PRESENTIAMO ALCUNE SENTENZE EMESSE A FAVORE DEI CITTADINI ,SARA’ NOSTRO IMPEGNO AGGIORNARE OGNI GIORNO LE EVENTUALI DECISIONI A FAVORE DEL POPOLO .
TRIBUNALE DI LECCE
Sezione Distaccata di Nardò
SENTENZA n.42/04
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Giudice Unico del Tribunale di Lecce, Sezione Distaccata di Nardò ha pronunziato la seguente
SENTENZA
nella causa civile iscritta al n. 820 1/99 del Ruolo Generale promossa
DA
PAGLIARA FERNANDO, rappresentato e difeso dall’avv. A. Tanza
CONTRO
ROLO BANCA 1473 S.p.A., rappresentata e difesa dagli avv. M. Sesta e L. Erroi All’udienza del 23-12-2003 le parti precisavano così le conclusioni:
per l’attore: riportandosi a quelle rassegnate nell’atto di citazione e nei successivi scritti di parte e verbali di causa;
per la convenuta : riportandosi a quelle precisate nella comparsa di costituzione e risposta e nei successivi scritti difensivi e verbali di causa.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione notificato a controparte il 22-6-1999 Fernando Pagliara, associato Adusbef, riferiva di avere intrattenuto con il CREDITO ROMAGNOLO S.p.A., ora ROLO BANCA 1473 S.p.A., filiale di Copertino un rapporto di apertura di credito con affidamento mediante scopertura sul c/c n. 621 e sconto effetti iniziato il 6-9-1990 che, secondo l’ultima richiesta della banca, aveva quale saldo passivo £ 141.899.175, oltre £ 258.024.840 per titoli cambiari scontati salvo buon fine e non onorati, nonché interessi ; nel contestare la misura del credito vantato dalla banca, eccepiva:
· la nullità della c.d. clausola interessi uso piazza, in quanto il contratto base originario che regolava il rapporto di apertura di credito non statuiva un tasso legale ultralegale, ma faceva riferimento alle condizioni praticate usualmente dalle aziende di credito sulla piazza: conseguiva alla nullità l’applicazione in via suppletiva ex art. 1284 u.c. c.c. dell’interesse legale annuale sia sui saldi attivi che passivi (con applicazione anche dell’ art. 1370 c. c. in materia di interpretazione contro l’autore della clausola), con insorgenza del diritto alla ripetizione degli interessi ultralegali oggetto di indebito pagamento nel limite prescrizionale di 10 anni a decorrere dalla data di chiusura dell’intero rapporto;
· la nullità della convenzione anatocistica preventiva e trimestrale, che potrebbe essere consentita ai sensi dell’art. 1283 c.c. solo in presenza di un uso normativo che espressamente la preveda, ma non esistono usi normativi. di tal fatta antecedenti all’entrata in vigore del codice civile del 1942, né possono essersene validamente formati di successivi ; peraltro nulla doveva considerarsi la clausola contrattuale secondo cui la capitalizzazione trimestrale degli interessi continua ad operare anche dopo la cessazione del rapporto e fino alla data di estinzione del debito;
· l’inammissibilità della provvigione di massimo scoperto (C.M.S.) in mancanza di espressa convenzione tra le parti, ma anche di alcuna previsione normativa;
· l’inammissibilità della determinazione della valuta operata dalla banca valuta fittizia risultante dall’aggiunta o dalla sottrazione di un certo numero dei c.d. giorni banca alla valuta effettiva (in cui il giorno a partire dal quale la somma corrispondente diventa fruttifera coincide con quello in cui la banca acquista o perde la disponibilità giuridica delle somme versate o prelevate);
· l’illegittimità di spese e commissioni che, unitamente ad interessi ultralegali, provvigioni di massimo scoperto, giorni di valuta e capitalizzazione trimestrale, costituiscono un insieme di esborsi che, espressi in percentuale annua (tasso effettivo globale T.E.G.), il cliente sostiene per l’utilizzo di una somma di denaro concessagli in credito dalla banca e risultano superiori a quelli di mercato;
· l’illegittimità della segnalazione alla Centrale dei Rischi presso la Banca d’Italia della posizione di rischio di parte attrice come posizione a sofferenza, nonostante la piena e dimostrata capacità del soggetto di far fronte al presunto debito con il suo patrimonio e l’insussistenza dei debiti;
pertanto chiedeva che venisse dichiarata l’invalidità e la nullità parziale dei singoli contratti di apertura di credito, di conto corrente e di sconto effetti oggetto del rapporto tra le parti; che venisse determinato l’esatto dare-avere tra le parti in base ai risultati del ricalcalo da effettuarsi a mezzo di C.T.U. ; che venisse determinato il costo effettivo annuo del rapporto bancario ; che la banca convenuta venisse condannata alla restituzione delle somme illegittimamente addebitate e/o riscosse, oltre agli interessi legali creditori in suo favore, con compensazione di dette somme con quelle relative agli effetti cambiai-i insoluti; che venisse dichiarata l’invalidità di ogni altra obbligazione connessa all’impugnato rapporto bancario ; che la banca convenuta venisse condannata al risarcimento dei danni subiti da esso attore a seguito dell’illegittima segnalazione alla Centrale rischi presso la Banca d’Italia del rischio a sofferenza e falsamente quantificato; con vittoria di spese e competenze di lite.
Con comparsa di costituzione con domanda riconvenzionale si costituiva la ROLO BANCA 1473 S.p.A. rilevava quanto segue:
la condotta tenuta dall’ex Credito Romagnolo era sempre stata conforme ai patti contrattuali validamente intercorsi tra le parti;
il Pagliara non aveva mai contestato gli estratti conto regolarmente inviatigli e che quindi dovevano ritenersi approvati ai sensi dell’ art. 18 delle condizioni generali di conto corrente ed anzi aveva riconosciuto espressamente con lettera dell’1-3-1993 il proprio debito;
tanto premesso e considerate la piena validità della pattuizione degli interessi in misura ultralegale tramite rinvio alle condizioni usualmente praticate dalle banche sulla piazza e l’espressa approvazione ex artt. 1341 e 1342 c.c. dell’art. 16 delle condizioni generali di e/e in forza del quale è stata data alla banca la possibilità di modificare unilateralmente l’ammontare degli interessi nel corso del rapporto, gli interessi erano stati computati in conformità del criterio fissato dalle parti in via preventiva;
l’applicazione della C.M.S. (che si sostanzia in un costo aggiuntivo dovuto dal correntista per il credito concessogli extra fido dalla banca ed è funzionale al contenimento delle operazioni di addebito in e/e non coperte da apertura di credito) e la determinazione della valuta erano state effettuate sulla base della previsione e valida pattuizione di cui all’art. 7 delle condizioni generali di e/e : peraltro irrilevante doveva ritenersi in ragione dell’autonomia negoziale la mancata previsione normativa dell’applicazione della C.M.S., mentre rilevante sarebbe stata solo una previsione normativa che la vietasse:
quand’anche la pattuizione di interessi ultralegali fosse stata invalida, lo spontaneo pagamento costituirebbe adempimento di obbligazione naturale con conseguente irripetibilità dell’importo versato;
quanto all’applicazione dell’ anatocismo relativamente agli interessi debitori, era intervenuto il Digs. 23-7-1999 ad affermare espressamente la legittimità delle clausole che lo prevedevano;
· vi è l’obbligo per gli istituti di credito di comunicare tempestivamente ed indistintamente ogni posizione registrata a sofferenza alla Centrale Rischi;
· assolutamente generica doveva ritenersi la contestazione riguardo al fatto che il T.E.G. sarebbe superiore ai valori di mercato;
pertanto chiedeva il rigetto di tutte le avverse domande e, in via riconvenzionale, la condanna del Pagliara al pagamento della somma di £ 141.899.175 oltre interessi pattuiti dall’1-1-1994 al saldo nonché della somma di £ 258.024.840, per titoli cambiai-i scontati salvo buon fine e non onorati, oltre interessi pattuiti dal dì del dovuto al saldo, ovvero, in denegata ipotesi, della minor somma che sarebbe risultata di giustizia, con vittoria di spese, competenze ed onorari.
Nel corso del giudizio veniva disposta CTU contabile; all’udienza del 23-12-2003 le parti precisavano le conclusioni nei termini di cui sopra. –
MOTIVI DELLA DECISIONE
Occorre preliminarmente osservare che ad avviso di questo giudicante non può ritenersi valida la costituzione in giudizio intervenuta solo in sede di comparsa conclusionale da parte della UniCredit Banca S.p.A. in luogo dell’originariamente costituita Rolo Banca 1473 S.p.A. (a seguito di fusione per incorporazione, modificazione di denominazione sociale e conferimento di ramo d’azienda), per cui la presente decisione verrà emessa nei confronti della Rolo Banca 1473 S.p.A.
Passando al merito della controversia, dalla CTU contabile espletata è emerso che il rapporto tra le parti, avviato con l’apertura del e/e n. 621 presso la filiale di Novoli dell’allora Credito Romagnolo S.p.A. da parte dell’attore, ha avuto una durata di 1243 giorni dal 6 settembre 1990 al 31 gennaio 1994, allorché il e/e evidenziava un saldo debitore di £ 141.899.175.
Veniamo all’esame delle questioni sollevate dall’attore.
Preliminarmente occorre precisare che secondo un consolidato orientamento del supremo Collegio “la mancata tempestiva contestazione dell’estratto conto trasmesso da una banca al cliente rende inoppugnabili gli accrediti e gli addebiti solo sotto il profilo strettamente contabile, ma non sotto quelli della validità ed efficacia dei rapporti obbligatori dai quali le partite inserite nel conto derivano” (Cass. Civile, Sez. I, 11-3-1996 n. 1978), sicché deve escludersi l’asserita natura confessione della ripetuta approvazione degli estratti conto da parte dell’attore a fronte delle eccezioni di nullità di clausole contrattuali.
Cominciando da quella relativa alla previsione di interessi ultralegali uso piazza, questo giudice precisa di aderire a quell’orientamento rigoroso del Supremo Collegio che anche per i contratti stipulati anteriormente all’entrata in vigore della L. 154/92 prevede:
· che debbano essere determinati per iscritto ex art. 1284 c.c.;
· che possano essere determinati per relazionem, ma solo “attraverso il richiamo a criteri prestabiliti ed elementi estrinseci, purché obiettivamente individuabili” (Cass. Civile, Sez. I, 23-6-1998, n. 6247);
sicché, sempre secondo la testé citata sentenza, non deve ritenersi “sufficientemente univoca la clausola che si limiti ad un mero riferimento per relazionem”, che “può considerarsi sufficiente soltanto ove esistano vincolanti discipline del saggio, fissate su scala nazionale con accordi di cartello, e non già ove tali accordi contengano diverse tipologie di tassi, o, addirittura, non costituiscano più un parametro centralizzato e vincolante”.
Nel caso di specie 1’ art. 7 Co. delle condizioni generali di contratto ha previsto testualmente : “Gli interessi dovuti dal Correntista alla Banca, salvo patto diverso si intendono determinati alle condizioni praticate usualmente dalle Banche sulla piazza, e producono a loro volta interessi nella stessa misura”.
Orbene non è dubbio che il generico riferimento per relazionem “alle condizioni praticate usualmente dalle Banche sulla piazza” non risulti ancorato ad un accordo di cartello a livello nazionale.
Ne discende la nullità della clausola in questione.
Va inoltre dichiarata la nullità della clausola di applicazione della provvigione delle commissioni di massimo scoperto e delle spese di tenuta del conto, in quanto l’art. 7 Co. delle condizioni generali di contratto ha precisato : “Le operazioni di accredito e di addebito vengono regolate secondo i criteri concordati con il Correntista o usualmente praticati dalle Banche sulla piazza con le valute indicate nei documenti contabili o comunque negli estratti conto. Secondo gli stessi criteri sono applicate e rese note le commissioni sul massimo scoperto e le spese di tenuta del conto” : tale clausola (non ritenendosi invece fondata l’asserita mancanza di valida giustificazione causale con particolare riferimento alla cms) deve ritenersi nulla per indeterminatezza dell’oggetto ex art. 1346 c.c., rinviando o ancora una volta ad un non meglio precisato uso piazza ovvero a criteri concordati tra le parti ed evidentemente da trasfondere in una convenzione non reperita dal CTU, che ne ha dato atto in contraddittorio con i CTP (vedi verbale – delle operazioni di CTU del 16-10-2002).
Nulla parimenti per violazione dell’art. 1283 c.c. deve ritenersi la clausola di applicazione della capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi, contenuta nel citato art. 7 Co. delle condizioni generali di contratto, che appare non riconducibile alle ipotesi di anatocismo riconosciute dalla predetta norma codicistica (allorché a tal fine sia stata proposta domanda giudiziale ovvero sia stata stipulata convenzione posteriore di almeno 6 mesi dalla scadenza degli interessi produttivi di interessi) in mancanza di usi (sicuramente normativi) contrari, a fronte della consolidata giurisprudenza del Supremo Collegio — a cui questo giudice ritiene di aderire – che, a partire dalle note sentenze della Sez. I del 16-3-1999 n. 2374 e della Sez. III del 30-3-1999 n. 3096, ha ritenuto meri usi negoziali e non già normativi quelli posti a fondamento delle clausole di applicazione della capitalizzazione trimestrale degli interessi dovuti dal cliente alla banca (in particolare entrambe le citate sentenze hanno precisato che le c.d. norme bancarie uniformi in materia di conto corrente di corrispondenza e servizi connessi, predisposte dall’ABI per la prima volta con effetto dall’1-1-1952 e regolanti trimestralmente la capitalizzazione degli interessi, attestano l’esistenza di una vera e propria consuetudine mai accertata invece dalla -Commissione Speciale Permanente presso il Ministero dell’Industria e che gli accertamenti di conformi usi locali da parte di alcune Camere di Commercio provinciali sono tutti successivi al 1952). Va poi dichiarata nulla la citata clausola contrattuale di cui all’art. 7 Co.4° delle condizioni generali di contratto anche con riferimento alla determinazione dei giorni di valuta sempre per le evidenziate ragioni dì indeterminatezza dell’oggetto della clausola, confermata anche in questo caso dalla riscontrata (nel già richiamato verbale delle operazioni di CTU del 16-10-2002) insussistenza di una specifica convenzione tra le parti.
Pertanto nella determinazione del saldo dare — avere tra le parti, per cui si rimanda alla decisione definitiva all’esito di opportuni chiarimenti da parte del CTU, andrà tenuto conto delle odierne statuizioni sulla nullità delle suindicate clausole contrattuali.
Infine con la presente decisione non definitiva, rinviando alla definitiva la statuizione sulle ulteriori domande proposte dalle parti, si può rigettare la domanda attorea di condanna della banca convenuta al risarcimento dei danni conseguenti alla –asserita- illegittima segnalazione alla Centrale Rischi presso la Banca d’Italia del rischio a sofferenza dell’attore falsamente quantificato, avuto riguardo alla circostanza che, a fronte di una rilevata posizione di sofferenza (che peraltro non sembra venuta meno anche all’esito della declatoria di nullità delle suindicate clausole contrattuali) la banca convenuta aveva l’obbligo di effettuare la contestata segnalazione alla Centrale Rischi presso la Banca d’Italia.
Le spese vanno liquidate al definitivo.
Provvede separatamente con ordinanza sul prosieguo del giudizio
P.Q.M.
il Tribunale, non definitivamente pronunciando, dichiara la nullità delle clausole di cui alle condizioni generali del contratto del 6-9-1990 relative agli interessi convenzionali, alla capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi, alle commissioni di massimo scoperto, alle spese di tenuta del conto ed alla determinazione di giorni di valuta;
rigetta la domanda di risarcimento dei danni conseguenti alla segnalazione alla Centrale Rischi presso la Banca d’Italia del rischio a sofferenza dell’attore Pagliara Fernando spese al definitivo provvede separatamente sul prosieguo del giudizio.
Nardo ‘5 aprile 2004
IL GIUDICE
Dr. Nicola LARICCIA
§§§
Il commento
di
Rosanna Cafaro
La mancata tempestiva contestazione dell’estratto conto trasmesso da una banca al cliente rende inoppugnabili gli accrediti e gli addebiti solo sotto il profilo strettamente contabile, ma non sotto quelli della validità ed efficacia dei rapporti obbligatori dai quali le partite inserite nel conto derivano.
Non ha natura di confessione la ripetuta approvazione degli estratti conto da parte dell’attore a fronte delle eccezioni di nullità di clausole contrattuali.
E’ nulla la clausola c.d. di “uso piazza, in quanto il generico riferimento per relationem “alle condizioni praticate usualmente dalle Banche sulla piazza” non risulti ancorato ad un accordo di cartello a livello nazionale.
E’ nulla, per indeterminatezza dell’oggetto ex art. 1346 c.c., la clausola di applicazione della provvigione delle commissioni di massimo scoperto e delle spese di tenuta del conto.
Del pari, è nulla, per violazione dell’art. 1283 c.c., la clausola di applicazione della capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi.
Ancora una volta il Tribunale di Lecce (Cfr., Trib., ordinanze 21/10/1999; 29/10/1999 e 10/12/1999: r.o. nn. 690 e 753 del 1999, n. 44 del 2000; Trib. Sent. 352/2004; C. Appello, sent. 27/6/2000; C. Appello, sent. 22/10/2001; C. Appello 6/2/2001;) si è rivelato particolarmente sensibile alle istanze degli utenti bancari, in materia di contratti di conto corrente e di interessi passivi.
