento l’Indicatore Sintetico di Costo sia inferiore a quello effettivamente applicato per effetto dei costi collegati al’erogazione del credito sono violate le norme in tema di trasparenza e di determinatezza del tasso. Sussistono pertanto i presupposti di fumus e di periculum per la sospensione della provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo.
La Banca aveva ottenuto il Decreto Ingiuntivo, per di più provvisoriamente esecutivo, al di fuori delle previsioni di legge. Rimescolando le carte, aveva tentato di far passare per “contratto” un documento diverso, costituito da una modifica di condizioni di contratto sottoscritta nel 2006. Il conto corrente, tuttavia, era iniziato nel 2002. Non solo. Questo conto era stato aperto con un nuovo numero presso una filiale di nuova apertura, più vicina al correntista, in corrispondenza della chiusura del vecchio conto corrente intrattenuto in precedenza presso una filiale diversa e attivo da molti anni. Il vecchio conto, tra l’altro, era assistito dalla fidejussione della moglie di questo correntista. La banca si è dimenticata di far sottoscrivere al suo cliente il nuovo contratto pur aprendogli un nuovo conto e con il fido accordato al nuovo, subito dopo l’apertura, andava ad azzerare ed estinguere il vecchio nella precedente filiale. Giunti al punto di criticità 11 anni dopo, la Banca, accorgendosi di non avere il contratto non si è certamente fermata. A tutti i costi, anche falsificando documenti, ha voluto ottenere il Decreto Ingiuntivo, per di più provvisoriamente esecutivo, pur sapendo di non averne diritto. Da un lato ha tentato di far passare per contratto, ciò che contratto non era, dal’altro lato ha modificato alcuni dati della fidejussione della moglie (luogo e data di emissione), che invece era estinta molti anni prima con l’estinzione del vecchio conto utilizzandola per il nuovo conto corrente che invece era sprovvisto di garanzie. Il Giudice, in prima battuta, il Decreto Ingiuntivo l’ha concesso, ma poi non si è fatto prendere in giro una seconda volta, ed ha prontamente sospeso l’esecuzione. Non è la prima volta che accadono fatti del genere, ormai è pane quotidiano: contratti falsificati, firme false, firme di ratifica di vecchi contratti sconosciuti che i direttori di banca, truffando su ordine dei propri superiori, ottengono dai clienti ignari raccontando loro che sono per conformare la documentazione alla legge e via di seguito in una serie infinita di truffe che le banche compiono ogni giorno in danno dei clienti dopo aver sottratto loro illecitamente denaro per decenni. Il provvedimento in commento è chiaro e lineare nel’applicare la legge e nel seguire gli indirizzi interpretativi forniti dalla Cassazione. Ed è proprio tale chiarezza e linearità a dare forza e conforto a tutti coloro i quali abbiano subito furti, appropriazioni indebite e truffe mascherate, da parte delle banche perché dà a tutti la consapevolezza che in ogni momento si può smettere di vivere nel’ansia e nel terrore perché se si vuole cambiare rotta e fare valere i propri diritti nei confronti delle banche, oggi si può.
Ma che cosa è esattamente un mutuo?oggi ai nostri lettori cerchiamo di spiegare che cosa è un mutuo e che cosa comporta.
Il mutuo è un contratto mediante il quale una parte, detta mutuante, consegna all’altra, detta mutuataria, una somma di denaro o una quantità di beni fungibili, che l’altra si obbliga a restituire successivamente con altrettante cose della stessa specie e qualità.
Si tratta di un contratto reale e può essere sia a titolo gratuito sia a titolo oneroso (detto anche mutuo feneratizio), che si perfeziona con la consegna al mutuatario. È inoltre un contratto tipico la cui nozione è accolta nell’ordinamento giuridico italiano dall’art. 1813 del Codice Civile. La fattispecie regolata dall’art. 1813 è esclusivamente quella del mutuo gratuito, da non confondersi con i mutui finanziari, che possono validamente concludersi con il mero consenso.
Una tra le figure più diffuse nella prassi è il mutuo immobiliare, concesso per soddisfare esigenze di denaro in qualche modo collegate all’acquisto di un bene immobile per compravendita (o, nel caso di fabbricati, anche per costruzione). Il giorno della compravendita, in presenza di acquirente, venditore, e funzionario della banca, il notaio pubblica due atti: il rogito che trasferisce la proprietà dell’immobile, e l’atto di mutuo immobiliare fra banca e acquirente, allegando il piano di ammortamento.
Una particolare forma di mutuo immobiliare è il mutuo fondiario: si tratta di un mutuo immobiliare con particolari caratteristiche di durata (superiore a 18 mesi) e rapporto tra somma mutuata e valore della garanzia (non superiore all’80% secondo la legislazione vigente).
In applicazione della precedente normativa sul credito fondiario, mutuo fondiario poteva venir concesso soltanto da alcuni (pochi) istituti di credito espressamente autorizzati, che svolgevano tale attività in via principale o disponevano al loro interno di una apposita Sezione Autonoma di Credito Fondiario (SACF); in seguito, anche in considerazione della crescente presenza di operatori stranieri sul mercato specifico, tale forma tecnica è stata consentita a tutti gli intermediari finanziari.
In ogni caso, il mercato dei mutui oggettivamente resta pesantemente sbilanciato in favore dei mutuanti (in genere le banche), che propongono i loro prodotti in forma di offerta unilaterale, con scarsissimo margine di negoziabilità da parte del mutuatario in ordine alle condizioni economiche ed alle altre condizioni contrattuali. L’attività di ricerca e mediazione tra banca e cliente viene svolta dal mediatore creditizio. È vero per contro che lo snellimento delle procedure ha consentito la presentazione di una gamma di prodotti di buona articolazione. Essendo contrattualizzato, non è modificabile unilateralmente da una delle parti.
Il mutuo bancario è la forma più diffusa di mutuo ed è quel prestito erogato da un istituto di credito, solitamente per importi di un certo rilievo, contro la prestazione di una garanzia. Il caso tipico è il mutuo richiesto e concesso per agevolare il mutuatario nell’acquisto di un immobile, ma vi sono anche altri tipi di mutuo, distinti per finalizzazione dell’erogazione:
mutuo edilizio, concesso per finanziare la costruzione di un immobile mutuo per ristrutturazione, concesso per finanziare importanti opere di riordino di beni immobiliari mutuo per liquidità, concesso per particolari esigenze di disposizione di ingenti somme di denaro. mutuo chirografario o chirografico, un prestito non vincolato a particolari garanzie, equivale ad un prestito personale se erogato ad un privato, o ad un mutuo a medio termine (pochi anni) se erogato ad una azienda.
Esistono forme di finanziamento agevolato, non necessariamente riferite ad un rapporto di mutuo in senso giuridico, per le quali lo stato o gli enti locali possono prevedere l’applicazione di condizioni favorevoli per consentire l’accesso alla proprietà immobiliare dei nuclei familiari svantaggiati. Queste opportunità sono in genere riferite all’acquisto della prima casa d’abitazione. Le condizioni più frequentemente attinte da queste operazioni riguardano i tassi, la percentuale erogabile sul valore di perizia dell’immobile, la deducibilità degli interessi passivi, i requisiti di reddito richiesti. Talvolta alcuni enti pubblici possono direttamente operare questi finanziamenti (in Italia era ad esempio il caso della Cassa Depositi e Prestiti). Queste forme di finanziamento sono nel parlare comune non di rado confuse nel termine “mutuo”, sebbene da un punto di vista giuridico questa denominazione non sia sempre corretta.
Procedure più consuete di erogazione di mutuo immobiliare
Il contratto di mutuo, fra tutti i contratti tipici, sviluppa una delle più articolate e complesse fasi preparatorie (precontrattuali). Stante una certa libertà consentita alle parti, la sequenza delle azioni che conducono all’erogazione potrebbe variare anche di molto da caso a caso, ma la scaletta più frequentemente riscontrabile si può così riassumere:
Apertura dell’istruttoria: l’aspirante mutuatario presenta la richiesta di concessione di mutuo, indicando tutti i dati tecnici ed economici necessari al mutuante per la valutazione preliminare della domanda e che riguardano tanto l’aspetto soggettivo (condizioni economiche del richiedente) quanto quello finalistico (scopi della richiesta del mutuo – es. acquisto di casa); accessoriamente si produce tutta la documentazione accessoria eventualmente opportuna (compromesso, atto di provenienza del bene da acquistare, documentazione catastale, etc.) Perizia ed altri accertamenti: il bene presentato a garanzia del credito deve essere esaminato da un perito di fiducia del mutuante, il quale deve individuarlo con precisione, descriverne consistenza e caratteristiche giuridiche e tecniche ed indicarne il valore (v.oltre); a seconda dei casi possono svolgersi altri accertamenti, in ordine a particolari situazioni di fatto e di diritto. Il perito, in genere, è un esperto di estimo catastale, e appartiene a una società di servizi o svolge la libera professione. Raramente è dipendente dell’istituto di credito. Chiusura dell’istruttoria: l’istruttoria, a seguito dell’esame di tutte le condizioni economiche e di diritto riguardanti la qualità del soggetto richiedente e della garanzia proposta, si chiude ovviamente con la delibera di concessione ovvero con la mancata concessione; in quest’ultimo caso, si registra che la comunicazione al mutuatario di non accoglimento della domanda è più frequentemente trasmessa in modo del tutto informale e che la maggior parte delle istruttorie non andate a buon fine non hanno una chiusura formale. Atto di mutuo: con l’atto di mutuo (che per i casi di compravendita è in genere erogato contemporaneamente all’atto di compravendita) il contratto entra in pieno effetto, il mutuante consegna il capitale erogato al mutuatario che e vengono eseguite le formalità relative alla garanzia prestata, che può essere fornita dal mutuatario o da terzi (iscrizione di ipoteca). In precedenza si avevano per prassi due atti di mutuo per ciascuna pratica: il primo, detto “atto condizionato” sanciva con una certa approssimazione le condizioni contrattuali che sarebbero state applicate, mentre il secondo, detto “atto definitivo”, perfezionava l’operazione con una virtuale (ma formalmente valida) posterità rispetto al contratto di compravendita immobiliare cui l’operazione di mutuo si legava. Nel tempo intercorrente, fra la delibera e la stipula del mutuo, il richiedente ha facoltà di optare per un prodotto differente con la stessa banca o di rinunciare al mutuo stesso, rimborsando una parte delle spese di perizia e di istruttoria all’istituto di credito.
I preventivi rilasciati prima di iniziare l’istruttoria non sono vincolanti per la banca, che dopo la delibera potrebbe applicare spread e spese accessorie differenti.
Il rimborso della somma mutuata avviene, generalmente, secondo un piano di ammortamento concordato con il mutuatario. Tale piano può prevedere sia il rimborso del prestito a rate posticipate decrescenti, comprensive di quote di capitale costanti e quote di interessi decrescenti pagate sul residuo del debito, sia il rimborso a rate posticipate costanti, comprensive di quote di capitale crescenti e di quote di interesse decrescenti.
