La cessione del quinto dello stipendio o della pensione costituisce una tipologia di finanziamento molto diffusa tra lavoratori dipendenti e pensionati. La materia è regolata dal DPR  5 gennaio 1950 n.180, così come modificato ed integrato dalla Legge 14 maggio 2005 n.80 e dalla  Legge 30 Dicembre 2004 n. 311 (Finanziaria 2005).

Come agevolmente intuibile dal nomen, la peculiarità del finanziamento in parola si rinviene nel fatto che il lavoratore cede al soggetto finanziatore (banca o finanziaria) una quota pari al 20% del proprio stipendio o della propria pensione, al netto delle ritenute. Infatti, la rata viene trattenuta mensilmente dalla busta paga e corrisposta direttamente dal datore di lavoro al soggetto finanziatore che ha erogato il prestito. Il rimborso può avere una durata massima di 120 rate (10 anni).

Descritto nei tratti essenziali lo schema giuridico sotteso alla cessione del quinto, traspare in maniera evidente che tale tipologia di prestito risulta essere molto conveniente per le banche e le finanziarie. In effetti l’intermediario che ha elargito il prestito gode di una duplice garanzia:

1) la presenza di una polizza assicurativa, obbligatoria per legge[1], collegata al prestito,  che copre il rischio in caso di morte (c.d. rischio vita) o di interruzione del rapporto di lavoro del soggetto finanziato (c.d. rischio impiego).

2) il vincolo sul TFR per l’eventuale interruzione del rapporto di lavoro che si dovesse verificare prima dell’estinzione dell’intero debito.

Altro indiscutibile vantaggio per l’intermediario è quello di esser sottoposto ad un minore rischio di insolvenza, in quanto la rata viene corrisposta direttamente dal datore di lavoro senza passare nelle mani del lavoratore. D’altra parte, ma solo a prima vista, la cessione del quinto dello stipendio potrebbe apparire come uno strumento utile per lavoratori dipendenti e pensionati, i quali, anche se risultano segnalati come cattivi pagatori nelle centrali rischi, possono ottenere rapidamente somme di denaro pagando una rata relativamente contenuta.

In realtà non è proprio così. Dopo aver illustrato sinteticamente i tratti salienti del finanziamento in parola, è opportuno evidenziare gli evidenti elementi di criticità ed le insidie che, purtroppo, si annidano al suo interno, di modo che il consumatore possa orientare le proprie scelte in maniera consapevole ed oculata.

La differenza tra montante lordo e capitale netto erogato. Quanto concretamente entra nelle tasche dei consumatori.
Quando il consumatore stipula una cessione del quinto dovrà prestare molta attenzione a due concetti spesso sottovalutati: montante lordo e capitale netto erogato. Il montante lordo si determina effettuando un calcolo elementare, ovvero moltiplicando l’importo della rata per il numero delle rate previste. Ad esempio, se il finanziamento prevede una rata da €.200,00 da rimborsare in 120 rate, il montante lordo sarà pari ad €.24.000 (200 x 120). Questa è la cifra complessiva che dovrà essere restituita alla banca, ma che non rappresenta assolutamente la somma netta che sarà messa a disposizione del soggetto finanziato. In effetti, dal montante lordo è necessario sottrarre le seguenti voci: interessi al Tasso Annuale Nominale, commissioni cessionario, commissioni agente/mediatore creditizio, oneri erariali e spese, costi polizza assicurativa. Solo sottraendo tali voci che hanno un peso importante, si determina la somma netta che verrà effettivamente “consegnata” nelle mani del soggetto finanziato.

Ebbene, è proprio nel momento della erogazione che possono disvelarsi spiacevolissime sorprese. Infatti, molto spesso, effettuando gli opportuni calcoli, si viene a scoprire che la somma concretamente ricevuta è spaventosamente inferiore rispetto a quella che dovrà essere restituita.

Uno dei tantissimi casi recentemente portati alla cognizione dell’Arbitro Bancario Finanziario potrà assurgere ad esempio chiarificatore.
Da una cessione del quinto che prevede una rata mensile da €.203,00 da rimborsare in 120 rate, con un TAN pari al 5,60%, un TAEG pari al 20,929%, un TEG (dichiarato) 14,898%, e con il  Tasso Soglia Usura fissato al 15,105%, è possibile ricavare:

Importo rata mensile  €.203,00 Numero rate 120 Montante lordo €.24.360,00
Interessi Tan 5,60% €.5.739,99
Commissioni Cessionario €.4.068,12
Commissioni Agente/Mediatore Creditizio €.1.461,60
Oneri Erariali e Spese €.23,20
Polizza assicurativa €.2.250,94
Totale €.13.543,85
Capitale Netto Erogato(montante lordo €.24.360,00 –Costi €.13.543,85) €.10.816,15