Per anatocismo si intende il fenomeno della produzione degli interessi sugli interessi, oppure interessi composti nell’ambito delle obbligazioni pecuniarie, nel senso che è possibile che interessi, scaduti per il decorso del termine di esigibilità, possano produrre a loro volta interessi, i quali pertanto andranno a computarsi su un importo comprensivo del capitale e degli interessi che su di esso sono maturati e che ad esso si incorporano (si capitalizzano), indicando la misura attuale della esposizione del debitore, anzichè sulla somma originariamente accreditata.
“Ad esempio, quando la banca anticipa al cliente, contro il pagamento degli interessi corrispettivi (ovvero di interessi dovuti quale corrispettivo del godimento che il debitore abbia dalla disponibilità del capitale per un periodo di tempo) nella misura contrattuale del 10% annuo, la somma di lire 10 milioni, il cliente divenuto debitore dei 10 milioni, una volta trascorso il periodo di capitalizzazione degli interessi (l’anno, il semestre, o, come sempre accade, il trimestre), dovrà restituire alla banca, oltre alla somma ed agli interessi corrispettivi maturati – nel caso qui richiamato 10 milioni di capitale e 1 milione di interessi – anche gli ulteriori interessi, appunto denominati anatocistici o composti; essi si sono prodotti non più sulla somma originaria ma sulla maggiore somma di 11 milioni (10 milioni di capitale e 1 milione di interessi prodotti e dunque capitalizzati).” (Cafaro R. – Tanza A., La tutela dei consumatori nel credito, nei servizi finanziari e bancari, Piacenza, 2003, 135)
Così, a parità di tasso di interesse corrispettivo, ad ogni scadenza del periodo di capitalizzazione, aumenta la somma di denaro su cui si producono e si calcolano gli interessi.
Sin dai tempi di Giustiniano le usurae usurarum erano viste con particolare disfavore ed il legislatore ha sempre condiviso tale punto di vista, così che nel codice civile del 1942 “all’art.1283, ha infatti previsto che gli interessi possano produrre nuovi interessi alle seguenti rigorose condizioni: 1) gli interessi che si vogliono portare a capitale devono essere scaduti da almeno sei mesi (quindi per i primi sei mesi l’anatocismo non opera); 2) deve essere presentata apposita e specifica domanda giudiziale; 3) (in alternativa alla domanda giudiziale) occorre stipulare idonea convenzione successiva alla scadenza degli interessi.
In mancanza della domanda giudiziale o della convenzione posteriore alla scadenza degli interessi, questi ultimi restano infruttiferi.” (Sempre, Cafaro R. – Tanza A., cit., 136)
Essendo l’art.1283 c.c. una norma imperativa, non derogabile dai privati, la violazione di essa produce la nullità delle relative pattuizioni anteriori alla scadenza degli interessi.
La sentenza in rassegna si segnala anche per il principio sancito in tema di contestazione/approvazione dell’estratto conto, documento certificato dal dirigente, il cui valore probatorio è limitato ai soli fini dell’ottenimento del decreto ingiuntivo.
Per unanime e consolidato orientamento giurisprudenziale, in un ordinario giudizio di cognizione, l’efficacia probatoria dell’ estratto conto è regolata dai principi generali (Trib. Genova, sent. 1/4/1999, Gius, 1999, pag. 2446; C.Cass., sent.10/8/1990, n. 8128, in Giustizia Civile, 1991, I, 51; Trib. Cagliari, sent. 4/7/1989, in Riv. Giur. Sarda, 1991, 75; Trib. Milano, sent.13/10/1988, in Banca, Borsa e titoli di credito, 1990, II, 213; inoltre, Trib. Alessandria, sent.13/5/1997, in Giur. It., 1998, 54, con nota di Ziino; Trib. Venezia, sent.4/6/1992, in Foro It., 1994, I, 289, secondo cui il saldaconto non costituisce neppure prova idonea per l’ingiunzione di pagamento.); mentre, “la migliore dottrina e giurisprudenza, attenendosi alla lettera della norma, hanno sottolineato il carattere eccezionale, circoscrivendo, tassativamente, il valore probatorio al procedimento monitorio; mentre si è riconosciuto al documento medesimo, nell’ambito del giudizio di cognizione, l’idoneità a fornire meri elementi di prova indiziaria atti a contribuire soltanto nel contesto di altri elementi ugualmente significativi alla formazione del libero convincimento del giudice.” (Ancora, Cafaro R. – Tanza A., cit., 122)
Di solito, nelle controversie fra banca e utente, la prima solleva solitamente la medesima eccezione per contestare la richiesta di ripetizione delle somme : l’eccezione è quella di decadenza per mancata contestazione dell’estratto conto.
In tal senso, deve delimitarsi l’estensione dell’effetto preclusivo, derivante dalla mancata tempestiva contestazione degli estratti conto ex artt.1832, 1857 c.c., nonché 119 T.U. legge bancaria.
Per giurisprudenza e dottrina ormai consolidate, l’approvazione del conto ex art.1832 c.c. (applicabile al conto corrente bancario in forza del richiamo operato dall’art.1857 c.c.) rende incontestabili le annotazioni in conto, derivanti dalla mancata impugnazione, nella loro realtà effettuale, ma non determina la decadenza da eventuali eccezioni relative alla validità ed efficacia dei rapporti obbligatori (contratto ed altre pattuizioni) da cui dette annotazioni derivano. (Cfr. Cass. 11/5/ 1998 n. 4735; Cass. 11/9/1997, n.8989; Cass. 16/1/1997 n.404; Cass. 10/10/1996, n.8851; Cass. 11/3/1996, n.1978; Cass. 15/6/1995, n.6736; Cass. 24/5/1991, n.5876; Cass. 13/1/1988, n.178; Cass. 24/7/1986, n.4735; Cass. 7/9/1984, n.4788; Cass. 14/2/ 1984, n.1112; Cass. 19/1/1984, n.452; Cass. 19/8/1983, n.5409, Cass. 10/4/1980, n.2095; ecc.).
“Il silenzio del correntista (perché in ciò si risolve la mancata contestazione) non può, quindi, essere interpretato come costitutivo di diritti di credito in realtà insussistenti, tanto più se si considera che, di norma, le contestazioni formulabili presuppongono un bagaglio di conoscenze tecnico – giuridiche delle quali, per comune esperienza, il normale cittadino è del tutto sprovvisto, né va sottovalutata la posizione dell’imprenditore che, avendo investito le somme oggetto di affidamento, è impossibilitato a restituire immediatamente le medesime qualora la banca, indispettita da pesanti contestazioni, revochi immediatamente l’affidamento stesso.” (Così, Cafaro R. – Tanza A., cit., 123)
Nel provvedimento in esame il Giudicante si sofferma sulla ‘storica’ questione dei c.d. “usi di piazza”, stabilendo che “il generico riferimento per relazionem alle condizioni praticate usualmente dalle Banche sulla piazza” non risulta ancorato ad un accordo di cartello a livello nazionale e che, quindi, va condiviso l’“orientamento rigoroso del Supremo Collegio”, secondo cui anche per i contratti di conto corrente anteriori all’entrata in vigore della Legge n.154 del 1992 gli interessi ultralegali vanno determinati per iscritto ex art. 1284 c.c. e per relationem solo mediante “il richiamo a criteri prestabiliti ed elementi estrinseci, purchè obiettivamente individuabili”.
Invero, la clausola di determinazione dell’interesse ultralegale, mediante riferimento al c.d. “uso di piazza”, è da ritenersi nulla e improduttiva di ogni effetto per violazione del disposto di cui agli artt.1284, comma 3°, c.c., 1346 e 1418, comma 2°, cod. civ.. La Suprema Corte sin nella sentenza n. 11042 del 10 novembre 1997 ha infatti inequivocabilmente osservato che “una clausola, la quale si limiti a far riferimento alle condizioni praticate usualmente dalle aziende di credito sulla piazza, non è sufficientemente univoca e non può quindi giustificare la pretesa al pagamento di interessi in misura superiore a quella legale, in quanto, data l’esistenza di diverse tipologie di interessi, essa non consente, per la sua genericità, di stabilire a quale previsione le parti abbiano inteso concretamente riferirsi”.
Nel senso della dedotta invalidità a titolo nullità, in quanto contraria al disposto degli artt. 1284, comma 3°, c.c. e 1418, comma 2°, c.c., della clausola determinativa dell’interesse corrispettivo ultralegale mediante il rinvio “alle condizioni usualmente praticate dalle aziende di credito sulla piazza”, si è sovente pronunciata la Corte di Cassazione sempre in senso uniforme (Cfr., C.Cass., Sez. I, sent. 14/1/1999 n. 348, inedita).
Per quanto riguarda la c.m.s. (commissione di massimo scoperto) anche il Tribunale di Lecce, nella sentenza in epigrafe, aderisce ad un’opinione ormai più che consolidata della giurisprudenza di merito e di legittimità (ex plurimis, l’inedita C.Cass., sent. 21/11/2000, n. 15024), nonché della dottrina : la ratio delle c.m.s. non può essere individuata in alcuna fonte normativa, poichè il nostro ordinamento non fa mai riferimento alla C.M.S., termine che, di fatto, è considerato un vera e propria integrazione del tasso nominale di interesse e che non ha una specifica giustificazione economico-tecnica. (Brusasca, Tecnica Bancaria, Milano; Dell’Amore, Economia delle aziende di credito, Istituto di Economia Aziendale Università Bocconi di Milano, III, Le banche di deposito, 777; Cafaro R- Tanza A., cit. p.116)
Insomma, anche il Tribunale di Lecce, come altri sul territorio, si è avveduto che le banche riescono a “lucrare ulteriori competenze fittizie a proprio favore” (Cafaro R- Tanza A., cit. p.117) a scapito del cliente, che assiste ad una notevolissima – quanto ingiusta ed ingiustificata – ‘lievitazione’ dei conti attivi della banca, come “effetto di protrazione fittizia del presunto debito o decurtazione del periodo di durata del credito”. (Cafaro R- Tanza A., cit., ibidem, passim)
La pronuncia in esame, non definitiva, si conclude con un’importante affermazione del Giudicante, che, per la determinazione del saldo dare-avere fra le parti, rimanda “alla decisione definitiva all’esito di opportuni chiarimenti da parte del CTU”, ferme restando le “odierne statuizioni sulla nullità delle suindicate clausole contrattuali”: Egli ha ritenuto “nulla parimenti per violazione dell’art. 1283 c.c…. la clausola di applicazione della capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi, contenuta nel citato art. 7 Co. delle condizioni generali di contratto”.
La convenzione anatocistica, preventiva e trimestrale, potrebbe essere consentita, ex art. 1283 c.c., solo in presenza di un uso normativo, in forza del quale sia espressamente prevista la preventiva pattuizione della capitalizzazione trimestrale degli interessi scaduti.
Tuttavia, non esiste un uso normativo, anteriore all’entrata in vigore del vigente codice civile del 1942, né successivo a detta data, il cui contenuto consenta la preventiva pattuizione della capitalizzazione trimestrale degli interessi non ancora scaduti.
E, se, per assurdo, si fosse creato un tale uso successivamente all’entrata in vigore del codice civile, questo non avrebbe potuto validamente formarsi, in quanto contra legem.
Dunque, la pronuncia in rassegna conferma ancora una volta che la pretesa consuetudine normativa di capitalizzazione trimestrale degli interessi non soltanto è inesistente al momento dell’entrata in vigore del codice del 1942, ma anche successivamente, visto che le prime N.U.B. (Norme Bancarie Uniformi, gruppo di 15 condizioni elaborate dall’ABI), in tema di conto corrente, sono state adottate dal 1° gennaio 1952 (ma non erano presenti né nel 1942, né successivamente) e prevedevano, per la prima volta, la capitalizzazione trimestrale degli interessi debitori.
Per quanto riguarda gli “usi”, registrati dalle Camere di Commercio in sede provinciale (prima o in concomitanza con l’entrata in vigore del codice civile e delle “condizioni generali uniformi di banca” in tema di conto corrente), non contenevano previsioni circa la chiusura e la capitalizzazione trimestrale dei conti debitori a favore delle banche.
In conclusione, dunque, deve convenirsi che l’inserzione nei contratti bancari di conto corrente, ed in altri, di una previsione di capitalizzazione trimestrale non costituisce un uso normativo; al più, essa potrebbe costituire una tendenza (dettata dall’imposizione di un contraente forte) verso la costituzione di un uso negoziale (art. 1340 c.c.), la cui formazione peraltro non si sarebbe mai compiuta, considerato il contrasto di questa clausola con il divieto imperativamente stabilito dalla legge. (Così, Cafaro R. – Tanza A., cit., 103)
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Anatocismo e Usura > Testi sentenze 2004/2010 > Sentenze 2004
II
SENTENZA n. 352/2004
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Dott. Renato Fasano, Giudice Onorario Aggregato della Seconda Sezione Stralcio del Tribunale di Lecce, in funzione di giudice unico, ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa civile iscritta al n. 2241/94 del ruolo generale del Tribunale di Lecce, avente ad oggetto opposizione a D.I. promossa
DA APRILE MASSIMO E DONADEO GABRIELLA, rappresentati e difesi dall’ avv. Antonio Tanza;
ATTORI
CONTRO
BANCO Dl NAPOLI ORA SAN PAOLO IMI SPA rappresentato e difeso dall’avv. Silvio Valente;
CONVENUTO
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CONCLUSIONI:
Per gli attori:
• Accertare e dichiarare il difetto di legittimazione ad processum di BANCO DI NAPOLI Spa. nel presente giudizio per aver la convenuta banca ceduto ogni diritto e azione contro Aprile Massimo in favore di S.G.C. S.p.a.;
• In subordine ove superata l’eccezione pregiudiziale SOSPENDERE ex art. 295 c.p.c. il presente giudizio, in attesa della pubblicazione della sentenza che decide il giudizio n. 50212000 RG. del Tribunale di Taranto;
• In via principale accertare e dichiarare nullo il decreto ingiuntivo opposto o in subordine revocare il medesimo con tutte le conseguenze di legge;
• Accertare e dichiarare l‘invalidità a titolo di nullità parziale del contratto di apertura di credito mediante affidamento con scopertura sul c/c n. 18/645 , oggetto del rapporto tra parte attrice e la banca particolarmente in relazione alle clausole di determinazione e di applicazione degli interessi ultralegali, della determinazione ed applicazione dell’interesse anatocistico con capitalizzazione trimestrale, all’applicazione della provvigione di massimo scoperto , all’applicazione degli interessi per c.d. giorni — valuta de costi, delle competenze e remunerazioni a qualsiasi titolo pretese;
• Accertare e dichiarare per l’effetto l’esatto dare- avere tra le parti in base ai risultati del ricalcolo che potrà essere effettuata in sede di CTU, tecnico contabile e sulla base dell’intera documentazione relativa al rapporto di apertura di credito;
• Determinare il costo effettivo annuo dell’indicato rapporto bancario;
• Accertare e dichiarare nulla la fideiussione prestata dalla Donadeo;
• Condannare la convenuta banca alla restituzione del somma illegittimamente addebitate e/o riscosse, oltre agli interessi legali creditori in favore dell’odierno istante;
• Condannare la banca convenuta al risarcimento dei danni patiti dall’attore in relazione agli artt. 1337,1338,1366,1376 c.c., da determinarsi in via equitativa;
• Condannare la banca al risarcimento dei danni subiti dall’opponente a seguito della illegittima segnalazione alla Centrale dei Rischi presso Banca D’Italia a motivo del rischio a sofferenza falsamente quantificato;
• Condannare la banca al risarcimento dei danni per violazione della L. 675/96 in favore di Donadeo Gabriella nella misura di £. 100.000.000 o altra somma da determinarsi in corso di causa;
• Condannare in ogni caso la parte soccombente al pagamento delle spese e competenze di giudizio in favore del sottoscritto procuratore;
Per il convenuto:
• rigettare l’opposizione ovvero, in subordine in accoglimento del solo motivo n. 6 dichiarare la compensazione parziale dei rispettivi crediti nella misura indicata oltre rispettivi interessi maturati e maturandi;
• in ogni caso con vittoria di spese diritti ed onorari di lite;
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione del 20.041994, Aprile Massimo e Donadeo Gabriella proponevano opposizione al Dl. n. 784/94 del 08.03.1994, emesso dal Sig. Presidente del Tribunale di Lecce, in favore del Banco di Napoli e per lo effetto convenivano in giudizio innanzi all’On.le Tribunale di Lecce, il Banco di Napoli ora SAN PAOLO IMI s.p.a per sentir accogliere nei suoi confronti le conclusioni di cui in epigrafe.
All’udienza di prima comparizione gli allori chiedevano un rinvio della causa per consentire trattative di bonario componimento. Dopo alcuni rinvii, si costituiva convenuta Banca, la quale impugnando e disconoscendo tutto quanto ex adverso dedotto, chiedeva l’accoglimento delle proprie conclusioni.
La causa veniva assegnata ex L. 276197, alla Seconda Sezione Stralcio del Tribunale di Lecce, ove per gli attori si costituiva un nuovo difensore nella persona dell’Avv. A. Tanza , il quale si riportava alle proprie eccezioni e deduzioni chiedendone l’integrale accoglimento. Con propria ordinanza del 29.05- 2.06.2000, il GOA rigettava la richiesta di provvisoria esecuzione del D.l. opposto. Con provvedimento a verbale di udienza del 12.05.2001. il GOA disponeva effettuarsi apposita CTU contabile, rinviando la causa per il prosieguo. All’udienza del 24.01.2003, i giudizio veniva interrotto avendo il procuratore del Banco di Napoli dichiarato che il proprio assistito era stato incorporato dall’istituto S. Paolo IMl spa.