La scadenza delle rate è convenuta fra le parti, anche se spesso si tratta di semplice adesione a condizioni generali non negoziabili dell’istituto di credito, quindi può essere mensile, bimestrale, trimestrale, semestrale o annuale, ma anche intervalli diversi possono essere liberamente convenuti.
La scadenza delle rate non necessariamente coincide con le scadenze di capitalizzazione, alle quali (specialmente per i tassi indicizzati) si ricalcola l’ammontare del debito e si aggiorna conseguentemente il piano d’ammortamento.
Determinazione dell’interesse dovuto
Il tasso d’interesse applicato è determinato in funzione di alcuni fattori come il rischio soggettivo connesso alle caratteristiche economiche del mutuatario, ma in genere fa più diretto riferimento a politiche economiche generali dell’istituto mutuante ed in ogni caso dipende dal costo di provvista, cioè al costo al quale il mutuante acquista il denaro da impiegare nell’operazione.
Mutui a tasso fisso e variabile
I mutui e piani di ammortamento si distinguono in prestiti a tasso fisso e a tasso variabile. Con i mutui a tasso fisso, il cliente corrisponde sempre lo stesso interesse alla banca per tutta la durata del mutuo, mentre a tasso variabile pagherà in base all’andamento mensile dei tassi di interesse.
Il tasso fisso è vantaggioso per il cliente se l’interesse dei prestiti sale al di sopra di quello (invariato nel tempo) del proprio mutuo.
Il tasso variabile espone al rischio di arrivare ad una rata sensibilmente più alta di quella iniziale se i tassi salgono, rata che potrebbe compromettere la capacità di rimborso del cliente. A parziale attenuazione di tale rischio di insolvenza, esistono forme particolari di mutuo a tasso variabile:
mutuo con “interest cap”, detti anche mutui “capped rate”, ossia un tasso variabile con una soglia massima che comunque non può essere superata, per cui è nota fin dall’inizio la massima rata che il cliente può trovarsi a pagare; mutuo a tasso misto con opzione: consente al cliente se scegliere di passare da tasso fisso a variabile o viceversa, noto al momento della stipula del contratto, a una cadenza di tempo prefissata (ogni 3, 5 anni, etc.). Ad ogni rinegoziazione sarà calcolato l’interesse in base all’Euris o Euribor, se si passa al tasso fisso, maggiorati di uno spread che è indicato nel contratto; mutui a tasso bilanciato: l’interesse è una media pesata di tasso fisso e variabile (ossia Euris e Euribor), secondo un mix deciso dal cliente (50-50%, 60-40% etc.); mutuo a rata fissa e durata variabile. Se il tasso d’interesse diminuisce, il tempo di ripagamento sarà più breve. In caso di aumento della quota interessi, l’orizzonte temporale del mutuo cresce di conseguenza; mutui a tasso misto rinegoziabile dopo un certo numero di anni.
Queste tipologie di mutuo possono essere denominate in valuta nazionale oppure in valuta estera. Se il mutuo è erogato in valuta estera, il richiedente riceve una somma in euro e dovrà restituire un debito residuo calcolato in base al cambio fra le due valute nel giorno dell’erogazione. L’ammontare di ogni rata in valuta estera è noto in base al mutuo concordato, mentre l’equivalente in euro è ricalcolato ogni mese in base al cambio corrente con la valuta straniera. I cambi in valuta estera sono soggetti al rischio di cambio, legato a una forte volatilità.
Il cliente sceglie ammontare del capitale, durata del mutuo e tasso fisso o variabile, e il mutuatario calcola di conseguenza l’interesse da applicare. Spesso, non si considera il rischio specifico d’investimento: se le garanzie offerte dal cliente non sono sufficienti o sono al di sotto della media per prestiti di analoga durata e importo, è semplicemente negato l’accesso al credito.
Il tasso, principale ma davvero non unica condizione economica del contratto, non è in genere oggetto di negoziato, ed è quindi tipicamente determinato dal mutuante; al mutuatario resta la scelta, ove possibile, fra le varie offerte del mercato, ma le differenze, spesso calcolabili in pochi decimali di tasso annuo nominale, potrebbero essere di ardua comparazione quando versate al tasso annuo effettivo globale; da molte parti si è sostenuto che l’attuale regolamentazione della materia non evita una marcata difficoltà di approccio da parte dell’ordinario consumatore.
Il tasso di interesse è generalmente calcolato come somma di un indice di riferimento, dello spread o percentuale di guadagno della banca e di un eventuale maggiorazione-premio di rischio, legato alla singola persona fisica o giuridica che richiede il prestito. Quindi, è l’Eurirs o Euribor più lo 0.5-1% di spread per l’istituto di credito.
La banca, in realtà, non guadagna solo sullo spread, ma, in misura più rilevante, dalla differenza fra il tasso di sconto e l’indice di riferimento. La banca “compra” dalla Banca centrale il denaro al tasso di sconto e lo “rivende” a un interesse pari all’EurIRS-Euribor (più spread).
Gli indici cui si applica uno spread non indicano quanto il denaro costa alla banca, sono una media degli interessi pesata sull’ammontare dei prestiti denominati in una certa valuta, e quindi calcolati in un mercato di riferimento (quello europeo, per la valuta euro).
In questo modo, si riducono le possibilità di arbitraggio e speculazione sui tassi di interesse. Tuttavia, si crea un cartello bancario di fatto, dato che si applicano i medesimi tassi a meno di uno spread, variabile da un istituto all’altro.
La variabilità dello spread in percentuale sui tassi può essere alta (1% di spread su 4% di tasso significa un 25%), ma non quanto quella garantita da una vera concorrenza.
Essendo poi i mutui indicizzati all’EurIRS o all’Euribor e non al tasso di sconto, non sono immediati gli effetti della politica monetaria delle Banche Centrali. Una variazione del tasso di sconto agli istituti di credito può tradursi con ritardo, o proprio non dare seguito, a una variazione dei tassi di mercato.
Sconti sullo spread
Alcuni istituti di credito praticano uno sconto sullo spread, se il rapporto fra rata e reddito è inferiore al 30%, e un ulteriore sconto se il rapporto fra ammontare del mutuo e valore dell’immobile è inferiore al 100%.
Queste condizioni garantiscono una tutela per la banca: la prima in merito a una maggiore capacità di rimborso e solvibilità del cliente; la seconda, in caso di svalutazione dell’immobile in garanzia, avendo la banca prestato meno dell’80-90% del suo valore di acquisto.
Le garanzie
Gli istituti di credito domandano, come detto, la formalizzazione di una valida garanzia a quanti richiedono un mutuo.
Le forme di garanzia delle quali possono avvalersi gli istituti di credito sono:
ipoteca; fideiussione; cambiale ipotecaria; polizze assicurative contro incendio e scoppio, sulla vita, contro il rischio di disoccupazione; opzioni put contro il negative equity, rischio di svalutazione dell’immobile.
La garanzia comporta solitamente l’iscrizione di una ipoteca (al grado più elevato disponibile) sul bene che verrà acquistato col mutuo o su eventuali altri beni di proprietà del richiedente o di terze parti che si fanno da garanti per suo conto tramite una fideiussione.
L’ipoteca è opponibile ai terzi dalla data in cui il notaio la iscrive presso la Conservatoria dei Registri Immobiliari e può avere una durata massima di vent’anni dalla data di iscrizione. Con l’estinzione del debito, il mutuatario (o comunque il proprietario del bene ipotecato) ha titolo per richiedere la cancellazione dell’ipoteca; ordinariamente il mutuante fornisce un semplice documento certificante il suo “assenso a cancellazione”. Va detto che, venuta meno la causa dell’ipoteca (perché il debito sia nel frattempo stato onorato), la cancellazione non è fattualmente di grande utilità: l’ipoteca deprivata di funzione di garanzia (ipoteca perenta) non produce effetti di sorta, salvo nel caso che se ne debba iscrivere un’altra.
Nel caso che nel corso del rapporto le garanzie vengano meno (ad esempio a causa di perimento dell’immobile) o ne diminuisca il valore, l’istituto di credito ha in genere facoltà di richiedere un reintegro delle garanzie, nella forma di nuovi beni da ipotecare, fideiussioni, o restituzioni parziali di debito (una revoca parziale del prestito), a seconda di quanto previsto nel contratto principale di mutuo, che può – ove convenuto – prevedere anche l’applicazione della clausola risolutiva espressa e la rescissione del contratto di mutuo.
Generalmente, gli istituti di credito non accettano le azioni come garanzia di un mutuo, in quanto le stesse sono utilizzabili dalle società emittenti come garanzia su pegno per ottenere liquidità per operazioni di fusione o acquisizione. Un pool di banche finanzia un prestito che viene garantito con le azioni del beneficiario: se non viene pagato a scadenza, l’opzione convertendo consente alle banche di trasformare il debito in azioni di proprietà di pari importo.
La dazione di ipoteca
L’ipoteca a garanzia del credito deve essere iscritta su un bene immobile che può essere di proprietà:
del mutuatario, se il bene era già suo e se continuerà ad esserlo (ad esempio per i mutui di ristrutturazione o per liquidità); dell’alienante, se il bene è in compravendita, perché se l’erogazione del mutuo condiziona il perfezionamento della compravendita (in modo che la proprietà del bene non possa essere trasferita se non con l’ausilio del mutuante), nel momento in cui si deve iscrivere l’ipoteca il bene è ancora di proprietà dell’alienante, il quale dovrà per questo costituirsi “terzo datore di ipoteca”, cioè dare un assenso (condizionato ai fini del perfezionamento della compravendita) all’iscrizione della stessa; di un altro soggetto, detto appunto “terzo datore di ipoteca” (non necessariamente il fideiussore), se il mutuante vi conviene.
Normalmente, il bene ipotecato viene periziato e iscritto a un valore pari a 1.5 – 2 volte il prezzo di acquisto dell’immobile. Il valore economico dell’ipoteca, aggredibile dal creditore con il pignoramento e la vendita all’asta, non dovrebbe superare l’importo del mutuo, ovvero del debito residuo.
Il bene può essere valorizzato in diversi modi, in particolare in base ai prezzi correnti di mercato, o al prezzo che si ipotizza che l’immobile avrà in futuro al termine del pagamento del mutuo. Quest’ultimo criterio è diffuso negli Stati Uniti.
Una forma alternativa di garanzia, sempre però collegata ad un vincolo ipotecario, è costituita dalla cambiale ipotecaria.
L’iscrizione ipotecaria non preclude il pieno godimento dei diritti di proprietà del mutuatario. Con la stipula del rogito notarile, il mutuatario è proprietario dell’immobile a tutti gli effetti di legge. Ha quindi diritto di dare in locazione, sublocazione o vendere un immobile, anche se questo è ipotecato.