In altri termini, dopo aver ricevuto la somma di €.10.816,15 si dovrà restituire la complessiva somma di  €.24.360,00 !! si tratta di una cifra abnorme e sproporzionata. Ciò che lascia perplessi è il fatto che i tassi praticati siano comunque elevatissimi, malgrado si tratti di un finanziamento che poggia su solide garanzie e che si rivolge alle fasce più deboli della popolazione. Vi starete chiedendo: ma tutto questo è legale ? Ebbene, a questa domanda le banche risponderanno laconicamente con un “certo che si”, in quanto non si è registrato un superamento del Tasso Soglia Usura (T.S.U.) per come previsto dalla L. 108/96. Un avvocato più attento e con esperienza in materia, invece, vi risponderà con un “dipende”, in quanto è necessario verificare come la banca abbia calcolato e quali voci di costo abbia incluso nel T.E.G.  (Tasso Effetivo Globale), ovvero il tasso che non deve essere superiore al T.S.U. .

Si rammenta, infatti, che in caso di superamento del tasso soglia usura le conseguenze sarebbero dirompenti, in quanto ai sensi della art. 1815 co. 2 c.c. non sarebbero dovuti più interessi e, di conseguenza, il prestito diverrebbe gratuito con l’obbligo di rimborsare il solo capitale.

Il possibile superamento del Tasso Soglia Usura ex L. 108/96
Come anticipato più sopra, per tutti i contratti di cessione del quinto, in qualsiasi data siano stati stipulati, è opportuno controllare i tassi effettivamente applicati dalla banca, onde appurare il rispetto della normativa sull’usura.
Peraltro, con particolare attenzione ai contratti di cessione del quinto dello stipendio stipulati prima del 01.07.2009 è stata frequentemente riscontrata un’anomalia che potrebbe determinare il superamento del tasso soglia usura.

Ai sensi dell’art. 644 co. IV c.p. “per la determinazione del tasso di interesse usurario si tiene conto delle commissioni, remunerazioni a qualsiasi titolo e delle spese, escluse quelle per imposte e tasse, collegate alla erogazione del credito”.

Nel caso specifico della Cessione del Quinto, il punto nodale e dirimente della vicenda si addensa attorno ad una voce di costo, la polizza assicurativa per il rischio vita o impiego, ed alla sua inclusione o meno nel T.E.G. .
Infatti, fino al mese di Luglio del 2009, le banche nel rilevare il T.E.G. (Tasso Effettivo Globale), che serve per verificare il travalicamento del tasso Soglia Usura ex L.108/96, NON hanno tenuto conto del costo della polizza assicurativa[2].
Successivamente, con l’adozione delle nuove istruzioni di Banca d’Italia nell’Agosto del 2009, anche tale voce è stata inclusa[3] nella rilevazione del TEG.
In altri termini, le banche sostengono che siccome hanno ricevuto istruzioni direttamente dalla Banca d’Italia, fino a Luglio del 2009 il costo della polizza non deve essere preso in considerazione per la verifica dell’usura.
In realtà, proprio sulla valenza delle istruzioni della Banca d’Italia si è innestata un’accesa querelle giurisprudenziale, non ancora sopita, sulla quale gli operatori del diritto si stanno dando battaglia[4]. Ciò premesso, ai fini del presente contributo relativo alla cessione del quinto, si segnalano i seguenti arresti giurisprudenziali che, sposando l’orientamento più favorevole, hanno dato ragione ai consumatori considerando il costo della polizza assicurativa nel calcolo del T.E.G. e, per l’effetto, hanno riconosciuto il superamento del Tasso soglia usura.

Il Tribunale di Padova con Ordinanza del 13.03.2014 ha stabilito che “non vi è alcun dubbio che le spese di assicurazione debbano essere prese in considerazione ai fini della determinazione del tasso usurario, atteso il chiaro disposto dell’art. 2 delle legge 108 del 1996, secondo cui si devono tenere in considerazione tutte le commissioni, le remunerazioni a qualsiasi titolo e le spese, escluse quelle per imposte e tasse”.
La Corte di Appello di Torino con la Sentenza del 20.12.2013 ha osservato che “le Istruzioni della Banca d’Italia, di cui alla disciplina dell’usura, non hanno alcuna efficacia precettiva nei confronti del giudice nell’ambito del suo accertamento del TEG applicato alla singola operazione, né debbono essere osservate dagli operatori finanziari quando stabiliscono il tasso di interesse di un determinato rapporto; e ciò sia perché le stesse non sono finalizzate a stabilire il TEG, sia perché sono disposizioni non suscettibili di derogare alla legge”.
La Corte d’Appello di Milano con la Sentenza n. 3283 del 23.08.2013 ha avuto modo di evidenziare che “debba essere ricompresa, nel calcolo del tasso praticato, anche la polizza assicurativa finalizzata alla garanzia del rimborso del mutuo, atteso che essa è condizione necessaria per l’erogazione del credito ed attesa, altresì, la sua natura remunerativa, sia pure in via indiretta per il mutuante“.