Riassunto ritualmente il giudizio dagli attori, venivano precisate e conclusioni e successivamente la causa veniva trattenuta per la decisione finale.
MOTIVI DELLA DECISIONE
La domanda attorea appare fondata e pertanto deve essere accolta.
I motivi addotti nell’atto di opposizione al D.l., del 8.03.94 del Sig. Presidente del Tribunale di Lecce, debbono essere ristretti in quelli formulati con il primo atto difensivo e cioè I) l’apocrificità delle firme; 2) la nullità del contratto fideiussorio ex art. 10 L. 154/92; 3) l’inesigibilità del credito per omessa comunicazione della revoca dell’affidamento; 4) l’esosità del tasso d’interesse praticato; 5) la compensazione con altro credito vantato dal sig. Aprite verso il Banco di Napoli in forza di altro rapporto. I successivi motivi di cui alla memoria dell’8.5.2000, non possono essere oggetto dell’esame di questo giudice a motivo che su di essi il convenuto opposto non ne ha accettato il contraddittorio. Con essi infatti, gli attori, hanno ampliato il “thema decidendum”, mutando la domanda iniziale. In merito è infatti noto, come la giurisprudenza della S.C. abbia valutato la sussistenza della “mutatio libelli” ogni qual volta vi sia mutazione della “causa pretendi” con l’introduzione di fatti costitutivi completamente diversi da quelli originari (Cass. 12.03.1982 n. 1610).
NeI merito, tuttavia, rilevato che sul punto dell’apocrificità delle firme, gli attori hanno rinunciato all’eccezione, si deve convenire con questi ultimi sulla richiesta revoca del D.I. opposto, attesa che la somma con esso vantata non è stata determinata sulla base di criteri oggettivi predeterminati. Il credito vantato dal Banco di Napoli infatti si basa sul contratto di apertura di CC n. 18/645 del 23.07.1987, che prevede l’applicazione del tasso di interesse debitore facendo riferimento per il tasso creditore a condizioni e norme emanate dai competenti organi e successive modificazioni mentre per quello passivo si indica il 17% F.N.A. e per re valute vengono indicate quelle d’uso. Il tasso passivo indicato del 17%, però, non ha trovato applicazione da parte della Banca opposta, se come accertato dalla CTU, sin dall’inizio del rapporto, nell’anno 1987, il tasso debitore applicato è stato quello del 20,43% e non quello del 17%, come sembrava convenuto. Pertanto, dal contesto del contratto di apertura di C/C, e dall’applicazione di tassi diversi per tutta la durata del rapporto, deve ritenersi che la Banca abbia applicato il tasso che comunemente veniva indicato come tasso “uso piazza” intendendo così l’applicazione del tasso che di volta in volta le stesse banche applicavano nell’ambito di un unico contesto territoriale anche se a livello nazionale. Sìcché come è noto, detto criterio è stato definito dalla giurisprudenza della S.C., del tutto illegittimo, non consentendo la determinazione di un tasso di interesse basato su di un criterio prestabilito e riferito ad elementi estrinseci al documento negoziale si da assicurare la determinazione del saggio di interesse in modo oggettivo ed al di fuori della discrezionalità rimessa all’arbitrio del creditore (Cass. Civ. Sez. I, 21 giugno 2002, n, 9080- Cass. Civ, Sei 1,28 marzo 2002, n, 4490).
In conseguenza di quanto innanzi, nessun tasso di interesse ultralegale può ritenersi convenuto tra le partì, sicché l’unico tasso sul quale la Banca opposta può conteggiare gli interessi deve ritenersi quello legale. Il credito della Banca opposta deve pertanto essere ricalcolato al tasso legale così come effettuato dal CTU nella sua relazione peritale, che ha evidenziato un credito dell’Aprile nei confronti della Banca di € 16,84686.
Anche la sollevata nullità della capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi (anatocismo) appare fondata in considerazione che ormai è insegnamento pacifico della S.C. quello di ritenere che la capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi dovuti dal correntista è nulla in quanto trova il suo fondamento in un uso negoziale e non normativo come esige l’art. 1283 c.c.. La Cassazione infatti , nelle sue numerose sentenze, peraltro già in precedenza citate, ha affermato che l’uso normativo richiede il requisito oggettivo della uniforme e costante ripetizione di un dato comportamento e quello soggettivo della consapevolezza di prestare osservanza , operando in un certo modo, ad una norma giuridica di modo che venga a configurarsi una norma avente i caratteri della generalità ed astrattezza (Cass. Civ. Sez. I, febbraio 2002, n. 1281). Alla luce di quanto precede pertanto il conteggio del CTU anche sotto quest’ultimo profilo appare legittimo e corretto.
Per quanto attiene poi alla pretesa della Banca opposta, di vedersi rimborsato il costo delle commissioni di massimo scoperto, si deve ritenere che detta pretesa è illegittima, poiché non è stata prevista espressamente dalle parti nel contratto di apertura del C/C. Infatti in merito la giurisprudenza ha precisato che le commissioni di massimo scoperto essendo di natura negoziale, per potere essere validamente richieste devono trovare una loro previsione espressa nel contratto di apertura del C/C, in difetto del quale essa diventa arbitraria e quindi non dovuta. Và pertanto confermato il calcolo effettuato dal CTU nella sua relazione peritale che ha dato come risultato del calcolo delle rispettive poste di dare ed avere relative al C/C 18/645, un credito dell’Aprile di € 16.846,86, che la Banca opposta dovrà restituire con l’aggiunta degli interessi legali dal 23.01.1998, data della chiusura del conto, sino al soddisfo.
Null’altro resta da esaminare atteso che dall’accertamento effettuato dal CTU è risultato un credito dell’Aprile e non un debito, sicché non è concepibile alcuna richiesta di compensazione, né l’esame della validità della fideiussione prestata dall’attrice.
Quanto alle spese di lite, così come liquidate in dispositivo, esse seguono il principio della soccombenza, e vanno poste a carico della convenuta opposta.
P.Q.M.
Il Giudice Onorario Aggregato della Seconda Sezione Stralcio del Tribunale di Lecce, dott. Renato Fasano, in funzione di giudice unico, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta da Aprile Massimo e Donadeo Gabriella , nei confronti del Banco dì Napoli ora SAN PAOLO IMl s.p.a. con atto di citazione e contestuale opposizione, deI 20.04.1994, la accoglie e così provvede:
1. dichiara il D.I. opposto nullo ed inefficace tra le parti;
2. condanna la Banca opposta Istituto Bancario S. Paolo IMI spa, al pagamento in favore dell’attore Aprile Massimo della somma di €. 16.846,86 quale residuo suo credito rinveniente dalla chiusura del C/C 18/645, oltre interessi legali dalla data della chiusura del C/C ovvero dal 23.01.1998 sino al soddisfo;
3. condanna la Banca opposta alla refusione delle spese di liti in favore degli attori e per essi al loro difensore domiciliatario avv. A. Tanza, che ha reso la dichiarazione di rito, che si liquidano i complessivi €. 3.975,92 di cui €. 185,92 per spese oltre quelle di CTU se ed in quanto pagate, €. 1.590,00 per diritti, €. 2.200,00 per onorari, oltre rimborso ex art. 15 TP. IVA e Cap come per legge;
4. Dichiara la presente sentenza provvisoriamente esecutiva “ex lege”.
Così deciso in Lecce, il 7 gennaio 2004
IL GIUDICE ONORARIO AGGREGATO
DOTT. RENATO FASANO
Depositata in cancelleria l’11 febbraio 2004
III
Sentenza nr. 522/2004
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Giudice Onorario Aggregato dott. Luigi Carmine Elia della Prima Sezione Civile Stralcio del Tribunale di Lecce, in funzione di Giudice Unico, ha emesso la seguente
SENTENZA
nella causa civile iscritta al nr. 1632/95 del Ruolo Generale promossa
DA
RONDINI DEBORAH, RONDINI PATRIZIA e PAPPADA’ FRANCESCO, rappresentati e difesi dall’avv. Antonio Tanza, mandato in atti.
ATTORI IN OPPOSIZIONE
CONTRO
BANCA LEUZZI & MEGA S.p.A. (incorporata dalla BANCA DEL SALENTO S.p.a., poi 121 S.p.A, oggi Monte dei Paschi di Siena S.p.A.), in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’avv. Marcello De Marini, mandato in atti
CONVENUTA-OPPOSTA
oggetto: Opposizione a decreto ingiuntivo
INTROITATA ALL’UDIENZA DEL 12/1/2004.
CONCLUSIONI
All’udienza del 30/5/2003, i difensori delle parti precisavano le conclusioni, come da verbale in atti.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione, notificato il 20/3/95, Rondini Deborah, Rondini Patrizia e Pappadà Francesco, associati Adusbef, proponevano opposizione avverso il decreto ingiuntivo del 17/2/95 nr. 362/95 (181/95 C.S.), con il quale il Presidente del Tribunale di Lecce aveva loro ingiunto – la prima quale debitrice principale ed i secondi quali fideiussori – il pagamento in favore della Banca Leuzzi & Mega S.p.a. della somma di £ 60.208.995, derivante da scopertura del c/c nr. 110101032277/0, in essere presso la filiale di Lecce, oltre gli interessi, al tasso convenzionale di mora del 28,250%, dal 29/10/94 fino al soddisfo e le spese competenze della procedura monitoria.
A sostegno dell’opposizione, gli esponenti deducevano l’eccessiva lievitazione delle pretese della Banca, che aveva portato il costo globale effettivo annuo alla esosa misura percentuale del 606,58% del credito concesso, giusta perizia giurata di parte prodotta nel proprio fascicolo. Alla luce di tale risultato, gli opponenti impugnavano e disconoscevano sia i contratti-base sia tutti gli atti successivi collegati con i primi, eccependone l’invalidità e l’illiceità, per l’evidente contrasto con la normativa del settore.
In particolare contestavano: l’illegittimità della richiesta di interessi ultra legali al tasso del 28,250%; la nullità della clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi, in quanto convenzione anatocistica e, come tale, in contrasto con l’art. 1283 c.c.; l’illegittimità delle commissioni di massimo scoperto e della determinazione delle valute. Concludevano chiedendo, con il favore delle spese di lite distratte: revocarsi l’opposto decreto e dichiarare che la somma dovuta da essi opponenti è inferiore a quella richiesta e concessa con la procedura sommaria; dichiarare la nullità o l’annullamento del contratto di apertura di credito in conto corrente, della relativa fideiussione e di ogni clausola od obbligazione successiva ed accessoria; determinare con C.T.U. contabile il costo effettivo annuo dell’impugnato rapporto bancario e, in considerazione dell’invalidità delle convenzioni contrattuali, ricalcolare l’ammontare delle somme a credito e a debito delle parti sulla base dell’intera documentazione (dalla formalizzazione negoziale alla chiusura del rapporto) determinando, così, l’esatto dare-avere tra le parti.
Si costituiva regolarmente in giudizio la banca opposta, eccependo l’inammissibilità dell’opposizione per la non revocabilità del decreto. Concludeva per il rigetto della domanda perché, comunque, ritenuta infondata e temeraria; introdotta al solo scopo di ritardare il pagamento di quanto dovuto.
Con la condanna degli opponenti al pagamento delle spese-competenze del giudizio, veniva richiesta la provvisoria esecuzione del decreto opposto, ex art. 648 c.p.c., che veniva concessa dal G.I. con ordinanza riservata del 10/1/97.
Esibita varia documentazione e verificata l’impossibilità dell’obbligatorio tentativo di bonario componimento, ex art 13 L. 276/97, per la mancata comparizione personale delle parti, la causa passava in decisione, con i termini di cui all’art. 190 bis c.p.c..
Con sentenza non definitiva nr. 1297/2002 del 10/5/2002, depositata il 12/6/2002, il G.O.A. accoglieva l’opposizione e per lo effetto revocava l’opposto decreto ingiuntivo. Con contestuale ordinanza disponeva il prosieguo del giudizio per l’espletamento di necessaria C.T.U. contabile, al fine di accertare l’esatto ammontare delle somme a debito e a credito e quindi del rapporto dare-avere tra gli opponenti Rondini Deborah, Rondini Patrizia e Pappadà Francesco e la banca opposta Lezzi & Mega S.p.a. (poi Banca del Salento S.p.a.) relativamente al conto corrente nr. 110101032277/0, in essere presso la filiale di Lecce, tenendo presente che: 1) per gli interessi passivi deve applicarsi il tasso legale; 2) la capitalizzazione degli interessi va effettuata su base annuale; 3) le commissioni di massimo scoperto sono dovute soltanto nella misura in cui risultano essere state espressamente convenute; 4) per la decorrenza delle valute deve farsi riferimento alla data effettiva in cui la Banca ha perduto o ha acquistato la disponibilità del denaro.
Entrambi i difensori, all’udienza del 21/10/2002 facevano riserva di appello, ex art. 340 c.p.c., avverso la predetta sentenza parziale.
Depositata la relazione del C.T.U. e le osservazioni del C.T. di parte opposta, venivano precisate le conclusioni come in epigrafe. La causa, quindi, era trattenuta per la decisione, all’udienza di trattazione, con i termini di cui all’art. 190 c.p.c. (vecchio rito) per le conclusionali e le repliche.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Compito residuale di questo giudice è quello di determinare se vi sia o meno esposizione debitoria o posizione creditoria degli opponenti nei confronti dell’opposta relativamente al conto corrente richiamato nella narrativa, tenuti presenti i criteri di indagine e di valutazione lì indicati e quindi, provvedere sulle spese-competenze di lite, rimesse al definitivo. Ciò poiché, da entrambe le parti, si è formulata riserva di impugnazione differita della sentenza non definitiva nr. 1297/2002, intervenuta in questo giudizio.
Soccorre, così, l’analitica indagine compiuta dal C.T.U. che il giudice pienamente condivide, in quanto immune da vizi logici, oltre che fondata su riscontri obiettivi, acquisiti con accurata metodologia.
Conclude il C.T.U., verificando un saldo finale creditore in favore della Rondini di € 2.361,82 al 2/4/1994, oltre interessi legali dal 28/4/94 al soddisfo, rappresentando tali somme una posizione creditoria dell’opponente Rondini Deborah nei confronti dell’opposta, che così va dichiarata con la presente sentenza.
Le spese seguono la soccombenza e, liquidate d’ufficio, in assenza di nota specifica, come in dispositivo, vengono poste a carico dell’opposta ed in favore degli opponenti, con distrazione al loro difensore antistatario, che ne ha avanzato richiesta, rendendo la dichiarazione di rito.
P.Q.M.
Il G.O.A. della Prima sezione Civile Stralcio del Tribunale di Lecce, Avv. Luigi Carmine Elia, in funzione di Giudice Unico, definitivamente pronunciando sulla lite vertente tra Rondini Deborah, Rondini Patrizia e Pappadà Francesco nei confronti della Banca Leuzzi & Mega S.p.a. (incorporata dalla Banca del Salento S.p.a.), ed in particolare sui capi della controversia non decisi dalla precedente sentenza parziale nr. 1294/2002 resa tra le stesse parti in data 10/5/2002, ogni altra richiesta, eccezione e deduzione disattesa, così provvede:
1. Dichiara che Rondini Deborah è creditrice della banca Leuzzi & Mega S.p.A.. della somma di € 2.361,82 oltre interessi legali dal 28/4/94 al soddisfo.
2. Condanna l’opposta al pagamento in favore degli opponenti delle spese-competenze di lite che liquida e distrae al loro procuratore antistatario avv. Antonio Tanza in € 8.300,00 di cui € 300,00 per spese (oltre quelle della C.T.U.), £ 3.000,00 per diritti, € 5.000,00 per onorari, oltre 10% su competenze ex art, 15 T.F., CAP e IVA come per legge.
Così deciso in Lecce il 28/1/2004
IL G.O.A.
Luigi Carmine Elia
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TRIBUNALE CIVILE DI LECCE
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Giudice Istruttore del Tribunale di Lecce, GOT Patrizia Daniela SCARPA, in funzione di, Giudice Unico, ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa civile nr. 2484/97 R.G. tra: Arch. Massimo DE MARCO e Arch. Giovanni LONOCE rappresentati e difesi dall’avv. Antonio TANZA e dall’Avv. F. FAZZALARI, del foro di Roma, come da mandato a margine dell’atto di citazione in opposizione a Decreto Ingiuntivo;
OPPONENTI
CONTRO
Rolo Banca 1473: Spa in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli Avv. Francesco e Giuseppe PICCINNI
RESISTENTI
OGGETTO: opposizione a decreto ingiuntivo.
CONCLUSIONI:
Per gli opponenti. l’avv. A. TANZA e l’Avv. F. FAZZALARI chiedono, la nullità del decreto ingiuntivo opposto, l’invalidità e la nullità dei singoli contratti di apercredito oggetto, del rapporto tra; parti attrici e la banca, nonché. la condanna della convenuta alla restituzione delle somme indebitamente riscosse e al risarcimento del danno. derivante dalla illegittima segnalazione alla Centrale dei Rischi;, nonché al risarcimento del danno derivante dalla false notizie fornite in narrativa dei ricorso ingiuntivo al fine di ottenere la clausola della provvisoria esecuzione, con vittoria di spese competenze ed onorari.