In caso di vendita, o l’acquirente procede a un accollo del mutuo, oppure il venditore è tenuto a estinguere il debito residuo con la banca.
Gli oneri per l’anticipata estinzione e l’opponibilità dell’accollo da parte degli istituti di credito limitavano fortemente l’esercizio dei diritti costituzionali di proprietà, su beni ipotecati.
Iscrizione e consolidamento dell’ipoteca
L’immobile non è gravato da ipoteca il giorno stesso della stipula del rogito. Il notaio può iscrivere l’ipoteca in Conservatoria il giorno stesso del rogito, ma per essere insensibile al fallimento dell’acquirente deve attendere un periodo di tempo per il suo consolidamento.
Per i mutui fondiari, il periodo di consolidamento è abbreviato a 10 giorni rispetto ai termini ordinari previsti dalla legge fallimentare. Dopo 10 giorni dalla data dell’iscrizione, l’ipoteca si consolida automaticamente e la garanzia non è più soggetta all’eventuale fallimento dell’acquirente/mutuatario pubblicato in data successiva. Il notaio controlla che non vi siano fallimenti del soggetto mutuatario o altre iscrizioni ipotecarie precedenti e comunica per iscritto alla banca che l’ipoteca è consolidata e prima in grado.
Erogazione del mutuo
L’erogazione del mutuo può essere contestuale o differita, rispetto alla data del rogito. Se l’erogazione è differita, la banca si riserva un tempo che per legge non può andare oltre il consolidamento dell’ipoteca.
Il consolidamento dell’ipoteca comporta che la banca mutuante potrebbe non erogare la somma finché l’ipoteca non è consolidata. Solo allora diventa insensibile al fallimento del mutuatario.
Il rogito ufficializza un passaggio di proprietà. Il giorno della stipula, con la firma del vecchio proprietario, l’acquirente diviene proprietario a tutti gli effetti di legge. La banca del mutuatario può accollarsi il rischio di erogare il mutuo, prima del consolidamento dell’ipoteca; diversamente, il proprietario accetta un passaggio di proprietà senza avere l’intero ammontare del prezzo di acquisto.
In caso di erogazione contestuale, il funzionario della banca del mutuatario porta presso il notaio un assegno circolare ovvero denaro contante pari all’importo del mutuo.
In caso di erogazione differita, il venditore può cautelarsi facendo sottoscrivere all’acquirente un ordine di bonifico irrevocabile per il conto e la banca da lui indicati, depositato presso il notaio. Consolidata l’ipoteca, il notaio trasmetterà il certificato dell’avvenuto consolidamento e il bonifico al funzionario di banca dell’acquirente che provvederà al versamento.
Il bonifico può portare la data del rogito o successiva, fino a quella del previsto consolidamento dell’ipoteca.
Dopo la concessione del mutuo, il mutuatario ha a disposizione questi strumenti:
Rinegoziazione con la banca Surrogazione presso altra banca Sostituzione del mutuo: estinto il vecchio mutuo, si iscrive una nuova ipoteca con un differente piano di mutuo, con la stessa banca e/o immobile o differenti. Accollo: cambia il nome del mutuatario, resta invariato l’immobile oggetto di ipoteca e ovviamente non cambia la banca.
L’accollo è un caso di sostituzione del precedente debitore con un nuovo debitore che si assume il debito verso la banca. Normalmente ciò avviene quando si acquista un immobile ipotecato a garanzia di debito bancario. L’acquirente paga parte del prezzo della compravendita accollandosi il mutuo del venditore. In sostanza diventa il nuovo debitore della banca alle stesse condizioni del precedente per la somma residua. Conseguentemente non si paga alcunché alla banca a titolo di spese di istruttoria, di perizia o altro e neppure al notaio salvo la parcella per la compravendita. Ovviamente però non cambiano le condizioni di mutuo (tasso d’interesse e altro) convenute tra la banca e il venditore/precedente mutuatario.
Per i mutui a tasso variabile la differenza con le condizioni correnti non è sensibile, almeno in termini di interesse, e l’accollo potrebbe essere un’opzione utile per entrambe le parti.
Se le condizioni di mercato sono molto diverse da quelle del mutuo, in particolare per l’interesse applicato, una delle due controparti opterà per la stipula di un mutuo ex novo.
Prefinanziamento e preammortamento
Fra l’erogazione del mutuo e il decorrere della prima rata di pagamenti intercorre un periodo, durante il quale il mutuatario può essere chiamato a pagare gli interessi per la somma erogata.
Se il mutuo è garantito da un’ipoteca, il cliente pagherà gli interessi in base al tasso capitale pattuito con la banca.
Se l’erogazione precede la data del rogito, il cliente beneficia di un’apertura di credito senza garanzie reali, di un prefinanziamento, per il quale gli interessi applicati potrebbero essere più elevati.
Durante il periodo di pre-ammortamento o di prefinanziamento, il mutuatario paga solo interessi, senza estinguere il debito.
Il preammortamento ha in genere una durata variabile da uno a due mesi.
Preammortamento tecnico e prefinanziamento non sono calcolati nell’Indicatore Sintetico di Costo. Offerte all’apparenza molto vantaggiose, a volte “nascondono” dei costi come prefinanziamento.
In caso di surroga del mutuo, il prefinanziamento è escluso, e il preammortamento tecnico può essere al massimo di alcune settimane, pari a quelle intercorrenti fra l’atto notarile e l’inizio del mese successivo. Se, ad esempio, surrogo il 14 gennaio dalla banca A a B, e pago le rate a inizio mese ad A, pagherò l’intera rata a inizio gennaio (capitale più interessi), la banca A restituirà al cliente sottraendoli al debito residuo gli interessi dal 15 al 30 Gennaio, e pagherò a B un preammortamento dal 16 al 30, mentre dal 1º febbraio scatterà la prima rata con la nuova banca (sia che venga pagata a inizio mese che il 28 febbraio). La surroga comporta che non sia interrotto il piano di rimborso delle rate, per cui il nuovo istituto non potrà applicare né un mese di preammortamento tecnico, né un prefinanziamento per un periodo più lungo.
Preammortamento tecnico
Il preammortamento tecnico è il periodo che decorre dall’erogazione del mutuo al primo giorno del mese successivo. La rata decorre dal primo giorno del mese successivo alla data di stipula del rogito. Ad esempio, per un rogito con erogazione contestuale del mutuo al 15 settembre, la rata decorrerà dal 1º ottobre. Il mutuatario pagherà un preammortamento di 15 giorni, di soli interessi.
Alcuni istituti applicano, in ogni caso, un periodo di un mese, in aggiunta al preammortamento tecnico. Se, ad esempio, il rogito è firmato il 30 settembre, la rata non decorre dal 1º ottobre con un solo giorno di preammortamento, ma dal 1º novembre.
Durata del preammortamento
Non esiste un limite legale alla durata del preammortamento. In alcuni prodotti finanziari, il preammortamento può durare anni, per una scelta del cliente, o come condizione contrattuale.
Nei mutui con rimborso flessibile, il cliente può optare per una rata più bassa, di soli interessi, scegliendo quando iniziare e sospendere l’estinzione del debito.
Negative equity
Il termine “negative equity” è in riferimento alla svalutazione del mercato immobiliare, talora associata ad una svalutazione della moneta in generale. In entrambi i casi, il capitale e gli interessi da rimborsare restano invariati, non essendo indicizzati all’inflazione e al potere di acquisto reale della moneta. Può accadere, allora, che il valore del bene ipotecato, che viene nuovamente stimato a prezzi correnti di mercato, sia in quel momento inferiore al capitale prestato che dovrebbe garantire. Di questo rischio il perito estimatore che redige la perizia in base alla quale la banca eroga il mutuo, tiene direttamente debito conto nella sua valutazione, oppure l’istituto di credito applica dei correttivi di valore che tengano conto dei rischi connessi. Per questa ragione, l’immobile è solitamente valutato nella ipotetica condizione di occupazione (locazione) e in stato di manutenzione tale da richiedere ristrutturazione, quale che ne sia lo stato effettivo reale.
Diversamente dal pegno e da altre forme di erogazione del credito, le condizioni contrattuali di un mutuo non vengono modificate con la stessa facilità. Se la garanzia perde valore, perciò, la banca non può chiedere di reintegrarla con l’ipoteca su altri beni, se questo obbligo a carico del mutuatario non era stato previsto nel contratto principale.
In caso di mancato reintegro o dell’impossibilità di chiederlo, la banca può chiedere una restituzione parziale del capitale prestato, in tempi brevi.
In caso di insolvenza, il creditore può aggredire i beni oggetto di ipoteca, eventuali fideiussioni e altri beni di proprietà dell’intestatario del mutuo.
La risoluzione espressa del contratto o la modifica delle condizioni contrattuali sono talora considerate come una pratica vessatoria nei confronti dei clienti, perché non dovrebbe valere per cause di forza maggiore. La svalutazione dell’immobile dipende dall’andamento del mercato, da cause esogene rispetto ad un corretto comportamento del cliente, e non rappresentano quindi una forma di sua negligenza contrattuale, tale da giustificare variazioni unilaterali da parte dell’istituto di credito.
La svalutazione delle garanzie è parte di un rischio di impresa a carico dei mutuanti, che è loro onere coprire.
Negli Stati Uniti, è diffusa la stipula di opzioni put che danno il diritto alla banca a incassare il debito residuo del mutuo dietro cessione del credito e della garanzia ipotecaria. Si tratta di una riassicurazione per l’intero importo del mutuo.
In base alla precedente interpretazione del negative equity, è molto bassa la possibilità di un’azione di recupero del credito con i pignoramenti, per cui la banca si tutela in modo diverso, con delle cessioni “pro soluto” dei crediti in potenziale difficoltà di rimborso.
Il negative equity ha un secondo effetto, anche nei confronti dei mutuatari che riescono a pagare regolarmente le rate. Il cliente non può vendere l’immobile perché i prezzi non gli consentono di ripagare il debito residuo, l’affitto dell’immobile non copre l’intera rata del mutuo, il suo reddito non gli permette di pagarsi un’altra sistemazione e pagare il saldo della rata. Il mutuatario è in pratica “immobilizzato” in una casa di sua proprietà.
L’accollo del mutuo può risolvere a volte questo problema. L’acquirente accetta di pagare l’immobile “in conto capitale” al di sopra dei prezzi di mercato, accollandosi il mutuo, in cambio di una quota interessi molto più basse, grazie alle condizioni più vantaggiose di un mutuo stipulato 10-20 anni prima.
Inadempimento del mutuatario
A seconda delle condizioni contenute nel contratto di mutuo, nel caso di mancato o ritardato pagamento di un dato numero di rate, la banca è autorizzata a richiedere al cliente la restituzione dell’intero debito residuo (con relativi interessi), da effettuarsi entro un termine stabilito in atto; in caso di inadempienza, ha in genere titolo ad agire per la riscossione del debito, procedendo al pignoramento ed alla vendita all’asta del bene eventualmente ipotecato.
