Un triplo vantaggio per le banche e una fregatura secca per le casse pubbliche. La riforma della Banca d’Italia,alla fine,è diventata legge dello stato. Seppur sofferto,è arrivato,il via libera definitivo della Camera al decreto legge Imu che,tra l altro,conteneva il blitz sulle quote di Bankitalia. Un abbinamento,quello tra le norme relative alla tassa sulla casa e quelle sul riassetto patrimoniale di via Nazionale,architettato dal Governo Letta per blindare il regalo agli istituti di credito.
E il ricatto,nonostante l’ostruzionismo del Movimento 5 Stelle cui si è aggiunta la levata di scudi di Fratelli d’Italia,ha avuto l’effetto sperato. C’è voluta la ghigliottina della Boldrini (il presidente della Camera ha infatti tagliato gli interventi in aula a Montecitorio,accelerando il voto) per assicurare il cadeau del esecutivo delle banche.
Per le finanze dello stato,come detto,c è la beffa. Con la perdita di gettito da 750 milioni di euro. A certificare il buco dei conti pubblici sono stati i tecnici della Camera.
Le nuove norme cambiano gli equilibri e per gli istituti sale a 450 milioni la fetta di utili garantita. Si riduce,gioco forza,quella dello stato che negli ultimi anni ha incassato da via nazionale rispettivamente 1 miliardo (2009),511 milioni(2012),677 milioni (2011) e 1.5 miliardi (2012). La riforma è retroattiva e perciò vale anche per lo scorso anno.
Tutto ciò a fronte di un gettito una tantum derivante dalla tassa 12% applicata alla plusvalenza tra valore originario del capitale di Bankitalia e quello aggiornato col decreto,cioè,7.5 miliardi di euro. I vantaggi per gli istituti,comunque, non si esauriscono con i dividendi. Grazie a quella montagna di quattrini nuova di zecca,gli istituti rafforzano il loro patrimonio in vista delle verifiche europee,e soprattutto ,in vista di Basilea 3,il nuovo meccanismo che regolerà l’erogazione dei prestiti alle imprese.
In qualche modo,dunque,si fa pagare alla collettività,le conseguenze dei guasti del sistema bancario. Un pasticcio clamoroso,insomma. E la conferma,nonostante gli strali a orologeria della lobby bancaria contro i presunti inasprimenti fiscali,che a palazzo Chigi i banchieri sono di casa.
I terzo regalo arriverà tra un pò. La riforma di Bankitalia pone un tetto alla partecipazione al capitale:3%. Limite oggi violato da quasi tutti gli azionisti,in particolare Intesa Sanpaolo e Unicredit che insieme hanno più del 50% delle quote. Entro 3 anni,bisogna scendere al 3%e ,al momento della cessione,gli istituti avranno denaro fresco in cassa. Per Intesa e Unicredit si tratta circa di 4 miliardi,stando ad alcune stime preliminari. Potrà essere la stessa Bankitalia a comprare temporaneamente azioni extra.
Il Tesoro nega l’esistenza di favori,ma la riforma grida vendetta. Da qui le proteste a Montecitorio,dove si è cercato di bloccare il decreto. Certo,il quadro sarebbe stato altrettanto caotico qualora il “si” di Montecitorio non fosse arrivato entro un certo orario.Anzi,per certi versi sarebbe stato peggio,specie se si guarda la faccenda dal punto di vista del cittadino. La mancata conversione del provvedimento d’urgenza avrebbe fatto decadere l’intero pacchetto normativo e per i contribuenti sarebbe tornato lo spettro della seconda rata IMU. A fonte del triplo regalo alle banche,dunque,il pericolo è stato scongiurato. Il balzello sugli immobili 2013 è andato in soffitta: il decreto prevede che il mancato gettito della rata Imu di dicembre sia scoperto dall’aumento dell ‘Ires a carico degli istituti di credito.
Un “sacrificio” che le banche hanno sopportato proprio in cambio dell’operazione Bankitalia. Ecco: anche il Quirinale,nel trovare il necessario collegamento tra le norme sull’Imu e quelle sul istituto centrale,deve aver guardato tra le piaghe dell’accordo sottobanco tra palazzo Chigi e i banchieri. I quali parlano di riforma sacrosanta e toccano le corde del confronto europeo.
Eppure,nel Vecchio continente non esiste altra banca centrale in mano ai privati come quella della Penisola. Nè ,soprattutto,esiste un board indicato dagli istituti. Quegli italiani continueranno a nominare il consiglio superiore di palazzo Koch. Sia chiaro: non avranno alcuna facoltà di intervenire sull’attività di vigilanza: la questione controllato azionista del controllore resta una formalità. Tuttavia,il consiglio superiore è l’organismo che decide sulla distribuzione dell’utile e sulla gestione delle riserve auree oltre che sulle riserve valutarie. E qualche interferenza con la politica,in questo terreno,non è da escludere a priori.
(lo Staff)