Per l’opposta, gli avv Francesco e Giuseppe PICCINNI chiedono il rigetto dell’opposizione e la condanna degli opponenti:al pagamento delle somme. di cui all’opposto decreto oltre agli accessori, con vittoria di spese giudiziali.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
In data 3 ottobre 1997 il Tribunale di Lecce emetteva decreto ingiuntivo n. 705/97 (1960/97 R.G.), su ricorso di Rolo Banca 1473 S.p.A con il quale ingiungeva a Massimo DE MARCO e Giovanni LONOCE il pagamento delIa somma di lire 33.072.010, oltre agli interessi: legali a decorrere dal l’ luglio 1997 fino al giorno del soddisfo, derivante dallo scoperto di c/c n.- 2052, acceso in data 18 ottobre 1990, nonché il pagamento di spese, diritti e onorari della procedura, monitoria. Detto decreto veniva regolarmente notificato alle parti in data 21 ottobre 1997.
Con atto di: citazione in opposizione a decreto ingiuntivo, ritualmente notificato, i sigg. Massimo DE MARCO e Giovanni LONOCE convenivano in giudizio Rolo Banca 1473 S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore dinanzi a codesto Tribunale per ivi sentire accogliere le seguenti formulate conclusioni:’ ” Voglia il Sig. Pretore di Lecce, respinta ogni altra istanza in accoglimento dei motivi su esposti: PRELIMINARMENTE emettere preventiva ordinanza a di revoca della illegittima provvisoria esecuzione ex art. 649 c.p. ordinare alla Banca di depositare gli Originali o almeno copia dei contratti originali, sia principali che collegati, a delle eventuali modifiche ed allegati, nonché copia di tutti gli estratti conto sino ad oggi, unitamente al rendiconto della gestione ai sensi dell’art. 1713 c.c. Sospendere il giudizio ex art. 18 7 del Trattato CEE per la decisione in via pregiudiziale sui seguenti quesiti o su quelli altri ritenuti dal Pretore: a) se le disposizioni negli artt. 85 e 86 del Trattato conferiscano ai singoli diritti tutelabili di fronte ai giudici nazionali,b ) se le condizioni generali di apertura di credito n conto corrente applicate ex recepto dalla totalità delle banche italiane nei rapporti con la clientela e risultanti dall’azione di coordinamento fra le banche stesse svolta dall’ABI costituiscano un’intesa ai sensi dell’art. 85 n. 1 del Trattato ed, in particolare, una decisione di associazione d’imprese; c) se, in caso di risposta affermativa ai quesiti sub a) e b) la dichiarazione di nullità ex art 85, n. 2, dei contratti tipo risultanti dall’azione di coordinamento tra banche italiane svolta dall’ABI, possa avere effetti sulla validità dei contratti “a valle” stipulati dalle singole banche con i singoli clienti sulla base dei modelli contrattuali predisposti dall’ABI e notificati da questa alle banche aderenti per una loro generalizzata adozione e, in vaso di risposta affermativa a quest’ultimo quesito, quali possano essere tali effetti sui contratti “a valle ” dell’ intesa vietata, o quali criteri debba utilizzare il Giudice nazionale per individuare i suddetti effetti alfine di -decidere circa la loro applicazione ai medesimi contratti stipulati tra banca e cliente; d) se, nell’ambito del settore bancario, le imprese bancarie aderenti all’ABI in grado, grazie alla situazione di potenza economica che detengono nel loro complesso, d i comportarsi, con riguardo alle condizioni contrattuali, in modo indipendente nei confronti dei concorrenti e soprattutto nei confronti della clientela, possano essere considerate nel loro insieme detentrici di una posizione dominante collettiva ai sensi dell’art. 86 del Trattato; e) se costituisce abuso, ai sensi dell’art. 86 Trattato, l’adozione, da parte di una o più imprese bancarie in posizione dominante, di una clausola contrattuale nei rapporti con la propria clientela che consenta alla/e suddetta/e impresa di fissare unilateralmente il tasso d’interesse (prezzo del servizio) e di variarlo, pure unilateralmente, in funzione dell’andamento del mercato monetario, senza che, peraltro, sia consentito al cliente di conoscere né il tasso che gli viene applicato dalla banca all’atto di stipulazione del contratto, né le successive variazioni del tasso stesso (clausole,, usi di piazza); j) se, nel caso di risposta positiva ai precedenti quesiti, il giudice nazionale possa trarre dall’accertamento della violazione dell’art. 86 Trattato la conseguenza della nullità in ordine a talune clausole, in ipotesi abusive, inerenti ai rapporti contrattuali “verticali” fra le imprese in posizione dominante e la loro clientela o, più in generale, quali effetti giuridici possa il giudice nazionale decidere di applicare ai suddetti rapporti contrattuali in caso di accertata violazione dell’art. 86 o quali criteri debba lo stesso giudice nazionale utilizzare per individuare tali effetti giuridici sui -contratti posti in essere dall’impresa dominante con i suoi clienti. L DICHIARARE NULLO il decreto ingiuntivo opposto o in subordine revocarlo con tutte le conseguenze di legge; 2. DICHIARARE l’invalidità e la nullità dei singoli contratti di apertura di credito oggetto del rapporto tra parte attrice e la banca, particolarmente in relazione alla determinazione e applicazione degli interessi, dell’anatocismo e dei costi, e, di conseguenza, RIDURRE lo stesso in base ai risultati del ricalcalo che verrà effettuato in sede di CTU tecnico-bancaria e sulla base dell’intera documentazione relativa al rapporto di apertura di credito. 3. DICHIARARE l’invalidità di ogni altra obbligazione ad esso connessa, 4. DETERMINARE a mezzo CTU, che sin d’ora s’invoca, il Costo Effettivo Annuo dell’impugnato rapporto bancario (TEG) ed in virtù dell’invalidità delle convenzioni contrattuali RICALCOLARE l’ammontare delle somme a credito, ed a debito delle parti sulla base dell’intera documentazione (dalla formalizzazione negoziale ad oggi) e DETERMINARE l’esatto dare-avere tra le parti, CONDANNANDO, in via RICONVENZIONALE, nell’ipotesi di indebito pagamento di somme da parte attrice, la banca alla restituzione delle somme indebitamente riscosse, oltre interessi legali maturati dalla data della riscossione. 5. CONDANNARE la banca al risarcimento dei danni derivante dall’illegittima segnalazione alla Centrale dei rischi della effettiva posizione debitoria, che verranno quantificati nel corso dell’istruttoria ed in difetto secondo equità. 6. CONDANNARE la banca al risarcimento dei danni derivante dalle false notizie fornite nella narrativa del ricorso ingiuntivo al fine di ottenere la- clausola della provvisoria esecuzione, e dalla illegittima iscrizione ipotecaria, che verranno quantificati in corso dell’istruttoria ed in difetto secondo equità. 7. CONDANNARE la banca al pagamento delle spese e competenze di giudizio».
Si costituiva in giudizio Rolo Banca 1473 S.p.A., in persona dei legale rappresentante pro tempore, a ministero del rispettivo procuratore processuale, con comparsa di costituzione e risposta datata 30 dicembre 1997, nella quale formulava le seguenti conclusioni: « 1) rigettare l’opposizione avversa, in quanto infondata in fatto ed in diritto ed ispirata ad intenti chiaramente dilatori e defatiganti, 2) confermare il decreto ingiuntivo opposto, legittimamente emesso e, per l’effetto, condannare gli opponenti al pagamento in favore della Rolo Banca 1473 SpA della somma ingiunta oltre ad interessi legali e rivalutazione monetaria, 3) in accoglimento della spiegata riconvenzionali, condannare gli opponenti al risarcimento di tutti i danni subiti dall’Istituto di credito in epigrafe a seguito dell’intestato giudizio; con vittoria di spese, diritti e onorari».
All’udienza di prima comparizione, tenutasi in data 26 gennaio 1998, il Giudice autorizzava le parti al deposito di memorie ex art. 170 cpc.
La causa veniva rinviata all’udienza del 01 giugno 1998 in cui le parti venivano autorizzate al deposito di memorie ex- art. 183 c.p.c., ritualmente depositate.
All’udienza del 02 marzo 1999 le parti venivano ammesse al deposito di memorie ex art. 184 c.p.c., che ritualmente depositavano.
All’udienza del 19 ottobre 1999 rassegnate le conclusioni, la causa andava in decisione con i termini di rito per il deposito delle memorie conclusionali e di replica.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il presente giudizio riguarda una materia di particolare attualità, a causa sia dei recenti mutamenti normativi e giurisprudenziali in tema di contratti bancari, sia della situazione di crisi in cui versano molte delle aziende costrette a ricorrere al credito. Questo G.I. è stato posto di fronte ad una citazione contenente una contestazione globale della prassi delle, banche italiane ed ha cercato di ricondurre la causa agli aspetti specifici del rapporto tra le parti.
Primo problema è quello di individuare la normativa applicabile al rapporto. A, questo proposito, va operata una distinzione _tra i contratti di c/c aperti prima dell’entrata in vigore della legge 152 del 1992 (9 luglio 2002) e quelli aperti successivamente. Per i primi deve farsi riferimento alle norme del codice civile ed alla vecchia legge bancaria del ‘36/ ’38, mentre agli altri deve applicarsi, oltre al codice civile, la legge sulla trasparenza ed il nuovo T.U.b.- Corte di Cassazione, più volte espressasi sull’argomento, esclude l’applicazione di detta recente normativa (1992) ai rapporti sorti in un periodo anteriore: Un tema di contratti bancari, nel regime anteriore alla entrata in vigore della L 17 febbraio 1992 n. 154, e del successivo t.u. sulla disciplina bancaria -che introducono norme nuove, a carattere non retroattivo, in tema di trasparenza bancaria, vietando, tra l’altro, espressamente il rinvio agli usi di piazza – la convenzione relativa agli interessi è validamente stipulata, in ossequio al disposto dell’art. 1284, comma 3, c.c. (che è norma imperativa, la cui violazione determina nullità assoluta ed insanabile), quando il relativo tasso risulti determinabile e controllabile in base a criteri in detta convenzione oggettivamente indicati e richiamati. Pertanto, una clausola contenente un generico riferimento alle “condizioni usualmente praticate dalle aziende di credito sulla piazza” può ritenersi valida ed univoca solo se coordinata alla esistenza di vincolanti discipline fissate su larga scala nazionale con accordi interbancari, nel rispetto delle regole di concorrenza e non anche quando tali accordi contengano riferimenti a tipologie di tassi praticati su scala locale e non consentano, per la loro genericità, di stabilire a quale previsione le parti abbiano- inteso fare concreto rifierimento” (ex pluris Cassazione civile, sez. 111, 18 aprile 200 1, n. 5675). Nel caso in esame il rapporto bancario è sorto il 18 ottobre 1990 e, dunque, non è applicabile la normativa della c.d. trasparenza bancaria
Gli attori opponenti hanno contestato l’art. 7, comma 3, del contratto di apertura dei conto corrente, nella parte in cui determina gli interessi “salvo patto diverso, alle condizioni praticate usualmente dalle 1 aziende di credito sulla piazza”, per indeterminatezza dell’oggetto dell’obbligazione accessoria.
L’eccezione è fondata.
Secondo Cass. Civ., Sez. 1, 23 settembre 2002 n. 13823; Cass. Civ., Sez. 1, l’ febbraio 2002 n. 1287, Cass, Civ., Sez. 1, 28 marzo 2002 n. 4490 e Cass. Civ., Sez. 1, 21 giugno 2002 n. 9090 Cass. Civ., Sezione III 18 aprile 2001, n. 5675; Cass. Civ., Sez. In, 21 novembre 2000 n. 15024; Cass. Civ., Sez. 1, 19 luglio 2000, n. 9465; Cass. Civ., Sez. 1, 14 gennaio 1999 n. 348; Cass. civ., Sez. 111, 21 settembre 1998, n. 9448; Cass. civ., Sez. 1, 23 giugno 1998 n. 6247; Cass. civ., Sez. 1, 11 maggio 1998, n. 4735; Cass. civ., Sez. 1, sentenza 8 maggio 1998, n. 4696; Cass. civ., Sez. 111, 9 dicembre 1997, n. 12456; Cass. civ., Sez. 1, 29 novembre 1996, n. 10657; Cass. civ., Sez. 1, 13 marzo 1996 n. 2103; Appello Lecce, 9 febbraio 2002; Appello Lecce 22 ottobre 2001, Appello Lecce 6 febbraio 2001 (ed a prescindere dall’applicazione delle recenti leggi sulla trasparenza, le quali, comunque, vietano il rinvio agli usi bancari), il rinvio “alle condizioni praticate usualmente dalle aziende di credito sulla piazza” contrasta con l’esigenza di detenninabilità attraverso criteri prestabiliti. Infatti è notorio che da circa quindici anni gli accordi di cartello tra le banche contengono diverse tipologie di tassi, e non costituiscono parametro centralizzato e vincolante -anche, l’applicazione del prime – rate sostanzialmente rimessa alla discrezionalità degli istituti, come risulta dal documento ABI per il periodo 1990 – 1995, prodotto dalla convenuta. Inoltre la formula `salvo patto contrario” ingenera il dubbio sul carattere precettivo, e quindi sull’esistenza della clausola. La determinazione secondo gli usi salvo patto contrario può costituire una direttiva generale, ma non la regola del caso concreto, nel quale “il patto contrario” c’è (sicché il richiamo alla prassi ordinaria non ha senso) oppure non c’è (sicché non ha senso la clausola di salvezza).
Pertanto, ex art. 1284, comma 3, c.c., al rapporto si applica il tasso legale di interesse.
Altro problema, sollevato dagli opponenti, è quello dei c.d. giorni valuta che, secondo la difesa, non sono altro che un espediente usato dalla banca per allungare fittiziamente i giorni solari del prestito dell’utente (quindi aumento degli interessi debitori in favore della banca), decurtando al contrario i giorni in cui l’utente deposita il denaro (quindi diminuzione degli interessi creditori in favore dell’utente). La sottile tecnica fu compresa pienamente per la prima volta dal Tribunale di Milano, con la sentenza del 22 marzo 1993, ove si evidenziava come l’obbligo della forma scritta imposto dall’art. 1284, comma 3, c.c. si estende anche alle pattuizioni relative alla decorrenza della valuta (relative, cioè, alla data a partire dalla quale vengono imputati gli interessi a debito ed a credito sul conto del cliente), poiché dette pattuizioni si risolverebbero in una modifica dei saggio di interesse applicato sui saldi attivi e passivi. Pertanto, la mancanza di espressa pattuizione di detti ulteriori interessi ultralegali (poiché vanno a maggiorare gli interessi ultralegali, per cosi dire, principali) comporta l’assorbimento degli stessi nel calcolo di tutti gli interessi ultralegali non specificatamente convenuti nel tasso legale applicato all’intero rapporto. Pertanto alla banca, salvo prova diversa, ed m mancanza di previsione contrattuale che riconosca dei bonus di valuta, deve riconoscersi valuta pari al giorno in cui è stata effettuata l’operazione. Senza contare che le banche, informatizzazione fin dagli anni ’80, eseguono tutte le operazioni in tempo reale.
Anche la contestazione attorea dell’obbligo di pagamento della “commissione di massimo scoperto”, rattenuta dalla convenuta ma non espressamente prevista in contratto, va accolta.
Nel contratto prodotto non sono previste le “commissioni di massimo scoperto trimestrale”: non lo troveranno poiché non sono previste in contratto, né è esplicato il loro particolarissimo metodo di calcolo. L’art. 7, comma 1, dei contratti prodotti parla di interessi e commissioni liquidate a fine anno: nessuna traccia delle commissioni di massimo scoperto trimestrale. A tal proposito Corte d’Appello di Lecce, 6 febbraio 2001, ha osservato: “Quanto alla commissione di massimo scoperto e alle valute, cui hanno riguardo specifiche censure degli appellanti, va rilevato quanto segue. La commissione di massimo scoperto, che trova causale giustificazione nella specialità del rapporto di finanziamento, è dovuta soltanto se espressamente convenuta e nella misura pattuita”. Nel contratto de quo manca ogni pattuizione in merito e, dunque, non è dovuta.
Gli attori opponenti hanno poi contestato il 31 comma dell’art. 7 del contatto, laddove stabilisce che gli interessi dovuti dal correntista producono a loro volta interessi nella stessa misura, ed il 2° comma dove prevede la capitalizzazione trimestrale dell’interesse. Invero la clausola che consentiva l’anatocismo, come i previsto all’art. 7 del richiamato contratto di conto corrente, è certamente nulla laddove è pacifico che: “La clausola di un contratto bancario, che preveda la capitalizzazione trimestrale degli interessi dovuti dal cliente, deve reputarsi nulla, in quanto si basa su un uso negoziale (ex art. .1340 c.c.) e non su un uso normativo (ex art. 1 ed 8 delle preleggi al c.c.) , come esige l’art. 1283 c.c., laddove prevede che l’anatocismo (salve le ipotesi della domanda giudiziale e della convenzione successiva alla scadenza degli interessi) non possa ammettersi, «in mancanza di usi contrari». L’inserimento della clausola nel contratto, in conformità alle c.d. norme bancarie uniformi predisposte dall’ABI, non esclude la suddetta i nullità, poichè a tali norme deve riconoscersi soltanto il carattere di usi negoziali non quello di usi normativi “(Cass. Civ., Sez. 1, 11 novembre 1999, n. 12507). Detto principio risulta, oramai, consolidato nella Giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione: Cassazione Civile, Sez. 1, 1 ottobre 2002, n. 14091; Corte di Cassazione, Sezione 1, 28 marzo 2002 n. 4498; Corte di Cassazione, Sezione 1, 28 marzo 2002 n. 4490;Corte di Cassazione, Sezione 1, febbraio 2002 n. 128 l; Corte di Cassazione , Sezione 1, 11 novembre 1999 n. 12507; Corte di -Cassazione Sezione III .,30 marzo 1999 n. 3096; hanno affermano la nullità dell’anatocismo nei contratti bancari. Infine n on appaiono convenute e descritte in contratto neppure le spese forfettarie applicate dalla banca. Invece, i sul punto della presunta decadenza da mancata contestazione dell’estratto conto, va sottolineato che, come evidenziato da una ormai consolidata Giurisprudenza, l’eventuale approvazione, ancorché ripetuta, di estratti conto, ex art. 1832 c.c. (applicabile al conto corrente bancario in forza del richiamo operato dall’art. 1857 c.c.) rende incontestabili le annotazioni in conto,, derivanti dalla mancata impugnazione, nella loro realtà effettuale, ma non comporta la decadenza da eventuali eccezioni relative alla validità ed efficacia dei rapporti obbligatori (contratto ed altre pattuizioni) da cui dette annotazioni derivano (cfr. tra le tante Cass. 14 maggio 1998, n. 4846). L’azione di nullità è imprescrittibile (cfr. art. 1422 c.c.), mentre l’azione di ripetizione delle somme è soggetta alla prescrizione decennale a decorrere dalla chiusura del rapporto (Cass. Civ. 9 aprile 1984, n. 2262).