Se l’asta è al maggior offerente, il ricavato dalla vendita serve a rimborsare la lista di creditori chirografari e non. L’eventuale somma residuale eccedente i debiti (con interessi) viene restituita al debitore, in proporzione alla nuda proprietà e all’usufrutto dell’immobile.
Le rate precedentemente pagate vengono trattenute dalla banca e vanno ad integrare il ricavato dell’asta per ricostituire il capitale prestato.
Per oggi finiamo qua la prossima settimana esporremo notizie sull estinzione anticipata,le polizze assicurative,i decreti legislativi.
(lo staff)
Spesso riceviamo svariate domande da parte dei nostri lettori,ne abbiamo scelta una che ci da la possibilità poi di aprire un discorso sui prestiti personali.
Una finanziaria, cui mi sono rivolto per un “prestito contro cessione di un quinto dello stipendio” che mi sarebbe concesso entro giugno, mi ha proposto un interesse del 14% annuo. A me sembra un tasso da usurai ma vorrei essere sicuro prima di protestare. Sul mio mutuo a tasso variabile per la casa, infatti, la mia banca nell’ultimo trimestre dell’anno scorso ha applicato “solo” il 6,5%, meno della metà. Come si calcola il tasso da usura?
Ogni trimestre la Banca d’Italia pubblica una tabella dettagliata con il tasso soglia di usura per ogni differente forma di finanziamento, dalle aperture di credito in conto corrente (il tasso di usura per questa categoria è del 18,35% fino a 5mila euro, e del 16,575% oltre i 5mila) agli scoperti senza affidamento (24,25% fino a 1500 euro e 22,7625% oltre i 1500). Nell’elenco completo, reperibile sul sito della Banca d’Italia (l’ultimo comunicato emesso ha la data del 24 marzo 2014 e riporta i tassi validi ai fini dell’usura fino alla fine di giugno) e presso tutte le associazioni dei consumatori, il lettore può verificare che nel suo caso, relativo ad un prestito contro cessione di un quinto dello stipendio, la richiesta della finanziaria è sotto il tasso di usura. Infatti, per prestiti di questo tipo, il tasso soglia da non superare è del 19,1% fino a 5mila euro e del 18,375% oltre i 5mila euro. Per fissare il tasso da usura, il procedimento seguito dalla Banca d’Italia è il seguente, ed e’ valido per tutte le categorie di prestiti: gli uffici dell’Istituto Centrale calcolano il Tegm (tasso effettivo globale medio) per ogni tipo di finanziamento rilevandolo dalle condizioni offerte dalle banche sul mercato; a questo dato medio aggiungono un quarto dello stesso tasso, ossia il 25%; infine, al tasso maggiorato del 25% aggiungono ancora altri 4 punti percentuali.
Il nostro lettore ci chiede come si fa a calcolare il tasso di usura su un prestito personale,e ci da lo spunto per spiegare che cosa è e come viene concesso un prestito.
Il prestito è la cessione di una somma di denaro con il vincolo della restituzione di capitali di pari valore o maggiori.
Il termine indica essenzialmente un finanziamento di denaro che un istituto o società di credito autorizzata (detta mediatore o dealer) (es. banca) o un privato cittadino concede ad un altro soggetto economico.
Gli elementi costitutivi di un prestito sono:
-capitale finanziato, -tasso annuo nominale d’interesse (TAN) -tasso annuo effettivo globale (TAEG) -durata del finanziamento
-l’importo, ed eventuali rate e condizioni.
L’assegnazione di un prestito avviene dopo una serie di controlli preliminari che il mediatore esegue in base alla situazione economica e professionale del soggetto richiedente, esami che gli permette di valutare la sicurezza evitando sconvenienti situazioni di insolvenza.
Tale finanziamento può essere richiesto ed erogato con diversi scopi: per acquistare beni di consumo (automobile, abitazione, arredamento, elettrodomestici, vestiti, ecc.), per ristrutturare la propria casa (edilizia), per saldare altri debiti o prettamente per possedere una disponibilità immediata di denaro contante (prestiti di liquidità).
La concessione di un prestito può essere subordinata alla presentazione da parte del richiedente di una garanzia reale o personale. Possiamo quindi fare un’ulteriore distinzione tra prestiti garantiti e non garantiti.
Prestiti finalizzati e non finalizzati
Il prestito inoltre può essere può essere finalizzato e non finalizzato. La caratteristica principale che distingue i due tipi di prestito-sovvenzione è basata sul metodo di erogazione e conseguentemente alla restituzione del denaro stesso: nel caso dei prestiti finalizzati, il cliente è obbligato all’acquisto di un bene di consumo specificando comunque la finalità del prestito e mettendo necessariamente a conoscenza l’istituto finanziatore; mentre nel caso di prestiti non finalizzati il cliente non ha alcun vincolo di destinazione ed è libero di disporre della somma richiesta in prestito con maggiore libertà d’azione.
Generalmente i prestiti finalizzati si distinguono dagli altri per una maggiore semplicità e rapidità della pratica, infatti talvolta possono essere erogati dallo stesso punto vendita del bene in questione grazie a convenzioni commerciali e finanziarie con le banche; mentre per i prestiti non finalizzati ci si rivolge esclusivamente a istituti di credito.
Credito al consumo
Tra i prestiti non finalizzati il più diffuso è il prestito personale, che rientra anche nella categoria del credito al consumo ed è un prestito senza garanzia.
In Italia la disciplina del credito al consumo prevede un importo compreso tra 154,94 euro e 30.987,41 euro. Generalmente, nel caso dei prestiti personali in senso stretto, l’importo è medio alto, mentre per le somme più contenute si preferisce utilizzare la forma del credito rotativo: carte di credito revolving o apertura di linee di credito rotative (stesso meccanismo delle carte revolving ma senza il supporto di plastica). La durata è compresa tra 12 e 120 mesi.
Ovviamente la scelta tra queste due forme di finanziamento sarà fatta dal cliente in stretta relazione alle proprie esigenze e disponibilità.
(lo staff)
L’individuazione del momento rilevante per la valutazione dell’usurarietà degli interessi e degli ulteriori oneri economici connessi ad un finanziamento rappresenta un tema oggetto di acceso dibattito, sia in dottrina sia in giurisprudenza.
La legge 7 luglio 1996, n. 108, infatti, non indica espressamente il momento in relazione al quale debba essere effettuato il raffronto tra condizioni contrattuali e tasso soglia usura, lasciando quindi aperte diverse letture interpretative.
Si discute, in particolare, se la qualifica di usurarietà degli interessi debba riferirsi alla situazione esistente al momento della conclusione del negozio (con la conseguente irrilevanza di una eventuale successiva diminuzione dei tassi soglia), ovvero se sia necessario operare un continuo raffronto ed adeguamento dei tassi degli interessi di volta in volta maturati in relazione alle singole operazioni creditizie con i tassi soglia quali di tempo in tempo rilevati.
Tale dibattito non può ritenersi composto e potrebbe ricevere ulteriore linfa dalla recente sentenza della Cassazione dell’11 gennaio 2013, n. 892, in tema di “usura sopravvenuta”1.
Appare opportuno, sin da subito, evidenziare che, con l’espressione invalsa nella prassi di “usura sopravvenuta”, si indicano in realtà due distinti fenomeni.
Il termine usura sopravvenuta si utilizza, secondo una prima accezione, in relazione ai contratti che risultavano in corso al momento della entrata in vigore della l. 108/96, ma che erano sorti in un periodo antecedente alla citata legge.
Si parla di usura sopravvenuta, secondo una seconda accezione, in relazione alla pretesa necessità di procedere alla verifica di usurarietà delle condizioni contrattuali nel caso di tasso convenuto originariamente in misura lecita (ossia sotto soglia usura) ma che, per effetto di una sopravvenuta variazione in diminuzione del tasso soglia, sia divenuto successivamente superiore al tasso soglia rilevato di tempo in tempo.
In dottrina e giurisprudenza sono state ampiamente sostenute sia la tesi della rilevanza dell’usura sopravvenuta nelle due diverse fattispecie sopra richiamate, sia la tesi della irrilevanza dell’usura sopravvenuta.
Appare opportuno ricostruire le argomentazioni addotte a sostegno della tesi favorevole e della tesi contraria, prima di esaminare le conclusioni cui è giunta la Cassazione nella richiamata pronuncia dell’11 gennaio 2013, n. 892.
Parte della dottrina e della giurisprudenza ritengono rilevante la c.d. usurarietà sopravvenuta degli interessi che, ancorché pattuiti lecitamente (al di sotto del tasso soglia ovvero in assenza di tasso soglia), dovessero risultare in seguito superiori al tasso soglia rilevato al momento della corresponsione delle somme da parte del debitore2.
In base a tale interpretazione, la valutazione di usurarietà deve essere rapportata non al momento di perfezionamento del negozio, bensì al momento del pagamento degli interessi, ovvero (secondo una diversa lettura) al momento della relativa maturazione.
A favore di tale ricostruzione si richiama, in primo luogo, la rilevanza penale della percezione di interessi superiori al tasso soglia, da cui conseguirebbe la nullità parziale sopravvenuta per contrasto con la normativa imperativa penale, ovvero l’inefficacia sopravvenuta della clausola determinativa di interessi pur originariamente lecita. Si osserva, altresì, come il termine di prescrizione del reato di usura, ai sensi dell’art. 644 ter c.p., decorra con l’ultima dazione o pagamento di interessi.
Sempre secondo la tesi dell’ammissibilità della c.d. usurarietà sopravvenuta, nel caso in cui gli interessi originariamente pattuiti al di sotto del tasso soglia superino tale limite nel corso del rapporto sarebbe inapplicabile l’art. 1815 c.c. e, di conseguenza, il tasso dovrebbe essere ridotto al limite del tasso soglia rilevato di tempo in tempo, in virtù del meccanismo di integrazione legale del contratto previsto dall’art. 1339 c.c.3.
In base ad una diversa ricostruzione, ma sempre a sostegno della tesi della rilevanza dell’usura sopravvenuta, è stato rilevato che “se la soglia è superata al momento dell’obbligazione, per tutto quanto la superi cessa l’obbligo di adempimento (…), la fonte che costituisce quel diritto diviene in effettuale (…). Come si vede, in tema di clausola interessi originariamente non usuraria, per ritenere la sua perdurante effettività nei limiti dei tassi soglia non è affatto necessario (ed è invece fuorviante) riferirsi a meccanismi legali di sostituzione (per giunta di una clausola con il nulla)”4.