Il Tribunale di Busto Arsizio con la Sentenza n. 262 del 12.02.2013 ha stabilito che ai fini della determinazione del tasso di interesse usurario si deve tener conto delle commissioni, remunerazioni a qualsiasi titolo e delle spese, escluse quelle per imposte e tasse, collegate alla erogazione del credito (e quindi anche della polizza assicurativa per cui è causa, quale costo inevitabile per la concessione del mutuo, che altrimenti non viene erogato dall’istituto finanziatore), sicché devono ritenersi rilevanti, ai fini della determinazione della fattispecie di usura, tutti gli oneri che il contraente sopporta in connessione con l’erogazione del credito”.
In tutti i casi sopra citati, accertato il superamento del tasso soglia usura, il prestito è divenuto gratuito, con diritto alla restituzione di quanto illegittimamente pagato in eccedenza e con obbligo di rimborsare il solo capitale.
Il tema è di grande attualità ed estremo interesse, in quanto un approfondito controllo su tale categoria di finanziamenti potrebbe spianare la strada a numerose richieste di rimborso. Veritas vos liberat !

Avv. Luca Barone Foro di Cosenza 371/1146023

lucabarone84@virgilio.it

A cura : Avv. Luca Barone

[1] Cfr Art. 54 DPR 180/1950 (garanzia dell’assicurazione o altre malleverie) le cessioni di quote di stipendio o di salario consentite a norma DEL TITOLO II e del presente titolo (Legge finanziaria 311/2005) devono avere la garanzia dell’assicurazione sulla vita e contro i rischi di impiego od altre malleverie che ne assicurino il ricupero nei casi in cui per cessazione o riduzione di stipendio o salario o per liquidazione di un trattamento di quiescenza insufficiente non sia possibile la continuazione dell’ammortamento o il ricupero del residuo credito” […].

[2] Le previgenti istruzioni della Banca di Italia per la rilevazione dei Tassi Effettivi Globali Medi ai sensi della Legge sull’usura, adottate nel Febbraio 2006, prevedevano esplicitamente che “nelle operazioni di prestito contro cessione del quinto dello stipendio e assimilare indicate nella Cat. 8 le spese per assicurazione in caso di morte, invalidità o disoccupazione del debitore non rientrano nel calcolo del tasso purché certificate da apposita polizza”.

[3] Le nuove istruzioni della Banca di Italia adottate ad Agosto 2009, al punto C4 n. 5 prevedono che sono da includere nel T.E.G. “le spese per assicurazioni o garanzie intese ad assicurare il rimborso totale o parziale del credito ovvero a tutelare altrimenti i diritti del creditore (ad es. polizze per furto e incendio sui beni concessi in leasing o in ipoteca), se la conclusione del contratto avente ad oggetto il servizio assicurativo è contestuale alla concessione del finanziamento ovvero obbligatoria per ottenere il credito o per ottenerlo alle condizioni contrattuali offerte, indipendentemente dal fatto che la polizza venga stipulata per il tramite del finanziatore o direttamente dal cliente”.

[4] Secondo l’orientamento più favorevole per i clienti, le circolari e le istruzioni della Banca d’Italia non sono vincolanti, in quanto non rappresentano una fonte di diritti ed obblighi e rilevano a fini meramente statistici e consultivi per il calcolo dei TEGM (Cfr Corte di Cassazione, sez. II Penale, Sentenza n. 46669 del 19 Dicembre 2011; Cassazione penale, sez. II, Sentenza n. 12028 del 26 Marzo 2010 e Cassazione Penale, sez. II, n. 28743/2010 del 14 Maggio 2010). Pertanto, le banche non possono giustificarsi sostenendo di essersi scrupolosamente attenute alle istruzioni impartite dalla Banca d’Italia.

Secondo l’orientamento contrario, invece, le istruzioni della Banca d’Italia hanno carattere vincolante, poiché rivestono la natura di norme tecniche autorizzate e consentono di avere a disposizione dati omogenei per poterli raffrontare (Cfr Tribunale di Milano, Sentenza n. 15318 del 23 dicembre, 2014; Tribunale di Milano Sentenza del 21.10.2014 )