Gli attori lamentano la violazione degli artt. 85 ed 86 del Trattato CEE: la questione è stata già risolta negativamente dalla Giurisprudenza Comunitaria e va rigettata. Prive di valore e di pregio sono anche le altre contestazioni circa l’erronea segnalazione alla Centrale dei rischi, tenuto anche conto che le somme ingiunte sono state pagate, anche se con riserva di ripetizione, e che la segnalazione è venuta meno.
Per le ragioni innanzi esposte il decreto opposto va revocato, compensando integralmente le spese di giudizio.
P.Q.M.
1 . Revoca il decreto (opposto) n. 705/97 (1960/97 R.G.), dichiarandone l’inefficacia dello stesso a tutti gli effetti;
2. dichiara la nullità della clausola contrattuale n. 7 delle “Norme che regolano i conti correnti di corrispondenza e servizi connessi” come richiamate nel contratto 18 ottobre 1990 allegato in atti, nella parte in cui detta clausola prevede interessi ultralegali, ed interessi anatocistici;
3. dichiara che gli interessi primari dovuti dagli opponenti alla Banca, in relazione al contratto di conto corrente n. 2052 erano e sono quelli legali semplici;
4. dichiara che nulla era ed è dovuto alla Banca dagli opponenti per commissione di massimo .scoperto trimestrale, per c.d. giorni valuta e spese forfettarie non previsti e regolamentati in contratto;
5. rigetta la domanda relativamente alla richiesta di risarcimento del danno da erronea segnalazione a -Centrale dei rischi, in quanto sfornita di prova;
6 rigetta la domanda riconvenzionale, in quanto sfornita di prova;
7. compensa interamente le spese del presente giudizio tra le parti.
Lecce 14.4.2003 Il Giudice
Patrizia Daniela SCARPA
V
Sent. n. 310/2004
R.G. 257/1999
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
La Corte di appello di Lecce – sezione distaccata di Taranto – Sezione Unica Civile – composta dai Signori:
1) Dott. Giuseppe Lanzo – Presidente-
2) Dott. Antonio Marsano – Consigliere-
3) Dott. Riccardo Alessandrino – Consigliere-
ha pronunziato la seguente
SENTENZA
nella causa civile in grado di appello iscritta al N. 257 del Ruolo Generale delle cause dell’anno 1999, riservata per la decisione all’udienza di trattazione del 3/3/2004
TRA
C.D. nato a XXX il XXX, elettivamente domiciliato presso lo studio dell’Avv. XX dal quale è rappresentato e difeso, il tutto in virtù di mandato a margine dell’atto di appello
-appellante-
BANCA POPOLARE DI PUGLIA E BASILICATA, soc. coop. a r.l., con sede in Matera alla Via Timmari, risultante dalla fusione tra laBanca Popolare di Taranto e Banca Popolare della Murgia di cui all’atto per notaio B. di XXX in data XXX in persona del V.Presidente Dott. M.G., elettivamen-te domiciliata in Taranto alla Via XXX presso lo studio dell’Avv. XXX dal quale è rappresentata e difesa insieme con l’Avv. Prof. XXX, in virtù di delega in calce alla copia notificata dell’atto di appello
-appellata-
All’udienza di trattazione, i procuratori delle parti hanno così concluso:
IL PROCURATORE DELL’APPELLANTE:
“Piaccia all’Ecc.ma Corte di Appello adita, respinta ogni contraria istanza, ritenere fondati i motivi suesposti col presente gravame e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, accogliere la domanda attrice in quanto fondata in fatto e diritto.
Con conseguenziale vittoria delle spese ed onorari dei due gradi di giudizio”.
IL PROCURATORE DELL’APPELLATA:
“Piaccia all’Ecc.ma Corte di dichiarare inammissibile o di respingere l’appello proposto con atto notificato il 30 novembre 1999, avverso la impugnata sentenza del Tribunale di Taranto – sez. II – , di cui trattasi, questa confermando in ogni sua parte, e respingendo tutte le domande ex adverso proposte. Con vittoria di spese, competenze ed onorari del presente grado di giudizio.
In via subordinata ed istruttoria si chiede ammissione di prova testimoniale sul seguente capitolo : “vero che sin dal 1992 nei locali di tutte le filiali della Banca Popolare di Taranto sono stati sempre esposti al pubblico i fogli sintetici ed analitici sulle condizioni e tassi praticati alla clientela”. Testi, con riserva di indicarne altri in un prefiggendo termine: XXXXXXXXXX.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione ritualmente notificato C.D. conveniva in giudizio la BPPB onde sentir dichiarare la nullità e/o annullabilità e/o la inefficacia dei contratti di c/c intercorsi con il suddetto istituto ed accertare l’esatto ammontare del saldo finale del c/c intestato ad esso C.D. che chiedeva la restituzione di quanto indebitamente percetto dalla Banca. Radicatosi il contraddittorio la Banca convenuta chiedeva respingersi le pretese del C.D. perché tutte infondate, sicché con sentenza in data 30/9/1999 il Tribunale di Taranto in composizione monocratica rigettava la domanda, regolando le spese secondo la soccombenza. Della pronuncia si duole C.D. con il proposto gravame nei termini di cui in epigrafe; resiste la BPPB la quale ha chiesto il rigetto dell’appello riservato sulle trascritte conclusioni in esito ad una consulenza tecnica ammessa ed espletata in questo grado di giudizio.
MOTIVI DELLA DECISIONE
In relazione a quanto oggetto della prima censura, e vale a dire la violazione dell’art. 50 D. Lgs. 385/93, va qui riconfermato – secondo un costante indirizzo di questa Corte – che la norma in parola consente l’emissione della ingiunzione ex art. 633 c.p.c. sulla base dell’estratto conto previsto dagli artt. 1857 e 1832 c.c. autocertificato dalla Banca creditrice. In un giudizio di cognizione piena, quale quello odierno, è irrilevante che le risultanze non siano state rese note al correntista, atteso che è jus receptum che la produzione in giudizio costituisce trasmissione dell’estratto ai sensi dell’art. 1832 c.c. onerando il correntista delle specifiche contestazioni al fine di superare l’efficacia probatoria della produzione (cfr. Cass. 00/12169). Nella specie anche la seconda censura risulta ininfluente ai fini della decisione, posto che la documentazione esibita ha consentito lo svolgersi della dialettica processuale e l’adozione di una consulenza volta a documentare il dovuto alla stregua delle pattuizioni: per altri versi la questione della impugnativa del c/c da parte del cliente appare superata dalla circostanza che la relativa regolamentazione si applica alla impugnativa di singole partite e non già dei rapporti obbligatori complessivi nascenti dal c/c (Cass. 98/4846).
Va quindi affrontato il rilievo della nullità della clausola di determinazione degli interessi per relationem con riferimento alle condizioni su piazza e alle oscillazioni del mercato finanziario e valutario che il primo giudice ha ritenuto di respingere perchè ancorata a dati obiettivi. Va qui riconfermato che la più recente giurisprudenza (Cass. 23/9/2002 n. 13823 e Cass. 20/8/2003 n. 12222) ritiene sufficiente il riferimento per relationem solo ove esistano vincolanti discipline sul saggio d’interesse, restando esclusa la validità di un richiamo al tasso praticato su piazza (e anche al più generico addirittura criterio delle oscillazioni del mercato finanziario e valutario), e nulla rilevando la mancata contestazione degli estratti conto periodici. E’ noto infatti che sin dalla sentenza del 6/11/1993 n. 11020 il giudice di legittimità insegna che la pattuizione di interessi ultralegali deve essere provata con atto scritto ad substantiam, cui non può supplire l’approvazione ancorché ripetuta degli estratti conto, trattandosi di documenti che non sono espressione di un patto negoziale, al punto che pure la clausola inserita normalmente nelle condizioni di contratto (che prevede interessi a tasso ultralegale) secondo parte della dottrina potrebbe essere colpita da nullità parziale, ove non risulti che il debitore l’ha specificamente approvata dopo averne inteso e accettato in pieno il contenuto. Orbene, se la forma scritta ad substantiam non è l’unico modo in cui può individuarsi la pattuizione di interessi ultralegali, purtuttavia (cfr. Cass. 10657/1996) è necessario che le parti abbiano indicato e accettato criteri predefiniti o elementi estrinseci che siano oggettivamente e aritmeticamente individuabili, il che nella specie è escluso essendovi nelle pattuizioni un richiamo generico e inconferente senza gli altri necessari riferimenti (cfr. altresì la relazione di consulenza a pag. 3).
In tema poi di capitalizzazione trimestrale degli interessi sui saldi passivi del c/ c per il cliente, a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 425/2000, con cui è stata dichiarata costituzionalmente illegittima, per violazione dell’art. 76 Cost., la norma contenuta nell’art. 25, III co. d. lgs. 4/8/99 n. 342 di salvezza della validità degli effetti (fino all’entrata in vigore della delibera CICR di cui al II co. del medesimo art. 25) delle clausole anatocistiche stipulate in precedenza, dette clausole restano disciplinate – secondo i principi che regolano la successione delle leggi nel tempo – dalla normativa anteriormente in vigore alla stregua della quale esse sono da considerarsi nulle perché stipulate in violazione dell’art. 1283 c.c. (cfr. Cass. 02/4490; Cass. 03/12222). Ed infatti tali clausole hanno fonte nelle norme cd. bancarie uniformi, le quali non costituiscono uso normativo, ma uso negoziale e quindi non danno luogo al fenomeno dell’inserzione automatica ai sensi dell’art. 1374 c.c. (Cass. 02/8442). In questo contesto, per affermare che l’anatocismo, sotto forma di capitalizzazione trimestrale degli interessi dovuti dai clienti della banca, sia ricollegabile ad un uso normativo, non rileva che se ne faccia applicazione tra istituti di credito e clienti, perché questo attiene al piano contrattuale e serve a far emergere solo l’uso negoziale; ma è necessario che via sia la convinzione o la consapevolezza di attuare una regola di rilevanza giuridica e che di tale convinzione siano portatori tutti i contraenti operanti in un determinato settore (opinio juris ac necessitatis), in modo che vi sia l’idea da parte loro che l’anatocismo derivi da una disciplina cogente e non dalla forza contrattuale di una delle parti, che imponendo la clausola degli interessi anatocistici induca la controparte ad accettarla in mancanza di alternative. Così la Cassazione ha rilevato che l’esistenza di un uso normativo non si trae solamente dalla circostanza che le banche tradizionalmente inseriscono nei contratti la clausola di interessi anatocistici, giacché proprio tale prassi porta ad escludere che si tratti di un uso normativo: cosicché va dichiarata nulla la clausola che prevede la capitalizzazione trimestrale degli interessi e l’applicazione di ulteriori interessi su di essi, non potendo valere in contrario la circostanza della mancata contestazione da parte di debitori degli estratti conto periodicamente inviati avendo sul punto chiarito la S.C. (Cass. 11/3/96 n. 1978) che esso rende inoppugnabili gli accrediti e gli addebiti soltanto sotto il profilo contabile e non sotto quello della validità ed efficacia dei rapporti obbligatori dai quali le partite inserite nel conto derivano. La relazione di consulenza tecnica svolta in questo grado di giudizio è in linea con i principi qui sopra richiamati sicché ritiene la Corte di aderire alle conclusioni del CTU tecnicamente formulate e logicamente fondate: va solo qui specificato che si ritiene di aderire alla prima delle due ipotesi di lavoro che prevede l’esclusione dal computo della commissione di massimo scoperto per il periodo considerato, per il quale non vi è stata alcuna specifica pattuizione contrattuale; la Banca appellata va quindi condannata a restituire all’appellante la somma di Euro 41.096,00 (cfr. pag 3 e 11 della relazione) oltre gli interessi legali a far tempo della domanda dovendosi presumere la buona fede dell’accipiens (Cass. 98/1293) e mancando la prova contraria a fornirsi dal solvens e vertendosi in ogni caso in materia sottoposta più volte al vaglio della Corte regolatrice e del giudice delle leggi.
In mancanza di prova relativa non è accoglibile la domanda del maggior danno ex art. 1224 c.c., producendo la richiesta di restituzione dell’indebito interesse solo dalla domanda ed essendo l’art. 2033 c.c. norma parzialmente derogatoria all’art. 1224 c.c. (Cass. 95/10884).
Le spese del primo grado possono integralmente compensarsi atteso il tempo della pronuncia gravata e della controvertibilità all’epoca della questione; quelle di questo grado seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte di Appello di Lecce – sez. dist. di Taranto – , pronunciando sull’appello proposto da C.D. nei confronti della BPPB avverso la sentenza del Tribunale di Taranto in data 30/9/99, così provvede:
1) accoglie l’appello ed in riforma dell’impugnata sentenza condanna la appellata a pagare all’appellante la somma di Euro 41.096,00 oltre interessi legali dalla domanda;
2) compensa integralmente tra le parti le spese del primo grado di giudizio e condanna la appellata a pagare all’appellante quelle di questo grado liquidate in XXX di cui XXX per esborsi ivi comprese quelle di consulenz, XXX per diritti, XXX per onorari, oltre accessori.
Così deciso in Taranto il 16/6/2004
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SENTENZA n. 1245/04 –
n. 915 Cont. /98
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL TRIBUNALE DI CASSINO
SEZIONE CIVILE
Nella persona della dott.ssa Anna Gonnella, in funzione di Giudice Unico, ha
deliberato la seguente
SENTENZA
nella causa civile di primo grado iscritta al n. 915/1998 R.G.A.C., posta in decisione all’udienza dell’ 11/2/2004. vertente
TRA
V. Confezioni s.r.l., in persona del legale rappresentante pro-tempore. con sede in Sora , nonchè V. G., nato a Sora il ____e D. M. C. nata a Sora il____ residenti a Sora, tutti elettivamente domiciliati in Cassino alla via De Nicola n. 181, presso lo studio dell’avv. Antonio Tanza che li rappresenta e difende giusta procura a margine dell’atto di citazione
ATTORI
E
Banca della Ciociaria s.p.a. (P.I. 0013480603), con sede in Frosinone al Piazzale De Mattheis, in persona del procuratore speciale (giusta procura del 3/8/93 per notar Doleatti rep. n. 19941, racc. n. 3648) e direttore generale dott. Giuseppe Zeppieri, .rappresentata e difesa. giusta delega a margine della comparsa di costituzione, dagli avvocati Gianpiero Quadrini e Maurizio Quadrini, elettivamente domiciliata in Cassino alla via E. De Nicola n. 157. presso lo studio dell’avvocato Antonio Di Mambro
CONVENUTA
OGGETTO: Azione di accertamento.