Altra autorevole dottrina, da ultimo, ha evidenziato come l’applicazione di interessi superiori al tasso soglia, da un lato, non sarebbe meritevole di tutela ex art. 1322 c.c. ed, al tempo stesso, risulterebbe in contrasto con il canone di buona fede oggettiva che impone di ridurre gli interessi nei limiti consentiti per legge e quali di tempo in tempo fissati.
A favore della tesi dell’ammissibilità dell’usura sopravvenuta, pare opportuno richiamare anche una recente decisione dell’Arbitro Bancario e Finanziario, Collegio di Roma, secondo cui “il superamento del tasso soglia sopravvenuto all’entrata in vigore della legge n.108 del 1996 non determina la configurazione del reato di usura, né comporta la nullità della relativa clausola contrattuale ai sensi dell’art. 1815, comma 2 c.c.. Tuttavia, il Collegio ritiene che l’applicazione dei tassi superiori alla soglia di usura, benché non sanzionabile, sia tuttavia in contrasto con l’art. 2 della citata legge n. 108/1996, norma imperativa sopravvenuta ispirata ad un generale principio di non abuso del diritto, che impone l’adeguamento degli interessi a suo tempo stipulati in modo che non risultino in contrasto con la norma stessa (cfr. in tal senso Trib. Milano 15.10.2010). L’applicazione di interessi superiori alla soglia di usura, dopo l’entrata in vigore della legge n. 108/1996, evidenzia altresì un comportamento contrario a buona fede, sicché anche sotto questo profilo si impone una rideterminazione degli stessi entro i limiti della soglia di usura”.
E questa è una tesi a favore della usura sopravvenuta,sia chiaro.
Secondo una diversa ed opposta lettura interpretativa, il momento rilevante per la verifica dell’usurarietà delle condizioni contrattuali rispetto al tasso soglia è da individuarsi (unicamente) in quello della conclusione del contratto.
Autorevole dottrina penalistica ha con enfasi rilevato che “il fuoco della norma penale è ancora oggi il momento della pattuizione” e, precisamente, della determinazione convenzionale del corrispettivo usurario.
In sostanza, il contratto validamente concluso che prevede condizioni al di sotto del tasso soglia non è inficiato dalla successiva dinamica della determinazione dei tassi soglia anche nel caso di ribasso degli stessi.
A fondamento di tale interpretazione, anche con riferimento ai contratti in corso al momento dell’entrata in vigore della l. 108/96 ma sorti in un periodo antecedente, si richiama, in primo luogo, l’art. 1 della legge 28 febbraio 2001, n. 24, concernente interpretazione autentica della legge 7 marzo 1996, n. 108 che, al dichiarato fine di comporre l’acceso dibatto in materia di usura, ha espressamente indicato quale momento determinante ai fini della valutazione di usurarietà il “momento in cui (gli interessi) sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo, indipendentemente dal momento del loro pagamento”.
In particolare, dalla Relazione governativa di accompagnamento al decreto legge 29 dicembre 2000, n. 394, successivamente convertito, con modifiche, nella legge 24/2001, emergerebbe che l’intento del legislatore era quello, da un lato, di escludere la possibilità di applicare la l. 108/1996 ai contratti conclusi prima della sua entrata in vigore, dall’altro, di escludere l’ammissibilità dell’ipotesi della cd. “usura sopravvenuta” concernente i contratti stipulati dopo l’entrata in vigore della l. 108/199610.
A sostegno della tesi dell’irrilevanza dell’usura sopravvenuta, inoltre, si evidenzia che l’art. 1815, comma 2, c.c. riferisce la nullità della pattuizione al momento in cui sono “convenuti interessi usurari”.
Ancora a sostegno di tale tesi, si richiama la sostanziale iniquità di una diversa interpretazione in quanto, qualora l’obbligazione di pagamento degli interessi fosse influenzata da un dato accidentale, imprevedibile ed esterno alla volontà delle parti, quale la riduzione del tasso soglia, la banca creditrice di interessi convenzionalmente fissati ab origine ad un tasso inferiore al tasso soglia rilevato al momento della conclusione del contratto, non sarebbe mai sicura di ottenere quanto contrattualmente e lecitamente convenuto con il cliente. La banca creditrice sarebbe, in sostanza, esposta oltre al rischio insito ai contratti a prestazione corrispettiva di durata, anche all’alea collegata al modificarsi al ribasso del tasso soglia.
Con particolare riferimento ai contratti di mutuo, inoltre, ove si acceda alla tesi (peraltro contrastata) che l’obbligazione di pagamento del mutuatario non sorge di volta in volta alla scadenza delle singole rate, bensì istantaneamente ed unitariamente al momento della consegna della somma mutuata dalla banca al cliente, risulterebbe evidente che la verifica di usurarietà della unitaria obbligazione di pagamento del cliente – mutuatario, sebbene possa prevedere un piano di pagamento diluito nel tempo, dovrebbe necessariamente essere condotta con riferimento al momento della conclusione del contratto di mutuo, rimando indifferente alle successive variazioni del tasso soglia.
Ulteriore sostegno alla tesi dell’inammissibilità della c.d. usurarietà sopravvenuta per riduzione del tasso soglia si può trarre dalle Istruzioni della Banca d’Italia per la rilevazione del tasso effettivo globale medio, che prevedono per i mutui e gli altri contratti di credito che “sono assoggetti alla rilevazione (…) esclusivamente i nuovi rapporti di finanziamento accessi nel periodo di riferimento”12.
Anche l’Arbitro Bancario e Finanziario, in particolare il Collegio di Milano, ha sostenuto la tesi dell’irrilevanza dell’usura sopravvenuta in quanto sarebbero “irrilevanti, al fine di verificare se gli interessi applicati siano usurari, le eventuali variazioni che intervengano nella determinazione periodica dei tassi soglia (…). Ne consegue che gli interessi, che al momento della stipula del contratto che li contempla non sono usurari, non possono in alcuno modo divenirlo in un momento successivo. Ciò si evince chiaramente anche dal disposto dell’art. 1815, 2° comma, cod. civ., che commina la nullità, originaria, della clausola con cui sono convenuti interessi usurari. L’indagine deve quindi essere condotta verificando la legittimità degli interessi che erano stati stipulati nel contratto”.
Mentre questa tesi è contraria all’usura sopravvenuta.
Quasi in sordina, la Cassazione con la sentenza dell’11 gennaio 2013, n. 892 potrebbe riaprire un rilevante fronte di contenzioso tra banche e clienti con specifico riferimento alla tematica dell’usura sopravvenuta.
Occorre premettere ed evidenziare che, nella citata sentenza del gennaio 2013, la Suprema Corte è stata chiamata a pronunciarsi in relazione ad un rapporto di conto corrente sorto prima della legge 7 marzo 1996, n. 108. Si tratta, evidentemente, di una questione di jus superveniens.
La Suprema Corte, esclusa la possibilità di applicare in modo retroattivo la legge 7 marzo 1996, n. 108 ed affermata, quindi, la validità delle originarie clausole contrattuale relative agli oneri economici convenuti tra le parti, ha escluso la possibilità di procedere con l’automatica sostituzione del tasso originariamente determinato tra le parti con il tasso legale. Ad avviso della Suprema Corte, “trattandosi di rapporti non esauriti al momento dell’entrata in vigore della L. 108” occorre piuttosto procedere, ai sensi degli articoli 1419, secondo comma, c.c. e 1339 c.c. attraverso “l’inserzione automatica di clausole, in relazione ai diversi periodi, dai tassi soglia”.
Si tratta di una motivazione alquanto abborracciata.
Non convince, in primo luogo, il richiamo alle ipotesi di nullità parziale ex art. 1419, comma 2, c.c. in quanto, si tratterebbe di una sanzione (la nullità appunto) che colpirebbe non il momento genetico del rapporto, quanto il comportamento delle parti nella fase di esecuzione.
La stessa pronuncia, del resto, non spende parola sull’ampio dibattito, evidenziato in precedenza, relativo al tema dell’usura sopravvenuta, al fine di superare le contrapposizioni o fornire quantomeno una nuova ricostruzione sistematica.
Appare possibile concludere che, con la sentenza dell’11 gennaio 2013, n. 892, la Suprema Corte si è limitata di fatto a riproporre il tema, schierandosi a favore della tesi della rilevanza dell’usura sopravvenuta (con riferimento ai rapporti sorti prima della legge 7 marzo 1996, n. 108), con una motivazione davvero “timida”.
Qui invece parliamo della sentenza in Cassazione del gennaio 2013.
Le tesi sopra richiamate, favorevole e contraria alla rilevanza dell’usura sopravvenuta, presentano entrambe argomentazioni in parte condivisibili, ma anche evidenti limiti irrisolti.
Si potrebbe discutere ancora molto se debba prevalere un orientamento “formalistico” e contrario all’usura sopravvenuta, ovvero un orientamento “sostanzialistico” e favorevole alla tesi della rilevanza dell’usura sopravvenuta, con le diverse e richiamate declinazioni circa le conseguenze ed i corretti rimedi esperibili.
La sensazione, peraltro, è che tale impostazione del discorso non abbia condotto molto oltre rispetto alle posizioni estreme e sempre più radicatesi nel corso degli ultimi anni.
Pare, quindi, opportuno provare a “risalire la china”, per individuare quali debbano essere gli interessi preminenti.
In primo luogo, a favore della tesi dell’usura sopravvenuta, sarebbe difficile contestare l’oggettiva disparità di trattamento che si verifica tra un cliente che, pur sulla base di condizioni validamente pattuite al di sotto del tasso soglia, a seguito di una variazione in diminuzione dello stesso parametro, sia chiamato a corrispondere oneri superiori rispetto ad altro (nuovo) cliente della stessa banca che, beneficiando della medesima variazione negativa del tasso soglia, sia tenuto a corrispondere oneri in misura inferiore.
Si pone, quindi, la questione principale se siffatta situazione di oggettiva disparità di trattamento, reale ed incontestabile, possa trovare “giustificazioni” valide e di carattere sistematico-generale, ossia sovraordinate all’interesse particolare dei protagonisti di una singola relazione contrattuale.
Facile (quanto dovuto) appare in primo luogo il richiamo al dato di diritto positivo rappresentato dal decreto legge 29 dicembre 2000, n. 394, successivamente convertito, con modifiche, nella legge 24/2001, ossia alla legge di interpretazione autentica che, al dichiarato fine di comporre l’acceso dibatto in materia di usura, ha espressamente indicato quale momento determinante ai fini della valutazione di usurarietà il “momento in cui (gli interessi) sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo, indipendentemente dal momento del loro pagamento”. Tale norma, che ha superato il vaglio di costituzionalità, evidentemente ha assunto quale rilevante in via prevalente l’interesse generale di stabilità del sistema.
Ma vi sono ulteriori considerazioni che risultano dovute. In primo luogo si provi ad immaginare quale potrebbe essere il comportamento (o la reazione) del sistema bancario dinanzi ad un’affermazione della rilevanza della tesi dell’usura sopravvenuta. Nessuna banca o intermediario finanziario, al momento della concessione del credito a tasso fisso, potrebbe stimare e ponderare il rapporto rischio-rendimento, con una evidente implicazione negativa di carattere sistematico – generale riferita alla stabilità delle banche e degli intermediari finanziari.
Le stesse banche e intermediari potrebbe decidere di limitare fortemente l’erogazione, ad esempio, di muti a tasso fisso, in quanto non vi sarebbe certezza circa i relativi ricavi. Una seconda conseguenza negativa, sempre di carattere generale e sistematico, colpirebbe, quindi, il mercato del credito ed, in ultima istanza, proprio i clienti finali.
Si impone, infine, una terza considerazione. La rilevazione del tasso soglia si basa su una complessa procedura che muove attraverso le rilevazioni effettuate dalla Banca d’Italia che hanno ad oggetto i nuovi rapporti di finanziamento accesi nel periodo di riferimento. In sostanza, il momento decisivo anche ai fini della rilevazione del tasso effettivo globale medio è individuato nel momento della conclusione del contratto. Come la Cassazione ha ripetutamente affermato, le metodologie di rilevazioni utilizzate da Banca d’Italia non possono “sostituirsi” alla normativa di riferimento (si veda il caso degli interessi di mora), ma cionondimeno appare evidente che ove si ritenesse rilevante ai fini della verifica di usura non solo il momento di conclusione del contratto, ma anche il momento del pagamento o della maturazione degli oneri a carico del cliente, gli attuali schemi segnaletici di Banca d’Italia ne risulterebbero compromessi e sarebbe, quantomeno, necessario procedere ad una modifica degli stessi schemi segnalatici e di rilevazione.
In conclusione, le richiamate considerazioni di carattere sistematico e generale, il dato di diritto positivo rappresentato dalla legge di interpretazione autentica, unitamente all’attuale struttura del sistema di rilevazione del tasso effettivo globale medio, paiono deporre e fondare la tesi dell’inammissibilità dell’usura sopravvenuta.
Sappiamo perfettamente che il diritto bancario non è facile da capire,ma speriamo ugualmente di essere stati chiari.
(lo staff)
Continuiamo con l ultima parte dell nostro articolo suoi mutui,oggi esploreremo quattro parti fondamentali che fanno parte del contratto di mutuo.
L’ESTINZIONE ANTICIPATA:
Anche se potrebbe apparire in un certo senso illogico,ed anche se la materia è discussa,la richiesta di estinzione anticipata del mutuo da parte del cliente è considerata inadempimento,poichè dalla cessazione del rapporto dipende un mancato titolo del mutuante a richiedere interessi per la residua parte di tempo di durata del mutuo originariamente prevista: per comprendere meglio questo meccanismo,potrebbe essere utile un esempio. Se,si ponga,in un mutuo previsto per una durata di 10 anni,il mutuatario richiede di saldare il suo debito dopo,diciamo, 7 anni,egli dovrà corrispondere al mutuante l’intero capitale residuo e gli interessi già venuti a maturazione;il contratto però stabiliva che il mutuante dovesse continuare a percepire interessi sul denaro prestato per altri 3 anni.
Il mutuatario perciò non consente al mutuante di percepire gli interessi sul previsto impiego del capitale per gli anni restanti;in questo consisterebbe l’indampimento,poichè egli si era obbligato a pagare il prestito ottenuto con un prezzo stabilito in base alla durata del rapporto e per questo numericamente assommante ad un dato importo.
L’argomento,spinoso quanto pochi in materia,è in pratica interpretato come azione che danneggia il mutuante in termini di lucro;è fonte di dibattuta dialettica l’obbezione che il mutuante,tipicamente una banca,nel momento in cui delibera la concessone del mutuo,a sua volta si garantisce la provvista di denaro necessaria per l’operazione calcolandola con riferimento alla durata prevista e dunque prevedendo costi ed accantonamenti in funzione di tale operazione,come dimostrerebbe la dettagliata previsione di un piano di ammortamento.
A tale obiezione si ribatte che,soprattutto nel caso decisamente prevalente che la concessione di mutui sia oggetto proprio dell’attività d’impresa del mutuante,l’anticipazione estinzione debba considerarsi a tutto titolo elemento del rischio impresa,e dunque materia che non dovrebbe poter riguardare un mutuatario che intenda per etica o per vantaggio risolvere al più presto una situazione debitoria;che di questo rischio d’impresa il mutuante sia ben al corrente sin dal principio,tanto da non potersi conferire all’estinzione anticipata carattere di eccezionalità,ma che anzi questa sia considerata uno dei possibili esiti del rapporto,sarebbe dimostrato dalla ordinaria presenza di apposite previsioni contrattuali sullo sconto.
RISOLUZIONE DEL CONTRATTO:
Se il cliente difficilmente ottiene una modifica delle condizione contrattuali e prima del 2007 doveva corrispondere una penale per l’estinzione anticipata,il mutuante ha facoltà di rescindere il contratto in qualunque momento,se chi riceve il finanziamento viene meno ad una delle obbligazione previste nella clausola risolutiva o in altre parti del contratto.
La finanziaria del 2008 ha abolito le penali per estinzione anticipata del mutuo,possono avere luogo tuttavia,penali nel momento in cui il mutuatario è inadempimento davanti a legittime nuove obbligazioni richieste dalla banca,come la risoluzione espressa dal contratto o la richiesta di reintegro delle garanzie.
La clausola risolutiva espressa limita tale facoltà per specificare obbligazioni,e non è applicabile per circostanze generiche.
La specificità non significa soggettività della circostanza,ovvero l’inosservanza dell’obbligazione debbe dipendere esclusivamente da un comportamento non corretto del mutuatario,ed abbia dunque le caratteristiche di prevedibilità.Un motivo di risoluzione,ad esempio,può essere un mancato reintegro delle garanzie,,per lui non prevedibile,per il mutuatario,in cui il mutuatario non soddisfa le richieste della banca
La rescissione comporta la restituzione in tempi rapidi dell’intero debito,con gli interessi previsti ed un eventuale penale.
MUTUI PER LA CASA:
La maggior parte dei mutui è concessa con vincolo di destinazione,ovvero deve essere espressamente specificato per quali scopi verrà utilizzato il denaro preso in prestito.cosa si acquisterà con esso.
I mutui per l’acquisto della prima casa costituiscono la maggior parte dei mutui concessi dalle banche.L’ammontare del capitale erogato non può superare un importo il cui rimborso annuale sia in genere il 30% del reddito del nucleo familiare del richiedente;in pratica,se la famiglia del mutuatario ha un reddito annuo di 100,non può prendere mutui che costino più di 30 all anno per i rimborsi,e dunque l’importo del capitale massimo erogabile si calcola a partire dall’importo della rata del rimborso.
Inoltre,l’importo massimo erogabile è condizionato al valore del bene prestato on garanzia:da qualche anno,una certa deregulation del mercato consente di registrare offerte di mutui che arrivano a coprire il 100% del valore di perizia dell’immobile.La perizia eseguita a questi fini,deve tener conto dell’aspetto prospettico della sua eventuale utilità,poichè in ragione della cospicua durata del mutuo e della possibile modificazione nel tempo degli equilibri fra molti parametri da prendere in esame,essa deve restituire un valore di garanzia sostanziale in favore dell’ente erogante,tale che nell’ipotetica necessità di estinzione alla vendita forzata del bene,che potrebbe accadere in un imprecisato momento del rapporto,si disponga di un valore stabilmente tenutosi realistico.Ciò determina in genere una differenza fra l’importo di perizia ed il valore commerciale effettivo del bene,detraendosi da questo valori che rendono ragione dei rischi di deperimento tecnico-fisico e delle eventuali modificazioni del mercato di riferimento.
La concessione del mutuo è in genere subordinata alla disponibilità di un reddito stabile ed attendibile,ad esempio,un contratto di lavoro a tempo indeterminato o di altri redditi stabili.
Sperando di esservi stati d’aiuto con questa guida sui mutui.
(lo staff)
Eccoci alla parte seconda del nostro viaggio all’interno del mutuo con tutte le sue sfumature.
LE GARANZIE:
Gli istituti di credito domandano,come detto,la formalizzazione di una valida garanzia a quanti richiedono un mutuo.
Le forme di garanzia delle quali possono avvalersi gli istituti di credito sono:
-ipoteca -fideiussione -cambiale ipotecaria -polizze assicurative
-opzioni contro il rischio svalutazione immobile
La garanzia comporta solitamente l’iscrizione di una ipoteca sul bene che verrà acquistato col il mutuo o su eventuali altri beni di proprietà del richiedente o di terze parti che si fanno da garanti per suo conto tramite una fideiussione.
L’ipoteca è opponibile ai terzi dalla data in cui il notaio la iscrive presso la Conservatoria dei Registri immobiliari e può avere una durata massima di 20 anni dalla data di iscrizione. Con l’estinzione del debito,il mutuatario ha titolo per richiedere la cancellazione dell’ipoteca;ordinariamente il mutuante fornisce un semplice documento certificante il suo assenso a cancellazione.Va detto che,venuta meno la causa dell’ipoteca,la cancellazione non è fattualmente di grande utilità:l’ipoteca deprivata di funzione di garanzia non produce effetti di sorta,salvo nel caso che se ne debba iscrivere un ‘altra.
Nel caso che nel corso del rapporto le garanzie vangano meno o ne diminuisca il valore,l’istituto di credito ha in genere facolta di richiedere un reintegro delle garanzie,nella forma di nuovi beni da ipotecare,fideiussioni,o restituzioni parziali di debito a, seconda di quanto previsto nel contratto principale di mutuo,che può prevedere anche l’applicazione della clausola risolutiva espressa e la rescissione del contratto.
Generalmente,gli istituti di credito non accettano le azioni come garanzia di mutuo,in quanto le stesse sono utilizzabili dalle società emittenti come garanzia su pegno per ottenere liquidità per operazioni di fusione o acquisizione.Un pool di banche finanza un prestito che viene garantito con le azioni del beneficiario:se non viene pagato a scadenza,l’opzione convertendo consente alle banche di trasformare il debito in azioni di proprietà di pari importo.
L’ipoteca a garanzia del credito deve essere iscritta su un bene immobile che può essere di proprietà:
-del mutuatario -dell’alienante
-di un altro soggetto
Normalmente,il bene ipotecato viene periziato e iscritto a valore pari a 1.5-2 volte il prezzo di acquisto dell’immobile.Il valore economico dell’ipoteca,aggredibile dal creditore con il pignoramento e la vendita all’asta,non dovrebbe superare l’importo del mutuo,ovvero il debito residuo.
EROGAZIONE DEL MUTUO:
L’erogazione del mutuo può essere contestuale o differita,rispetto alla data del rogito.Se l’erogazione è differita,la banca si riserva un tempo che per legge non può andare oltre il consolidamento dell’ipoteca.