CONCLUSIONI DELLE PARTI: All’udienza dell’ 11/2/2004 i procuratori delle parti così’ concludevano:
Per gli attori: “precisano le conclusioni riportandosi a quelle già in atti, anche alla luce delle risultanze della C.T.U., che per comodità qui si riportano: 1) dichiararsi l’invalidità e la nullità parziale del contratto di apertura di credito con scopertura sul c.c. n. 49 -11343, già 49- 11343, oggetto del rapporto tra le parti attrici e la banca e specificatamente la nullità dell’art. 6 in relazione alla violazione degli arti. 1293,1284,1346 e 1418 2 comma c.c., in quanto il tasso ultralegale è indeterminato facendo riferimento alle condizioni usualmente praticate dalle aziende di credito sulla piazza; è applicato l’illegittimo anatocismo trimestrale, sono state applicate c.m.s., valute e spese non previste in contratto; la legge n. 108/96 risulta violata: 2) condannare per l’effetto la banca alla restituzione della somma di lire 32.397.044, oltre gli interessi legali semplici dal 31112/1995 all’effettivo soddisfo (cfr. C.T.U. quesito 6 lett. A), salvo diversa somma che il giudice vorrà riconoscere alla luce dell’espletata C.T.U.; 3) condannare la banca al pagamento delle spese e competenze di giudizio”;
Per la convenuta: ” … rigettata ogni contraria istanza: – in via preliminare, ritenere necessaria l’ammissione dei mezzi di prova articolati dalla Banca della Ciociaria, nel corso dell’intero giudizio, nelle memorie istruttorie, negli atti difensivi tutti e nei verbali di udienza e. per l’effetto, rimettere la causa sul ruolo per l’ammissione e l’espletamento degli stessi;- sempre in via preliminare, fermo ed impregiudicato quanto sopra richiesto, dichiarare la nullità e l’inammissibilità della domanda di parte attrice per tardività e/o irritualità della stessa con conseguenziale integrale rigetto;- nel merito, per i motivi dedotti in tutti gli atti difensivi. ritenere infondata in fatto ed in diritto l’avversa domanda e, per l’effetto, rigettare la stessa; – sempre nel merito, fermo ed impregiudicato quanto sopra richiesto, ritenere le somme riportate nella documentazione contabile della banca e relative al contratto di conto corrente n. 49111343, legittimamente calcolate e richieste e per l’effetto rigettare la domanda di parte attrice; – nel merito, in subordine, fermo ed impregiudicato quanto sopra richiesto, ritenere le somme riportate nella documentazione contabile della banca e relative al contratto di conto corrente n. 49/11343, legittimamente richieste, per avere gli attori, con la sottoscrizione del contratto del 13/4/1995 e. comunque, con il comportamento tenuto nel corso dell’intero rapporto, riconosciuto c/o novato il debito portato dal vecchio contratto di conto corrente e, per l’effetto, rigettare la domanda di parte attrice; – nel merito, in ulteriore subordine, fermo ed impregiudicato quanto sopra richiesto, ritenere le somme riportate nella documentazione contabile della banca e relative al contratto di conto corrente n: 49/11343, legittimamente richieste per aver gli attori provveduto a pagare parzialmente le somme portate dallo stesso con pagamenti non più ripetibili e, per l’effetto, rigettare la domanda di parte attrice; – in ulteriore subordine, per mero scrupolo difensivo, ritenere nulla ed inefficace la CTU del dott. Tedesco per i motivi esposti negli scritti difensivi tutti ordinandone comunque il rinnovo. rimettendo la causa in istruttoria. per avere il perito provveduto ad effettuate i calcoli sino al 31/12/95 e non al 13/4/95 come gli era stato richiesto. – In ogni caso con vittoria di spese, competenze ed onorari”.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione notificato in data 15/7/1998 la società V. Confezioni s.r.l., V. G. e D. M.C. – premesso che: V. G. e V. V. s.d.f., divenuta successivamente V.Confezioni s.r.l., intratteneva con la Banca della Ciociaria s.p.a., agenzia di Sora, dai primi anni 80, un rapporto bancario consistente in un’apertura di credito con affidamento mediante scopertura sul conto corrente n. 49-11343; nel 1985, con la trasformazione della società di fatto in s.r.l., il detto conto corrente fu intestato alla V. Confezioni s.r.l., riportando tutte le precedenti movimentazioni: solo in data 13/4/95, dopo 15 anni di rapporto “al buio”, la V. Confezioni s.r.l., sempre nell’ambito dell’originaria apertura di credito in c.c. n. 49-11343, sottoscrisse un documento nel quale per la prima volta si convenivano e quantificavano un tasso ultralegale, la c.m.s., le valute, le spese ed i costi; l’apertura di credito era garantita dalle fideiussioni dei coniugi V. G. e D. M. C. ; gli istanti, pur avendo sempre contestato l’eccessivo lievitarsi delle pretese della banca, avevano invano cercato di comporre bonariamente la vertenza, attivandosi per ridurre gli importi pretesi nei limiti contrattuali; pur avendo gli istanti ampiamente rimborsato l’intero capitale effettivamente erogato dalla banca (vi erano infatti rientri per centinaia di milioni), l’ultimo estratto conto ricevuto (31/1/1994) riportava un saldo debitore di lire 158.443.693; la banca, inoltre, aveva comunicato alla Centrale dei rischi presso la Banca d’Italia la posizione “a sofferenza” degli attori, determinando così’ la totale perdita del credito che essi avevano presso altri istituti bancari; in realtà il credito vantato dalla banca era frutto. tra l’altro. dell’applicazione durante tutto il corso del rapporto di interessi, competenze, remunerazioni e costi non concordati e comunque non dovuti, e ciò alla luce, essenzialmente, dei seguenti motivi (sinteticamente riportati):
1) la nullità della clausola cosiddetta “interessi uso piazza “, attesa l’assoluta indeterminatezza di essa e la conseguente sua inidoneità a giustificare la pretesa al pagamento di interessi in misura superiore a quella legale. data l’esistenza di diverse tipologie dì interessi; 2) l’illegittima applicazione di interessi capitalizzati trimestralmente, anche per il periodo successivo all’intervenuta revoca dell’affidamento per decisione unilaterale della banca, per violazione del divieto di cui all’art. 1283 c.c., 3) l’inammissibilità della c.m.s., in difetto dì espressa pattuizione contrattuale, concernente la previsione di ulteriori interessi ultralegali a tale titolo; 4) l’illegittimità della clausola cosiddetta “valuta d’uso”; 5) il mancato rispetto delle condizioni convenute contrattualmente – solo in data 13/4/95 – in ordine al costo della provvista; 6) l’irrilevanza delle proposte transattive da parte dei debitori e dei versamenti; 7) la necessità di determinare a mezzo una C.T.U. ìl T.E.G. (tasso effettivo globale medio annuo); 8) l’illegittimità costituzionale dell’art.. 118 del D. Lgs. n. 385/93, per violazione dell’art. 3 Cost., in relazione agli artt. 1321, 1325 pn. 1 e 3, 1346 c.c.; 9) l’invalidità del modello N.U.B, predisposta dall’ABI (e adottato dalla banca convenuta), relativo alla normativa sui conti correnti di corrispondenza e le fideiussioni, risultando detti schemi contrattuali assolutamente incompatibili con gli artt. 85 e 86 del Trattato CEE, il primo dei quali vieta le intese tra imprese restrittive della libertà di concorrenza e sancisce la nullità delle intese stesse e dei contratti che sulla base di esse le imprese hanno imposto alla clientela, il secondo reprime l’abuso di posizione dominante, comportando la nullità delle clausole inserite dall’impresa in posizione dominante nei contratti conclusi con l’utenza e nelle quali l’abuso si concreta.Tanto premesso, chiedevano:- preliminarmente, darsi atto dell’ammissibilità e rilevanza delle questioni di legittimità costituzionale e di violazione del Trattato CEE innanzi indicate e, per l’effetto, trasmettere gli atti alle autorità competenti, previa sospensione del presente procedimento; – nel merito, in via principale, dichiarare l’invalidità e la nullità parziale del contratto di apertura di credito e i conto corrente intercorsi tra gli istanti e la banca, in relazione alle clausole di determinazione ed applicazione degli interessi ultralegali, dell’anatocismo trimestrale. delle c.m.s., delle valute, delle competenze e remunerazioni a qualsiasi titolo pretese e di conseguenza. determinare a mezzo C.T.U. il costo effettivo annuo dell’impugnato rapporto bancario, nonché il T.E.G.; – ricalcolare l’ammontare delle somme a credito ed a debito delle parti (banca-cliente) sulla base dell’intera documentazione e tenuto conto delle eccezioni di nullità di cui innanzi:- condannare la banca convenuta alla restituzione delle somme indebitamente riscosse, oltre agli interessi legali creditori in favore degli istanti, nonchè al risarcimento dei danni da questi subiti in conseguenza delle illegittima comunicazione e quantificazione della sofferenza presso la Centrale Rischi presso la Banca d’Italia, da liquidarsi anche in via equítativa, il tutto con vittoria delle spese processuali. La Banca della Ciociaria s.p.a., nel costituirsi in giudizio, deduceva preliminarmente che in relazione al saldo passivo del medesimo rapporto di conto corrente oggetto del presente procedimento (n. 49-11343), era stato emesso, su sua richiesta, dal Presidente del Tribunale di Cassino, nei confronti degli odierni attori, decreto ingiuntivo n. 32/96, dichiarato provvisoriamente esecutivo e notificato in data 13/4/96, avverso il quale, peraltro, i debitori ingiunti avevano proposto opposizione. Il relativo giudizio n. 641/96 era ancora pendente e rinviato per la precisazione delle conclusioni all’udienza del 22/1/1999. Ne conseguiva che l’odierno processo. sotto l’apparenza di un’azione di accertamento negativo, altro non era che un (nuovo) giudizio di opposizione avverso quel medesimo decreto ingiuntivo, non proposto, però, nelle forme e nei termini previsti dal codice di rito e, dunque, improponibile e/o inammissibile. Nel merito, impugnava e contestava l’avversa domanda, deducendo in particolare che: 1) la variazione del tasso di interesse nel corso di un rapporto bancario di durata ben poteva essere resa determinabile con il richiamo. previsto in contratto, ad elementi estranei e futuri e, in particolare, alle condizioni usualmente praticate dalle aziende di credito sulla piazza; 2) la debitrice principale V. Confezioni s.r.l. aveva ricevuto trimestralmente, sin dall’inizio del rapporto, gli estratti conto periodici che specificavano il tasso di interesse applicato a tutte le operazioni del periodo, senza mai impugnarli nè nei termini previsti dalla normativa vigente, nè nei termini previsti contrattualmente, con ciò approvando specificatamente le relative risultanze; 3) capitalizzazione trimestrale degli interessi. commissioni di massimo scoperto, calcolo della valuta delle operazioni registrate, ove applicati. erano stati convenzionalmente stabiliti nel rispetto della normativa vigente e secondo i principi dettati costantemente dalla giurisprudenza: 4) l’applicazione di interessi convenzionali dopo la chiusura dei rapporto era stabilita in contratto, oltre che consentita dall’art. 1224 c.c.; 5) la V. Confezioni s.r.l. aveva effettuato solo parziali pagamenti delle somme di cui era debitrice, pagamenti non ripetibili ai sensi dell’art. 2034 c.c.; 6) a fronte della lettera di comunicazione della chiusura del conto inviata dalla banca in data 26/9/95, con allegato l’estratto di conto corrente al 3016/95, la società attrice aveva chiesto, con successiva lettera del 25/10/95, dilazione del pagamento del debito senza contestare, né genericamente né, tanto meno, specificamente, il credito richiesto dalla banca, con ciò riconoscendolo; la medesima società attrice, in data 919/97, aveva avanzato proposta transattiva a saldo e stralcio, non contestando minimamente il credito vantato dalla banca, ma solo adducendo problemi legati a “gravi motivi di salute”; 7) con la sottoscrizione del nuovo contratto di conto corrente l’attrice aveva riconosciuto e/o novato il debito portato dal vecchio contratto di conto corrente del 21/9/84; 8) il diritto alla impugnazione degli elementi costitutivi del vecchio contratto di conto corrente era in ogni caso abbondantemente prescritto; 9) le questioni di legittimità costituzionale e violazione dei trattati CEE erano infondate. Chiedeva quindi dichiararsi nullo ed inammissibile l’atto di citazione e, comunque, nel merito, rigettarsi la domanda. All’udienza di prima comparizione gli attori chiedevano la riunione del presente procedimento, contrassegnato con il n. 915/98 (G.II dott. Magliocca), al procedimento n. 641/96 (GI dott. Basile), avente ad oggetto opposizione a decreto ingiuntivo, per connessione soggettiva ed oggettiva. Il Giudice rimetteva le parti dinanzi al Presidente dei Tribunale per decidere sull’istanza di riunione (contrastata dalla banca convenuta). Il Presidente, ordinata la comparizione delle parti, rimetteva il presente fascicolo dinanzi al G.I. dott. Basile per le sue determinazioni al riguardo. Questi, con distinte ordinanze depositate in pari data (19/2/99), rigettava la richiesta di riunione, ma sospendeva il giudizio recante il n. 641/96 in attesa della definizione della controversia introdotta con la causa iscritta al n. 915/98. Il Presidente del Tribunale, preso atto del provvedimento del Giudice, rimetteva la causa n. 915/1998 al Giudice inizialmente designato, il quale fissava l’udienza per gli adempimenti di cui all’art. 183 c.p.c., nel corso della quale si procedeva al libero interrogatorio dell’attore V. G., mentre nessuno compariva per la banca convenuta. Venivano quindi concessi alle parti i termini di cui all’art. 183 ultimo comma c.p.c., e parte attrice depositava corpose memorie ai sensi della normativa citata. Successivamente, assegnati i termini di cui al primo comma dell’art. 184 c.p.c. per la definitiva articolazione dei mezzi istruttori, il Giudice, con ordinanza del 15/1/2001, ammetteva la C.T .U. contabile richiesta dagli attori, mentre non accoglieva l’istanza attorea di ordine di esibizione alla banca convenuta dell’intera documentazione inerente il rapporto di conto corrente oggetto di causa. nè le richieste istruttorie formulate da parte,convenuta (interrogatorio formale degli attori e prova testimoniale), ritenendole non influenti ai fini della decisione. Venivano acquisti agli atti i documenti prodotti dalle parti. Depositata la C.T .U. contabile, il consulente nominato, dott. Giuseppe Tedesco, veniva nuovamente convocato per rispondere agli ulteriori quesiti formulati dalla banca convenuta nel verbale di udienza del 27/11/2002. Espletato tale incombente. all’esito, all’udienza dell’ 11/2/2004, la causa veniva trattenuta in decisione. previa concessione alle parti dei termini di legge per il deposito delle comparse conclusionali e memorie di replica.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Occorre procedere con ordine all’esame delle innumerevoli questioni agitate. con dovizia di argomentazioni, da entrambe le parti del presente giudizio. Preliminarmente. si rileva che la banca convenuta ha eccepito la nullità e/o inammissibilità della domanda proposta dagli attori, sul rilievo che con il presente giudizio, sotto l’apparenza di un’azione di accertamento negativo del credito e di declaratoria di nullità di clausole contrattuali, gli attori medesimi avrebbero introdotto un (nuovo) giudizio di opposizione avverso il decreta ingiuntivo n.32/96, emesso nei loro confronti su richiesta dell’istituto di credito e fatto oggetto di opposizione nel procedimento recante il n. 641/96 R.G.A.C., relativo allo scoperto del medesimo rapporto di conto corrente di cui si controverte nella presente sede, senza l’osservanza, però, dei termini e delle forme previste dal codice di rito. Cosi’ facendo, secondo la difesa della banca, gli interessati avrebbero “creato” artificiosamente un ulteriore mezzo di impugnazione avverso il decreto ingiuntivo, non previsto da alcuna norma processuale, preordinato peraltro al fine di aggirare il sistema di preclusioni e decadenze stabilito dal nuovo codice di rito; sicché ammettere un siffatto “espediente” consentirebbe alla parte che ne sia decaduta di reintrodurre, in altro modo, eccezioni. domande e conclusioni non più ammissibili, in spregio dei principi di economia processuale e di tutela dei diritti difensivi. La tesi della banca, sebbene suggestiva, non sembra tuttavia accoglibile, dal momento che i giudizi de quibus hanno diversi petitum e causa petendi; quello iscritto sub. n. 641/96 ha, infatti, ad oggetto, come già accennato opposizione avverso il decreto ingiuntivo n. 32/96, mentre quello odierno ha ad oggetto azione di accertamento negativo del credito della banca e di declaratoria di nullità parziale del contratto di conto corrente n. 49-11343 per invalidità di talune clausole di esso. Del resto, alcuna norma del nostro diritto processuale sancisce l’improponibilità, in pendenza di un giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, di un’azione di accertamento negativo in ordine al medesimo credito oggetto dell’ingiunzione e declaratoria di nullità parziale dello stesso rapporto contrattuale controverso, salvo, evidentemente, il caso che il giudizio pendente (di opposizione) sia stato definito con sentenza passata in giudicato. Ed allora il problema non va posto in termini di improponibilità e/o inammissibilità del successivo giudizio di accertamento, ma di coordinazione dei diversi procedimenti, attraverso i meccanismi contemplati dal codice di rito (riunione dei processi, ovvero, ove la riunione non sia più possibile, sospensione dell’uno in attesa della definizione dell’altro, soluzione questa adottata dal precedente giudice istruttore nel caso che occupa). Ciò. posto, neppure può essere condiviso l’ulteriore assunto della banca secondo il quale con la sottoscrizione del nuovo contratto di conto corrente, avvenuta in data 13/4/1995, l’attrice V. Confezioni s.r.l. (succeduta alla V. V. e V. G. s.d.f.) avrebbe “novato” il debito portato dal vecchio contratto di conto corrente stipulato in data 21/9/1984. Ed infatti, l’effetto estintivo dell’obbligazione che è proprio della novazione presuppone sempre che sia accertata la sussistenza dell’animus novandi, che deve costituire lo specifico intento negoziale comune ai contraenti e che dev’ essere provato in