Questa cosa comporta che la banca mutuante potrebbe non erogare la somma finche l’ipoteca non è consolidata.
Il rogito ufficializza il passaggio di proprietà.Il giorno della stipula,con la firma del vecchio proprietario,l’acquirente diviene proprietario a tutti gli effetti di legge.La banca del mutuatario può accollarsi il rischio di erogare il mutuo,prima del consolidamento;diversamente,il proprietario accetta un passaggio di proprietà senza avere l’intero ammontare del prezzo di acquisto.
In caso di erogazione contestuale,il funzionario,della banca del mutuatario porta presso il notaio un assegno circolare ovvero denaro contante pari all’importo del mutuo. In caso di differita,il venditore può cautelarsi facendo sottoscrivere all’acquirente un ordine di bonifico irrevocabile per il conto in banca da lui indicati,depositato presso il notaio.
Il bonifico può portare la data del rogito o successiva,fino a quella del previsto consolidamento.
Dopo la concessione del mutuo,il cliente ha a disposizione questi strumenti. -rinegoziazione con la banca -surrogazione presso altra banca -sostituzione del mutuo
-accollo
L’accollo è un caso di sostituzione del precedente debitore con un nuovo debitore che si assume il debito verso la banca.Normalmente ciò avviene quando si acquista un immobile ipotecato a garanzia di debito bancario.
L’acquirente paga parte del prezzo della compravendita accollandosi il mutuo del venditore.In sostanza diventa il nuovo debitore della banca alle stesse condizioni del precedente.Non si paga nulla alla banca a titolo di istruttoria,di perizia o altro e neppure al notaio salvo la parcella per la compravendita.
Per i mutui a tasso variabile le differenza con le condizioni correnti non è sensibile,almeno in termini di interesse,e l’accollo potrebbe essere un opzione utile per entrambe le parti.
PREFINANZIAMENTO E PREAMMORTAMENTO:
Fra l’erogazione del mutuo e il decorrere della prima rata di pagamenti intercorre un periodo,durante il quale il mutuatario può essere chiamato a pagare gli interessi per la somma erogata,se il mutuo è garantito da un’ipoteca,il cliente pagherà gli interessi in base al tasso capitale pattuito con la banca.
Se l’erogazione precede la data del rogito,il cliente beneficia di una apertura di credito senza garanzie reali,di un prefinanziamento,per il quale gli interessi applicati potrebbero essere più elevati.
Durante il pre-ammortamento,il cliente paga solo interessi,senza estinguere il debito,ha in genere una durata variabile da uno a due mesi.
A seconda delle condizioni contenute nel contratto di mutuo,nel caso di mancato o ritardato pagamento di un numero di rate,la banca è autorizzata a richiedere al cliente la restituzione dell’intero debito residuo,da effettuarsi entro un termine stabilito in atto;in caso di inadempienza,ha in genere titolo ad agire per la riscossione del debito,procedendo al pignoramento ed alla vendita all’asta del bene.
A garanzia dei mutuatari,il mutuo è contrattualizzato con atto notarile pubblico,e quindi non più modificabile,salvo accordo scritto di entrambe le parti.
Pertanto,il fallimento del creditore e la cessione a terzi del credito sono trasparenti per il mutuatario,che avrà lo stesso piano di ammortamento,fornendo le stesse garanzie di partenza. Nel peggiore dei casi,una banca non può fallire e finisce in liquidazione coatta amministrativa.Le società finanziarie,invece,come normali imprese,possono fallire.
I soggetti terzi,che hanno diritti verso il mutuante,possono rivalersi verso i crediti vantati nei confronti,ma non possono cambiare la modalità di rimborso,o aggredire le ipoteche di primo grado.Se il mutuatario paga regolarmente e il titolare del mutuo fallisce,i suoi creditori non possono pignorare i beni dati in garanzia con ipoteca di primo grado,ne esigere l’intero debito residuo o accelerarne il rimborso.
(lo staff)
Dall’Emilia laboriosa e produttiva degli scorsi decenni alla crisi che,negli ultimi anni,ha messo in ginocchio una marea di artigiani,commercianti,piccoli imprenditori,liberi professionisti.Tutti alle prese con la crisi globale,certo,ma anche accomunati da una costante che emerge nel momento in cui viene a mancare la liquidità:i rapporti difficili con le banche. Le quali pur applicando contratti e clausole formalmente legali,spesso non aiutano chi è in difficoltà-complice anche il turn-over dei direttori delle filiali-e talvolta,sommando interessi e oneri accessori,varcano la soglia dell’usura.
Di tutto ciò si è parlato martedi sera scorso allo “Spazio incontro” del teatro De Andrè. Davanti ad una folta platea,si è discusso del costo dei soldi. In sala gli esponenti di associazione di categorie e vari addetti ai lavori.
Ha aperto il dibattito,un esponente di una neonata associazione,che ha organizzato l’incontro e che annunciato l’intenzione di realizzarne un altro all’aperto,magari proprio in piazza a Scandiano dove hanno sede tutte le banche,si,perchè uniti possiamo arrivare a fare una proposta alle banche,ha sostenuto.
Mattatore della serata un professionista specializzato in diritto bancario,esperto di anatocismo e usura bancaria.Dalle nostri fonti nel 92% dei conti correnti c’è anatocismo e usura bancaria,quando ti presenti in tribunale gli avvocati delle banche dicono sempre di aver seguito le leggi,ma leggi ad bancam e il controllore di Banca Italia non ha il potere di controllare.
Chiusa la fase dell’anatocismo,applicato fino al 2000,le banche hanno continuato ad applicare l ‘usura.Esiste il reato di usura oggettiva,punito dall’articolo 644 c.p.,ma non va mai in galera nessuno,perchè va individuato un responsabile preciso,e alla fine ti dicono che è colpa del computer.
Ma che cosa è esattamente l ‘usura bancaria?
L’usura bancaria è una fattispecie normativa introdotta dall’art 644 del codice penale italiano ed è stata riformulata dalla legge n. 108 del 7 marzo 1996,che ha appartato profonde innovazioni e modifiche in materia di usura nell’ordinamento giuridico dell’Italia.
La norma ha ridefinito il quadro complessivo descritto dalla fattispecie incriminatrice affiancando ai parametri puramente soggettivi,previsti dalla vecchia formulazione,nuovi parametri cosiddetti oggettivi.
L’intervento del legislatore,ha contribuito ad ampliare,in maniera notevole,l’ambito di applicazione del reato di usura,e conseguentemente l’area di tutela offerta dalla norma,che non è più relegata ad operare esclusivamente nei casi in cui sussista lo stato di bisogno del quale taluno abbia approfittato conseguendo vantaggi per se o per altri,ma opera anche ogni qual volta il limite posto dall’art 2 della stessa L. 108/96 venga superato.
Pertanto,quella che era una norma destinata ad offrire tutela in casi estremi,nell’ambito dei quali l’usura costituiva,nella pratica,l’anello di una catena di fattispecie delittuose spesso complesse e più gravi,grazie all’intervento legislativo del 1996,ha acquisito una diversa rilevanza.
Il legislatore,ha infatti,inteso delineare un importante ed oggettivo discrimine tra lecito e illecito nel settore dell’erogazione del credito.
Prima dell’introduzione della nuova norma,modalità e termini relativi all’erogazione del credito ed il costo del denaro erano rimessi alla volontà delle parti:ovviamente la parte contrattualmente più forte era nella situazione di poter dettare termini e condizioni in maniera arbitraria,stante l’assenza di regole,sanzioni e conseguenti responsabilità.
Con tale liberalità di mercato,in assenza di regole specifiche,era frequente,possibile e legale,che l’erogatore del credito addebitasse costi elevati al cliente e pertanto la L.108/96 ha colmato una lacuna normativa.
La norma è volta a sanzionare la condotta di chi,a fronte di operazioni di erogazioni di credito,applichi commissioni,remunerazioni a qualsiasi titolo e spese,escluse quelle per le imposte e tasse,collegate alla erogazione del credito superiori al limite determinato dall’art. 2 della L. 108/96,il principale ambito di operatività della disciplina è costituito dai conti correnti,dai muti e da altre operazioni di finanziamento e credito.
L’usura in conto corrente è determinata dai costi addebitati al correntista,connessi alle operazioni di erogazione del credito,per la determinazione del tasso di interesse usurario si tiene conto,delle commissioni,remunerazioni a qualsiasi titolo e delle spese,escluse quelle per imposte e tasse,collegate all’erogazione del credito.
Il costo del denaro deve,dunque,essere contenuto entro il limite del Tasso soglia d’usura,determinato dal legislatore,con il TEG rilevato trimestralmente dalla Banca d’Italia,e pubblicato trimestralmente sulla Gazzetta Ufficiale,aumentato del suo 50%.
Per la determinazione sono necessari,oltre al tasso d’interesse effettivamente applicato,dati tra i quali alcune informazioni inerenti a costi non immediatamente rilevabili,ma deducibili tramite calcoli matematici come gli interessi generati dall’applicazione della valuta,gli interessi generati dall’anatocismo,gli interessi generati dall’addebito della Commissione di Massimo Scoperto ed anche le spese.
Inseguito alla riforma operata dalla L. 108/96,ed all’abbattimento dei tassi d’interesse negli anni successivi,si creava una situazione per cui i mutui contratti prima del 1996 sarebbero divenuti usurari.In oltre,i tassi di interesse in essi previsti,in seguito alla riforma avrebbero superato il tasso soglia usura,e conseguentemente l’usurarietà del mutuo avrebbe consentito al mutuario di invocare l’applicazione dell’art 1815,comma 2 c.c. Se sono convenuti interessi usurari,la clausola è nulla e non sono dovuti interessi.
Inoltre,tale circostanza avrebbe consentito al mutuario di chiedere ed ottenere la restituzione di quanto versato in eccedenza.
Nel 2011 è stato emanato un Decreto attuativo detto “Decreto Sviluppo”:è stato constato che finora le banche erano soggette ad un limite sui tassi di interesse che potevano applicare al mutuo;il cliente poteva,nel caso avesse riscontrato un possibile tasso d’usura,rescindere il contratto,anche se da tempo,gli istituti di credito non accettavano molto volentieri questo vincolo ritenendolo leonino.
Ora per effetto del Decreto Sviluppo questo limite è stato innalzato.In sintesi cambia metodo per il calcolo del tasso di usura,prevedendo che la soglia venga definita aumentando del 25% il tasso medio rilevato con l’aggiunta di ulteriore 4%.Inoltre,la norma fissa un differenziale massimo tra tasso soglia
(lo staff)
Le banche hanno applicato interessi usurari a tutti i clienti in rosso attraverso il sofisticato meccanismo della maliziosa interpretazione di una circolare della Banca d’Italia la quale,unico caso al mondo,è completamente privata,di proprietà delle stesse banche che dovrebbe controllare. Dapprima applicando la Commissione di massimo scoperto non soltanto sulla parte immobilizzata del fido concesso,ma anche sulla parte effettivamente utilizzata dal cliente,determinando cosi per la banca una duplice remunerazione ed il superamento del tasso soglia.