concreto (Cass. 00/9354). Nella specie, le parti hanno invece consentito la coesistenza tra la nuova e l’originaria obbligazione, come dimostra il fatto. già evidenziato dal precedente giudice nell’ordinanza del 19/2/99 ed acclarato anche dalla C.T.U. redatta dal dott. Tedesco, che il saldo debitore del “precedente” contratto di conto corrente ha anche costituito la prima posta passiva del “nuovo” contratto di conto corrente (sottoscritto il 13/4/95), con conseguente unitarietà del rapporto in questione e necessità di considerare, nella presente disamina, l’intera durata di esso, dalla sua apertura sino alla revoca avvenuta per atto unilaterale della banca. Ciò posto, risulta incontestato che il contratto originario, sottoscritto nel 1984, disciplinante il contratto di apertura di credito con scopertura sul conto corrente n. 49-11343, fa riferimento, ai fini della determinazione del tasso di interesse applicato al rapporto, alle “condizioni praticate usualmente dalle aziende di credito sulla piazza”. Orbene, secondo l’ormai prevalente giurisprudenza sia di legittimità che di merito, in materia di interessi ultralegali, il rinvio alle condizioni praticamente usualmente dall’azienda di credito sulla piazza (art. 7 norme bancarie uniformi) non è sufficiente a soddisfare l’onere della forma scritta richiesto dall’art. 1284 comma 3 c.c., perché sfornito dei requisiti minimi di determinatezza o determinabilità dell’oggetto, essenziale per la validità del contratto. Del resto, il divieto di rinvio agli usi è stato espressamente sancito, con effetto non retroattivo, dalla legge n. 154/92, la qual cosa ha determinato praticamente la definitiva scomparsa dalla modulistica bancaria della clausola in parola. Il problema continua però a porsi, in sede giudiziale, in conseguenza del protrarsi degli effetti delle pattuizioni intervenute in epoca antecedente all’entrata in vigore della normativa di cui si è detto, come appunto quella oggetto della presente causa, stipulata nel 1984 (e “rinegoziata” soltanto 13/4/1995, in ossequio alla nuova normativa). E’ pur vero che, in epoca antecedente all’entrata in vigore della legge citata, era prevalente, soprattutto nella giurisprudenza di legittimità, la tesi secondo cui in ipotesi di rinvio per relationem al saggio di interesse “usualmente praticato sulla piazza” l’oggetto del contratto non pativa nocumento alcuno in ordine al requisito della determinatezza o determinabilità. Cio’ in quanto l’obbligo previsto dall’art. 1346 c.c. era da ritenersi ugualmente rispettato, posto che nel documento contrattuale le parti indicavano criteri certi ed obiettivi che consentivano la concreta determinazione del tasso di interesse. Nè rilevava la circostanza che ciò avvenisse, appunto, per relationem, ossia mediante il rinvio ad elementi estranei al documento, in quanto le condizioni praticate usualmente dalle aziende di credito sulla piazza erano fissate sulla base di accordi di cartello, di modo che il rinvio al tasso usuale era di per sè sufficiente ad ancorare il tasso di interesse a fatti oggettivi, certi e di agevole riscontro (Cass. 30/5/89 n. 2644; 25/8/92 n. 9839). Successivamente, però, la stessa giurisprudenza della Suprema Corte ha mutato indirizzo, sostenendo che la clausola di rinvio agli usi di piazza può ritenersi valida ed univoca solo se coordinata all’esistenza di vincolanti discipline fissate su larga scala nazionale con accordi interbancari, nel rispetto delle regole di concorrenza, e non quando tali accordi contengono riferimenti a tipologie di interessi praticati su scala locale e non consentano, per la loro genericità, di stabilire a quale previsione le parti abbiano inteso fare concreto riferimento (Cass. 10/11/1997 n. 11042; negli stessi termini Cass. 13/3/1996 n. 2103; Cass. 8/5/1998 n. 4696; Cass. 23/6/98 n. 6247; da ultimo Cass. 1/2/2002 n. 1287 e numerose altre). Costituisce poi onere della banca fornire la prova dell’univocità della fonte richiamata e, quindi, dell’oggettiva determinabilità del tasso, pur nella possibile previsione di variazioni in corso di rapporto. Tale onere si rinviene in via generale nella previsione di cui all’ars. 2697 c.c., ma, in maniera ancora più specifica, nell’art. 1284 c.c., in quanto solitamente trattasi di interesse ultralegale, la cui determinazione deve essere operata per iscritto. Con la conseguenza che, qualora nel corso del rapporto sia intervenuta, sia pure per un certo periodo soltanto, l’applicazione di un tasso di interesse ultralegale, determinato per relationem nei termini innanzi specificati, il saldo finale del conto risulta inficiato nella sua veridicità. A nulla rileva poi che, sempre nel corso del rapporto, sia eventualmente intervenuta tacita approvazione del conto. Molto si è discusso, infatti, sia in dottrina che in giurisprudenza, in ordine alla portata ed efficacia di siffatta approvazione tacita, strettamente connessa alla natura dell’estratto conto bancario. Secondo l’opinione assolutamente prevalente, lo stesso è considerato mero documento contabile, precisandosi che le relative operazioni bancarie in esso riassunte e menzionate (prelevamenti e versamenti), a differenza del conto corrente ordinario, non danno luogo alla costituzione di autonomi rapporti di credito o debito reciproci tra il cliente e la banca, ma rappresentano l’esecuzione di un unico negozio, da cui derivano il credito ed il debito della banca verso il cliente. Pertanto la mancata tempestiva contestazione dell’estratto conto trasmesso da una banca al cliente rende inoppugnabili gli accrediti e gli addebiti solo sotto il profilo meramente contabile, ma non sotto quelli della validità ed efficacia dei rapporti obbligatori dai quali le partite inserite nel conto derivano (cfr. ex numeris Cass. 11/3/1996 n. 1978). Il fatto quindi che la banca abbia inviato al cliente gli estratti conto, o comunicato in altra forma le modifiche dei tassi di interesse non vale nè a fornire la dimostrazione di cui si -è detto, nè a modificare l’originarìo regolamento contrattuale, attesa la natura unilaterale della comunicazione e l’inammissibilità di un comportamento concludente o di una sorta di tacita accettazione dell’altra parte, essendo richiesta la forma scritta ad substantiam ex art. 1284 c.c.- Ed infatti, costituisce principio generale affermato in tema di contratti da concludersi per atto scritto a pena di nullità quello secondo il quale l’esigenza dell’elemento formale investe le dichiarazioni di entrambe le parti, sicché l’accettazione non può essere desunta da elementi concludenti (cfr. Cass. 9315486). Sulla scorta di tali principi, ormai ampiamente sostenuti dalla più recente giurisprudenza dì legittimità e di merito, compresa quella di questo Tribunale, alla quale il Giudice ritiene di doversi uniformare, reputandola condivisibile e discostandosi, conseguentemente, dal precedente orientamento espresso nella sentenza n. 641/2000, richiamata dalla difesa della banca nella ~.Éia comparsa conclusionale, va quindi ribadita l’ininfluenza della prova testimoniale articolata dalla banca medesima, come già esposto ìn corso di causa, essendo il relativo thema probandum incentrato sull’avvenuto’ regolare invio degli estratti conto al correntista e sulla mancata contestazione di essi da parte dell’interessato. Da quanto detto discende anche, quale ulteriore corollario, l’insussistenza dei presupposti di legge per poter configurare un riconoscimento del debito nel comportamento tenuto dal correntista, il quale, come eccepito dalla banca, oltre a non contestare gli estratti conto periodicamente trasmessi, avrebbe: in data 13/4/1995 sottoscritto un nuovo contratto con condizioni diverse rispetto ai precedenti contratti del 1984 e 1985. accettando, in tale occasione, che la prima posta passiva del nuovo contratto fosse il saldo dei rapporti precedenti; chiesto, con lettera del 25/10/95, a fronte della comunicazione, da parte dell’istituto, di chiusura del conto corrente, di dilazionare il pagamento di quanto dovuto; infine, portato in detrazione gli interessi passivi calcolati dalla banca nelle proprie denunce dei redditi. Difatti, è improduttiva di effetti la promessa di pagamento o la ricognizione di debito la cui fonte sia un negozio nullo (86/855), quale appunto deve ritenersi, nel caso specifico, il contratto di conto corrente n. 49-11343 (testo originario), nella parte prevedente un mero rinvio agli usi, ai fini della determinazione del tasso di interesse ultralegale. Deve quindi dichiararsi la nullità della clausola del contratto di conto corrente che prevede, ai fini della determinazione del tasso di interessi, il rinvio agli usi, con conseguente necessità di rideterminare gli interessi medesimi secondo le norme generali codicistiche e, quindi, applicando il tasso di interesse nella misura legale (art. 1284 ultimo comma c.c.). La banca ha tuttavia eccepito, in ogni caso, la irripetibilità delle somme pagate dal correntista per interessi in misura ultralegale asseritamente non dovuti, richiamando il noto orientamento giurisprudenziale secondo il quale “il pagamento spontaneo di interessi in misura ultralegale, pattuita invalidamente, costituisce adempimento di obbligazione naturale e determina l’irripetibilità della somma cosi’ pagata” (Cass. 84/2262). Orbene, se ciò è vero, è però anche vero che la stessa giurisprudenza della Suprema Corte ha precisato che l’indicato presupposto non ricorre “nel caso di una banca che abbia proceduto all’addebito degli interessi ultralegali sul conto corrente del cliente per sua esclusiva iniziativa e senza autorizzazione alcuna del cliente medesimo” (Cass. 84/2262, già citata). Con riferimento al caso di specie, deve appunto ritenersi, in considerazione di tutto quanto già esposto con riguardo alla clausola `uso piazza”, che gli interessi ultralegali siano stati effettivamente addebitati sul conto del cliente senza alcuna autorizzazione di questi, ma per determinazione unilaterale della banca, non consentendo detta clausola, per la sua genericità, di stabilire a quale tasso le ”parti abbiano inteso in concreto riferirsi, con conseguente attribuzione alla banca, in un. momento successivo alla stessa stipula del contratto, di ampi poteri discrezionali, in difetto di previo consenso del correntista, a nulla rilevando la conoscenza successivamente acquisita del tasso applicato, o eventuali comportamenti concludenti, e neppure manifestazioni espresse di riconoscimento di debito, in quanto atti o fatti inidonei a sanare il vizio originario di nullità della pattuizione per carenza del requisito della determinabilità dell’oggetto. che deve esistere al momento della stipula del contratto e non essere determinato o determinabile soltanto ex post. In altri termini, le condizioni praticate usualmente dalla banca sulla piazza si risolvono in clausole unilateralmente predisposte da un solo contraente (più forte), ed imposte all’altro (più debole) in mancanza di consenso e di pattuizione concordata con quest’ultimo. E’ quindi da escludere la spontaneità del pagamento degli interessi ultralegali da parte del correntista, con conseguente inapplicabilità della disciplina dettata dall’art. 2034 c.c.- Quanto poi all’eccezione di prescrizione sollevata dalla banca in comparsa di costituzione, deve evidenziarsi che l’azione promossa dal cliente nei confronti della banca per valere la nullità di clausole contrattuali. come appunto quella di specie, è imprescrittibile ai sensi dell’art. 1422 c.c., mentre quella diretta a conseguire la ripetizione di somme non dovute è soggetta alla ordinaria prescrizione decennale, decorrente dalla chiusura del rapporto. Come infatti affermato dalla Suprema Corte, “il momento iniziale del termine prescrizionale decennale per il reclamo delle somme indebitamente trattenute dalla banca a titolo di interessi decorre dalla chiusura definitiva del rapporto, come già ha ritenuto da questa Corte sia con riferimento al deposito bancario regolato in conto corrente, sia con riguardo al mandato – ove siano previste più prestazioni del mandatario e qualora le parti, come nella specie, non abbiano pattuito diversamente – , alla cui disciplina è soggetto prevalentemente il contratto di operazioni bancarie, qui ricorrente. Difatti, i contratti bancari di credito con esecuzione ripetuta di più prestazioni, sono contratti unitari, che danno luogo ad un unico rapporto giuridico, anche se articolato in una pluralità di atti esecutivi; perciò la serie successiva di versamenti, prelievi ed accreditamenti non dà luogo a singoli rapporti (costitutivi od estintivi), ma determina solo variazioni quantitative dell’unico originario rapporto costituito tra banca e cliente” (Cass. 84/2262). Orbene, poiché nella specie la chiusura dei rapporto per determinazione della banca è avvenuta con comunicazione del 26/9/1995, mentre l’atto di citazione è stato notificato in data 15/7/1998, l’eccezione di prescrizione suddetta va respinta. Circa poi le ulteriori questioni prospettate dagli attori, appare anzitutto fondata la censura relativa alla asserita illegittimità della cosiddetta capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi, per violazione dell’art. 1283 c.c.- Orbene, con riferimento a tale questione, è oramai noto l’indirizzo più recente della Suprema Corte che, mutando improvvisamente e radicalmente il proprio precedente orientamento (favorevole all’esistenza di un uso normativo bancario tale da legittimare la capitalizzazione trimestrale degli interessi sui conti debitori), ha ritenuto nulla la previsione contenuta nei contratti di conto corrente bancario, avente ad oggetto, appunto, la capitalizzazione trimestrale degli interessi dovuti dal cliente, giacché essa si basa su un mero uso negoziale e non su una vera e propria norma consuetudinaria, ed interviene anteriormente alla scadenza degli interessi, tanto più nel caso di contratti stipulati dopo l’entrata in vigore della disposizione di cui all’art. 4 della legge n. 154/92. che vieta le clausole di rinvio agli usi (Cass. 99/2374; cfr. altresì Cass. 9913096, secondo cui la capitalizzazione trimestrale degli interessi da parte della banca sui saldi di conto corrente passivi per il cliente non costituisce un uso normativo, ma un uso negoziale, essendo stata tale diversa periodicità della capitalizzazione, più breve rispetto a quella annuale applicata a favore dei clienti sui saldi di conto corrente per lui attivi alla fine di ciascun anno solare, adottata per la prima volta in via generale su iniziativa dell’ABI nel 1952, e non essendo connotata la reiterazione del comportamento dalla opinio iurìs ac necessitatis; nonché Cass. 99/12507, secondo cui la clausola in oggetto deve reputarsi nulla, in quanto fondata su un uso negoziale, ex art. 1340 c.c., e non su un uso normativo, ex artt. 1 e 8 delle preleggi, come esige l’art. 1283 c.c.; l’inserimento della clausola nel contratto, in conformità alle cosiddette nonne bancarie uniformi predisposte dall’ABI, non esclude la nullità anzidetta, poiché a tali norme deve riconoscersi soltanto il carattere di usi negoziali, non di usi normativi). A regolare la materia è poi intervenuto l’art. 25 del d. lg.s 4/9/99 n. 342 che, innovando la rubrica dell’art. 120 T.U. – “decorrenza delle valute e modalità di calcolo degli interessi” – ha aggiunto al comma 1 dell’art. 120 due nuove disposizioni alla stregua delle quali “il CICR stabilisce modalità e criteri per la produzione di interessi sugli interessi maturati nelle operazioni poste in essere nell’esercizio dell’attività bancaria”, prevedendo in ogni caso che “nelle operazioni in conto corrente sia assicurata nei confronti della clientela la stessa periodicità nel conteggio degli interessi sia debitori che creditori. Le clausole relative alla produzione di interessi sugli interessi maturati, contenute nei contratti stipulati anteriormente alla data di entrata in vigore della delibera di cui al comma 2, sono valide ed efficaci sino a tale data e, dopo di essa, debbono essere adeguate al disposto della menzionata delibera, che stabilirà altresì le modalità ed i tempi dell’adeguamento. In difetto di adeguamento le clausole divengono inefficaci e l’inefficacia può essere fatta valere solo dal cliente”. Peraltro la Corte Costituzionale , come è noto, con sentenza 17/10/2000 n. 425 ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l’ari. 25, comma 3, d. lgs. 4/8/99 n. 342 citato (contenente modifiche al decreto legislativo 1/9/93 n. 385, recante il testo unico delle norme in materia bancaria e creditizia), per contrasto con gli artt. 3, 24, 76, 77 101, 102, 104 Cost., nella parte in cui stabilisce che le clausole riguardanti la produzione di interessi sugli interessi maturati, contenute nei contratti stipulati anteriormente alla data di entrata in vigore della delibera del Comitato interministeriale per il credito ed il risparmio (CICR) relativa alle modalità e criteri per la produzione di interessi su interessi maturati nelle operazioni poste in essere nell’esercizio dell’attività bancaria, siano valide ed efficaci fino a tale data e che, dopo di essa, debbono essere adeguate – a pena di inefficacia da farsi valere solo dal cliente – al disposto della menzionata delibera, con le modalità ed i tempi ivi previsti. Per effetto di tale pronuncia, le clausole anatocistiche restano quindi disciplinate, secondo i principi che regolano la successione delle leggi nel tempo, dalla normativa anteriormente in vigore, alla stregua della quale esse – basate su un uso negoziale anziché su una norma consuetudinaria – sono da considerarsi nulle, perchè stipulate in violazione dell’art. 1283 c.c. (Cass. 28/3/2002 n. 4490). Alla luce quindi di tali orientamenti, condivisi dal Giudicante (pur nella consapevolezza della esistenza di difformi pronunce della giurisprudenza di merito, pure intervenute in subìecta materia, sulla quale il dibattito, sia dottrinario che giurisprudenziale, è ancora acceso ed aperto), si ritiene doversi dichiarare la nullità, nella specie, della previsione contrattuale relativa alla capitalizzazione trimestrale (nè vi è dubbio che siffatta nullità sia rilevabile anche d’ufficio, poiché il Giudice ben può rilevare d’ufficio, in ogni stato e grado del giudizio, la nullità di clausole contrattuali, come