Un malloppo,calcolando solo gli ultimi 10 anni,da 400 miliardi di euro,pari ad 800 mila miliardi di vecchie lire.
La Commissione di massimo scoperto,va calcolata o sull’intera somma messa a disposizione dalla banca,ovvero sulla somma rimasta disponibile in quel dato momento e non utilizzata dal cliente. La banca,infatti,nel momento in cui assume l’obbligo di tenere a disposizione del cliente una determinata somma di denaro,ad esempio cinquata mila euro,per un tempo determinato,destina quella determinata somma a quell’utente per la durata dell’affidamento,a prescindere della sa effettiva utilizzazione,poichè deve tenerla a disposizione di quel cliente. La natura della csm,come storicamente ed originariamente disegnata,impone quindi che la banca percepisca una commissione sull’intera somma affidata,anche nel caso che il cliente non utilizzi alcuna delle somme messe a sua disposizione dall’istituto di credito.Questo è ciò che ribadisce anche la Banca d Italia nelle proprie circolari. Nell’ipotesi che il cliente,invece,utilizzi solo in parte la somma affidata,la banca dovrebbe percepire un interesse corrispettivo per la somma utilizzata una commissione di massimo scoperto per la residua somma chiaramente fatto proprio dalla S.C. di Cassazione Civ.,n 870/06 la quale definisce la csm come”la remunerazione accordata alla banca per la messa a disposizione dei fondi a favore del correntista indipendentemente dall’effettivo prelevamento della somma”.
Le banche però,contrariamente alla sua natura ed alla definizione che ne fa la Suprema Corte,hanno dapprima calcolato le csm sull’intera somma utilizzata nel periodo,poi l’hanno esclusa dalle spese collegate alla effettiva erogazione del credito.
ECCO COME HANNO FATTO E COME SI DIFENDONO
La ratio della normativa sull’usura,anche a seguito delle modifiche apportate all’art.644 c.p. dalla L. 108/96,è stata quella di impedire che surrettiziamente si possa realizzare una “usura lecita” attraverso una maliziosa disciplina contrattuale. Per tale motivo è stata sancito che TEG vadano ricompensi tutti i costi e le spese,ad eccezione delle sole imposte e tasse. Le banche però,hanno assunto come parametro per la determinazione del costo del denaro le Istruzioni della Banca d’Italia emesse per la rivelazione del TAEG che contrastano solo apparentemente con la lettera dell’art 644 comma 4 c.p. e con l’art 2 comma della legge 108/96.Queste istruzioni escludono dalla determinazione del tasso di interesse numerosi costi. Tra questi vi sono oltre alle imposte e tasse:le spese legali e assimilate,gli interessi di mora e oneri assimilabili,gli addebiti per tenuta conto e per il servizio incassi e per i servizi accessori,le spese per assicurazioni,la commissioni di massimo scoperto.
Dette istruzioni della Banca D’Italia,in effetti,sono dettate esclusivamente da evidente esigenze statistiche di rivelazioni di dati scaturenti dall’obbligato esame di classi e categorie non omogenee di costo,non essendo possibile,in quanto assolutamente soggettivo,il rilievo di alcune voci di costo che,appunto,Bankitalia ha provveduto a ricomprendere nell’aumento del 50% del TEG.
Ora,è evidente che bella determinazione del tasso effettivo globale delle banche,non possono applicarsi gli stessi criteri di calcolo dettati dalla Banca d’Italia nelle sue istruzioni alle banche,poichè detti criteri trovano giustificazioni,come detto,unicamente nelle esigenze statistiche di rivelazione omogenea,che non possono tenere conto anche di dati ed elementi di costo estremamente soggettivi e di non facile rivelazione.
Nella determinazione del tasso soglia applicato dalla banche si dovrà,dunque,tenere conto di tutte le commissioni,nessuna esclusa,remunerazioni a qualsiasi titolo e spese,nessuna esclusa.
Ma esaminiamo in dettaglio il ruolo istituzionale della Banca d’Italia e del Ministero del Tesoro,nella rivelazione del TAEG e del taso soglia. La circolare della banca d’italia emanata come “istruzione per la rivelazione del tasso effettivo globale medio ai sensi della legge sull’usura”,consta di due sezioni;la sezione prima reca “istruzioni pere la segnalazione”;la sezione seconda “le modalità tecnico-operative per l’inoltro dell’informazione”
La Banca d’italia non è intervenuta per dettare sue norma riguardo alla metodologia di calcolo del TEG da parte delle singole banche.
Il dettato dell’art 2 della legge 108/96 prevede : “1.il Ministero del Tesoro,sentiti la banca d italia e l’ufficio italiano del cambi,rivela trimestralmente il tasso effettivo globale medio comprensivo di commissioni,di remunerazioni a qualsiasi titolo e delle spese,escluse quelle per imposte e tasse,riferito ad anno,degli interessi praticati dalle banche e dagli imprenditori finanziari iscritti negli elenchi tenuti dall’Ufficio Italiano del Cambi e della Banca d’Italia.” La Banca d’Italia,come detto,a tal punto,emana le sue istruzioni sulla rivelazione dei tassi praticati.E’ indiscutibile che il dettaglio legislativo appena riportato non sia stata pienamente rispettato,ed è altrettanto indiscutibile che la media cosi rivelata viene aumentata della metà,diventando cosi il limite previsto dal 3 comma dell’art 644 del c.p. oltre il quale gli interessi sono sempre usurari.
In altri termini la banca d’italia ha scelto,per ragioni evidentemente pratiche,di sintesi e statistiche,un metodo di raccolta dei dati ed in tal modo ha ritenuto di adempiere al disposto dell’art 2 della legge 108/96.
Tale operazione però,sebbene condotta in maniera discutibilissima,non può mutare i termini per la determinazione del TEG stabiliti dell’art 1 della 108/96.
Invece le banche,interpretando a loro favore detta circolare,si difendono davanti alle Procure italiane affermando che la Banca d’italia ha emesso proprie istruzioni indicando le spese non collegate al costo del denaro,che non vengono quindi calcolate agli effetti dell’usura.
E’ pacifico che l art 644 c.p. detta delle perentorie indicazioni sul calcolo del tasso soglia che devono essere rispettate:pena,l’evidente e indiscutibile violazione della legge. Le banche,non non contemplando nel calcolo del TEG tutte le spese collegate all’erogazione del credito,commettono un reato penale.
La Banca d’Italia infatti non ha la veste ne la funzione di interferire in tale ambito e difatti l’art.2 della citata legge non gliela conferisce.
Non vi è alcuna norma che attribuisca alla banca d ‘italia poteri di intervento ne sulle metodologie di calcolo ne sulla discriminazione degli elementi da includere o escludere nella determinazione del Teg delle banche previsto dall’art 644 del c.p.. La funzione della Banca d Italia,in questo ambito,è quella di rilevare i tassi medi;il dovere degli istituti erogatori di credito è quella di modulare le proprie richieste alla clientela entro i limiti previsti dalla legge 108/96 riferiti alla media dei tassi pubblicati,pena il reato di usura.
In definitiva la banca,nelle sue istruzioni,ha riportata l’art 644 c.p per il calcolo del tasso,che deve tenere conto delle commissioni,remunerazioni a qualsiasi titolo,e delle spese,escluse quelle imposte e tasse,e collegate all’erogazione del credito. Successivamente in apparente contraddizione con quanto sopra indicato dichiara di non tener conto della cms e delle altre spese,ma solo per la rivelazione ex art 2,perchè non omogenee e pertanto vengono ricomprese nell’aumento del 50% del teg.
Solo una intenzionale distorta interpretazione di tale circolare può portare a non tener conto di varie spese e della csm nella determinazione del tasso applicato dalla banche,integrando cosi una palese violazione del c.p. in materia di usura. E’ difatti impensabile che la Banca d ‘italia possa avere emanato una circolare in diretto contrasto con una norma del codice penale. Tale violazione può essere riconducibile solo al comportamento doloso degli istituti di credito.Essi difatti hanno posto in essere reati di usura snaturando a proprio beneficio la sopra citata circolare.
Che la csm sia parte integrante del costo del denaro è ormai giurisprudenza consolidata. L azione dolosa delle banche emerge senza ombra di dubbio nel fatto che detta maliziosa interpretazione non si riduce ad un fatto isolato,ne può parlarsi di errore,in quanto appare un comportamento diffuso su tutto il territorio,posto in essere dalle banche in maniera costante,almeno dal 1997 ad oggi.
Tutto ciò è ancora più vero se si considera che la csm,dal 1997 al 2004 era obbligatoria,mentre tutti gli altri tassi di interesse diminuivano in maniera vertiginosa. Nei vari procedimenti penali aperti per usura bancaria,i diversi rappresentati delle banche hanno adottato la tattica di addebitarsi reciprocamente le responsabilità,facendo rimbalzare da soggetti gerarchicamente differenti: il presidente ha addebitato responsabilità al dg;quest ultimi ai responsabili area marketing,poi ai direttori di filiale. Facendo da ultimo credere che il vero responsabile dell’applicazione dei tassi sia stato il computer.
Nei giorni scorsi il GUP di Ascoli Piceno ha disposto un approfondimento per rintracciare quale fosse l’entità dei poteri decisori in materia di tassi e condizioni alla clientela in capo ai Presidenti delle banche.
In questo modo,si spera,sarà cosi possibile accertare chi effettivamente ha dato l’ordine di impostare il programma dei computer.
Affinche non si ripeta ciò che è accaduto nei mesi scorsi a Palmi,dove il Tribunale ha assolto gli indagati dal reato nei confronti dell’imprenditore per non aver commesso il fatto.
La formula usata nella sentenza di proscioglimento getta comunque gli istituti bancari coinvolti nel fango,il Tribunale ha infatti confermato che l’usura c è stata,ma le indagine svolte dalla Procura non state in grado di individuare i colpevoli,logica vuole,comunque,che ci sia stato qualcuno che ha dato l’ordine di impostare il pc in violazione dell ‘art 644.
Infine sul punto si noti che la csm essendo applicata ogni trimestre,produce un rialzo dal 2 al 4% su tasso annuo applicato e fa incassare alle banche qualcosa come 43 miliardi di euro l’anno. Solo calcolando gli ultimi 10 anni le banche hanno sottratto agli italiani in rosso,di sole commissioni massimo scoperto,oltre 400 miliardi di euro.
Che la problematica esista è reso evidente anche dal fatto che nelle scorse settimane il Governo ha approvato un disegno di legge per eliminare tout court la Commissione di Massimo Scoperto.
(lo staff)