appunto quella che occupa. delle quali si chiede l’applicazione o l’esecuzione, rientrando questo potere nel compito di verifica della sussistenza delle condizioni dell’azione; cfr. Corte Appello Cagliari 15/1/2001, resa in una fattispecie nella quale si discuteva anche della invalidità della pattuizione non scritta di interessi ultralegali), con conseguente necessità di rideterminare la pretesa creditoria oggetto di causa, applicando la capitalizzazione con la sola cadenza annuale. Relativamente a quest’ultima, è infatti pur vero che una drastica applicazione del divieto di cui all’art. 1283 c.c. potrebbe indurre a negare l’ammissibilità anche di detta specie di anatocismo, però è anche vero che una soluzione siffatta porterebbe, a sua volta, ad escludere che l’inadempimento dell’obbligazione del pagamento degli interessi alla scadenza fosse fonte di alcuna responsabilità risarcitoria. Si è quindi ritenuto che la soluzione del problema vada ricercata nel disposto dell’art. 1284 c.c, che individua nell’anno il termine di scadenza ex lege dell’obbligazione di interessi. Ed infatti, si sostiene, se è la legge stessa a ritenere adeguato l’anno quale termine entro il quale l’obbligazione degli interessi viene a scadenza, appare giusto ritenere che esso costituisca anche un termine reputato dalla legge sufficientemente ampio per precludere quell’effetto di moltiplicazione automatica del debito che l’art. 1283 c.c. vuol evitare impedendo cadenze infrasemestrali. Detta soluzione può essere condivisa, sia perchè non contrasta con l’ars. 1283 c.c., sia perchè vale ad evitare la configurabilità nell’ordinamento di obbligazioni il cui inadempimento rimanga privo di sanzione. Ne consegue quindi la necessità di rideterminare le somme dovute dagli attori, in relazione al rapporto di conto corrente bancario per cui è causa, anche tenuto conto di tale ulteriore profilo, ossia scomputare dal credito vantato dalla banca (oggetto, appunto, del presente giudizio di accertamento negativo) la quota di esso derivante dalla capitalizzazione trimestrale degli interessi. Gli attori hanno inoltre eccepito la non debenza della commissione di massimo scoperto, delle spese di tenuta conto e di quelle “non documentate”, nonché la nullità della clausola cosiddetta `valuta d’uso”. Per brevità di esposizione, si richiama tutto quanto esposto, sull’argomento, sotto un profilo più squisitamente economico e di tecnica bancaria, nella relazione redatta dal C.T.U. dott. Giuseppe Tedesco e depositata in data 11/10/2001. Con particolare riferimento alla commissione di massimo scoperto, si osserva altresì che la rara giurisprudenza che ha avuto modo di occuparsene, ha ritenuto, in considerazione della diversa natura degli interessi rispetto alla commissione, che “qualora il contratto di conto corrente contempli la corresponsione di interessi ultralegali, il debito per saldo passivo del conto continua ad essere regolato dalla suddetta clausola anche per il periodo successivo al recesso di banca. Non è invece più dovuta, con riferimento a detto periodo, la c.d. commissione di conto” (Appello Catania 15/9/1987). Ed infatti la c.m.s., che viene applicata al massimo saldo dare del cliente, nell’ambito del sinallagma contrattuale, è destinata ad operare su di un piano diverso rispetto agli interessi, “costituendo la controprestazione per il rischio crescente che la banca si assume in proporzione all’ammontare dell’utilizzo dei fondi” (Farina, “La determinazione giudiziale del credito bancario in conto corrente”, pag. 370). Tale conclusione risulta indirettamente avvalorata dal fatto che la Banca d’Italia, con circolare del 1/10/1996, intervenendo in ordine alla rilevazione dei tassi per l’individuazione della soglia usuraria, ha chiarito che la commissione di massimo scoperto non entra nel calcolo del TEG (tasso interesse globale) e va rilevata separatamente ed espressa in termini percentuali. Alla luce di quanto detto, ed una volta riconosciuta alla commissione di massimo scoperto una sua autonoma finzione rispetto agli interessi, come pure una sua giustificazione causale nel sinallagma del contratto di conto corrente, non appaiono sussistere valide ragioni per ritenere la nullità della clausola che la sancisce, giungendo a conclusioni identiche a quelle a cui si è pervenuti con riguardo agli interessi (passivi), ai quali soltanto è applicabile la norma dell’art. 1284 c.c., secondo cui gli interessi superiori alla misura legale devono essere determinati per iscritto, a pena di nullità. Sicché, trattandosi peraltro, nello specifico, di contratto stipulato in epoca antecedente all’entrata in vigore del testo unico sulla trasparenza bancaria, è ben possibile ritenere legittima l’applicazione, in costanza di rapporto, della commissione anzidetta. In ordine poi alla questione relativa alla determinazione della valuta, va certamente condiviso quanto evidenziato dal C.T.U. nella propria relazione in atti, peraltro confortato dalla giurisprudenza occupatasi della questione, secondo il quale “per quanto riguarda i prelevamenti si deve riportare la valuta che corrisponde al giorno del pagamento dell’assegno, ovvero del giorno in cui la banca perde effettivamente la disponibilità del denaro, mentre per quanto riguarda i versamenti si riporta la valuta che corrisponde al giorno in cui la banca acquista effettivamente la disponibilità del denaro … In pratica però la banca, che tiene il conto e che quindi è la parte. forte nel rapporto di ‘ conto corrente, per i prelevamenti di capitale effettuati dal cliente attraverso l’emissione di assegni bancari ha attribuito una valuta antergata al giorno dell’effettivo prelevamento, mentre per quanto riguarda i depositi di denaro effettuati dal cliente sul conto corrente la banca ha attribuito una valuta postergata al giorno dell’effettiva disponibilità del denaro”, in tal modo determinando un aumento artificioso del tasso annuo effettivo praticato nel rapporto di conto corrente (cfr. pagg. 17, 18 e 19 della relazione depositata in data 11/10/2001). Di qui la necessità di computare le operazioni di accredito effettivo delle valute dal giorno in cui la banca ha acquisito o perduto la disponibilità dei correlativi importi, regola cui si è attenuto il C.T.U. nei propri conteggi. Per quanto concerne, infine, le spese, devono ritenersi dovute quelle cosiddette “di tenuta conto”, trattandosi di costi sostenuti dalla banca, direttamente o indirettamente, per la tenuta e gestione dei servizi di conto corrente. Con riferimento invece alle spese cosiddette “non documentate”, pur non potendosi escludere che trattasi di categoria piuttosto vaga e indefinita, la questione è però priva di pratica rilevanza, avendo il C.T.U accertato l’assoluta esiguità di esse. Conclusivamente, tenuto conto di tutto quanto evidenziato, e cioè applicando gli interessi nella misura legale, con la sola capitalizzazione annuale includendo la commissione di massimo scoperto e le spese, e computando infine le operazioni di accredito effettivo delle valute dal giorno in cui la banca ha acquisito o perduto la disponibilità dei correlativi importi, è emersa l’inesistenza di debiti degli attori (rispettivamente correntista e fideiussori) nei confronti della banca convenuta, scaturenti dal rapporto di apertura di credito mediante scoperto sul conto corrente n. 49-11343, oggetto del presente giudizio di accertamento. Viceversa è risultato che sono proprio gli attori ad essere titolari di un credito restitutorio verso la banca, per interessi illegittimamente corrisposti pari a lire 19.912.325. conteggiato dal C.T.U., relativamente al periodo 1984 – 1995, a pag. 6 della seconda relazione depositata in data 20/5/2003. Pertanto, previa declaratoria di nullità delle clausole del contratto bancario n 49-11343, prevedenti, ai fini della determinazione del tasso di interesse, il rinvio agli usi, e la capitalizzazione trimestrale degli interessi medesimi la banca convenuta va condannata alla restituzione, in favore degli attori, della somma di euro 10.283,85, oltre interessi semplici al tasso legale dalla data del 31/1211995 (corrispondente a quella dell’ultimo estratto conto prodotto dalla banca, recante un saldo debitore di lire 161.126.058), sino al saldo effettivo. Va infine precisato, per completezza di trattazione, che gli attori non hanno più specificamente riproposto, all’udienza di conclusioni, le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 118 del D.lgs. n. 38511993, per violazione dell’art. 3 Cost., in relazione agli artt. 1321, 1325 n. 1 e 3, 1346 c.c., e di incompatibilità del modello N.U.B., predisposto dall’A.B.I., relativo alla normativa sui conti correnti di corrispondenza e le fideiussioni, con gli artt. 85 e 86 del Trattato CEE, da intendersi pertanto tacitamente rinunciate. In ogni caso, trattasi di questioni che non sembrano avere influenza sul presente procedimento, nel quale si controverte in tema di nullità di specifiche clausole del contratto di conto corrente relative alla misura degli interessi ultralegali ed all’anatocismo, spese, commissioni, ecc. Parimenti, deve ritenersi rinunciata, in difetto di espressa riproposizione all’udienza conclusiva, la richiesta di risarcimento dei danni avanzata nell’atto di citazione, conseguente alla illegittima comunicazione e quantificazione della “sofferenza” presso la Centrale Rischi presso la Banca d’Italia, domanda, comunque, rimasta completamente sfornita di prova. Infine, considerata la complessità e novità delle questioni trattate, sulle quali è ancora aperto il dibattito sia dottrinario che giurisprudenziale, sussistono giusti motivi per l’integrale compensazione delle spese processuali, fatta eccezione per quelle di C.T.U., come già in atti liquidate, che vanno invece poste, nella loro interezza. a carico della banca convenuta.
P.Q.M.
Il Tribunale di Cassino, in persona del Giudice Unico, definitivamente pronunciando nella causa di cui in premessa, ogni diversa istanza od eccezione assorbita o disattesa, cosi’ provvede: 1) accoglie per quanto di ragione le domande proposte dagli attori e, per l’effetto, previa declaratoria di nullità delle clausole del contratto bancario n. 49-11343, prevedenti, ai fini della determinazione degli interessi, il rinvio agli usi e la capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi, condanna la banca alla restituzione, in favore degli attori, secondo quanto indicato dalla C.T.U. in atti, della somma di euro 10.283,85, oltre interessi determinati come da motivazione della presente sentenza; 2) compensa interamente tra le parti le spese processuali, fatta eccezione per quelle di C.T.U., come già in atti liquidate, che pone nella loro interezza ed in via esclusiva a carico della banca convenuta.
CASSINO, 2/7/2004 IL GIUDICE Anna GONNELLA
DEPOSITATA il 29 ottobre 2004
___________________________________________________________________________________
VII
Tribunale di Torino
Sez. VIII Civile
Il Dott. Marco CICCARELLI, nelle funzioni di giudice unico, ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
nella causa civile iscritta al n. **** del ruolo gen. degli affari contenziosi per l’anno 1999,
TRA
SACOL Srl, in persona del legale rappresentante pro tempore, POMES Eugenio e TAMBURRINI Maria, rappresentato e difeso dagli avvocati Antonio TANZA e Roberto ROLLERO;
-OPPONENTI-
E
SAN PAOLO IMI s.p.a., rappresentato e difeso dall’avv. Giuseppe RIZZO;
-OPPOSTO-
(omissis)
PQM
il Tribunale di TORINO, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta dalla SACOL SRL, nonchè da POMES EUGENIO e TAMBURINI Maria nei confronti della SPA SAN PAOLO IMI con atto di citazione notificato il 18 settembre 1999, con l’intervento volontario di ITALFONDIARIO SPA, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa, così provvede:
1) dichiara tenuta e condanna la SPA SAN PAOLO IMI alla restituzione in favore della SACOL SRL della complessiva somma di Euro 149.949,50 oltre interessi legali dalla pronuncia al saldo;
2) rigetta la domanda di restituzione proposta nei confronti della intervenuta ITALFONDIARIO SPA;
3) compensa integralmente le spese tra gli attori e la ITALFONDIARIO SPA;
4) dichiara tenuta e condanna la SPA SAN PAOLO IMI all’integrale rimborso delle spese del giudizio in favore degli attori, liquidandole in assenza di specifica distinta in Euro 6.000,00, di cui Euro 400,00 per spese vive, Euro 1.600,00 per competenze ed Euro 4.000,00 per onorari, oltre spese generali, IVA e CAP come per legge e disponendone la distrazione, ex artt 93 c.p.c., in favore dei procuratori antistatari;
5) pone le spese di CTU, liquidate come da provvedimenti del 02 luglio 2002 e del 27 aprile 2004 definitivamente a carico della convenuta San Paolo Imi Spa.
Così deciso in Torino il giorno 29 ottobre 2004
Il Giudice Dott. Marco Ciccarelli
Depositata in Cancelleria il 03 novembre 2004
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N. 1305/2004 Sentenza
N. 6480 Cronologico
N. 2616 Repertorio
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale di Trani – Sezione Promiscua, in composizione monocratica nella persona del Dott. Binetti, a scioglimento della riserva di cui al verbale dell’udienza del 5 aprile 2004 tenuta a Trani, ha emesso la seguente
SENTENZA
nella controversia iscritta al n. 946/2000 del R.G.A.C., avente ad oggetto la ripetizione di indebito
TRA
D. G. G., assistito e difeso giusta mandato a margine dell’atto di citazione dall’avv. Antonio Tanza ed elettivamente domiciliato in Trani;
ATTORE
E
ISTITUTO BANCARIO SAN PAOLO DI TORINO – ISTITUTO MOBILIARE ITALIANO spa, in persona del legale rappresentante, assistito e difeso dagli Avv.ti Antonio Belsito e Gino Cavalli, giusta mandato in calce alla copia notificata dell’atto di citazione, ed elettivamente domiciliato in Trani al C.so Vittorio Emanuele , 256 (c/o Avv. G. De Zio);
CONVENUTO
Conclusioni delle parti:
per l’attore:
precisa le proprie conclusioni riportandosi a quanto chiesto, eccepito, dedotto e confermato dalla CTU; ribadisce l’opposizione a quanto ex adverso formulato ed eccepito; chiede la condanna del convenuto con ogni conseguenza anche per le spese, competenze ed onorari;
per il convenuto:
precisa le conclusioni richiamando quelle già formulate nella comparsa di costituzione e risposta.
Svolgimento del processo
Con atto di citazione notificato in data 10 marzo 2000, D. G. G. conveniva in giudizio dinanzi a questo Tribunale l’Istituto San Paolo di Torino – IMI Spa, in persona del legale rappresentante pro tempore, esponendo:
– di intrattenere con l’Istituto convenuto un rapporto bancario di apertura di credito con affidamento mediante scopertura su c/c n. 10/10351 per un importo di £ 80.000.000, iniziato il 21 novembre 1991 ed ancora in corso, con ultimo saldo passivo al 31 dicembre 1991 di £. 13.489.367;
– di contestare la misura del presunto credito vantato dalla banca per i motivi che seguono:
a) nullità della clausola dell’interesse ultralegale mediante rinvio al cd uso piazza; infatti il contratto originario non statuiva un tasso ultralegale ma faceva riferimento alle condizioni praticate usualmente dalle aziende di credito sulla piazza, clausola questa nulla per violazione del disposto di cui agli artt. 1284, comm. 3 c.c., 1346 e 1418, comm. 2 c.c.; sicchè doveva applicarsi l’interesse legale annuale, sia sui saldi attivi che su quelli passivi, con restituzione ad esso attore degli interessi indebitamente corrisposti;
b) illegittimità della pattuizione ed applicazione della capitalizzazione trimestrale dell’interesse composto; infatti, il contratto originario stabiliva l’addebito degli interessi composti o anatocistici su quelli primari, capitalizzati nei periodi trimestrali di contabilizzazione del rapporto, mentre tale pattuizione era nulla per violazione del disposto di cui agli artt. 1283 c.c. e 1418, comm. 2 c.c., né esisteva un uso normativo che la consentisse;
c) inammissibilità della provvigione di massimo scoperto; infatti nulla era dovuto, in quanto nulla era stato convenuto contrattualmente, sicchè la sua applicazione avveniva in contrasto con gli artt. 1284, comm.2, 1325 e 1418 comm.2 c.c.;
d) illegittimità della determinazione della valuta; infatti, nulla era previsto circa i cd giorni valuta; l’istituto aveva, invece, computato in modo differente i cd giorni valuta (differenza fra valuta effettiva e valuta fittizia), aumentandone il numero nelle operazioni di credito e diminuendole in quelle di debito;
e) Tasso Effettivo Globale superiore a quello di mercato
f) Illegittimità della segnalazione alla Centrale Rischi; infatti la segnalazione non era affatto necessaria, attesa la piena e dimostrabile capacità del debitore di assolvere alle sue obbligazioni ed è stata disposta solo per ottenere una definizione più sollecita della controversia a condizioni più vantaggiose per l’istituto di credito.
Tanto premesso, concludeva, chiedendo accertarsi e dichiararsi la nullità parziale del rapporto bancario per le dedotte illegittimità, accertarsi e dichiararsi l’esatto ammontare dovuto, condannando la banca alla restituzione delle somme indebitamente addebitate e/o riscosse;condannarsi la convenuta al risarcimento del danno; il tutto con vittoria di spese e competenza di giudizio.
Si costituiva con comparsa del 16 maggio 2000 l’Istituto S. Paolo, assumendo che: a) la clausola di rinvio agli usi era perfettamente valida, anche perché sin dal luglio 1992 era stata inviata alla clientele una circolare con la quale si precisava che gli interessi praticati erano quelli risultanti dall’estratto conto inviato il 30 giugno 1992, mentre dall’agosto 1995 l’opponente aveva inviato alla banca una serie di lettere nelle quali erano state sostanzialmente trascritte le condizioni pattuite con menzione del tasso di interesse, mai contestato, b) in ogni caso la validità della pattuizione degli interessi ultralegali aveva trovato conferma nella conferma di tre successivi riconoscimenti di debito e contestuali proposte di riscadenziamento; c) lo stesso opponente aveva attribuito alla banca il potere di rideterminare unilateralmente, anche in senso più sfavorevole al cliente, tutte le condizioni concernenti le operazioni indicate in contratto; d) la capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi era perfettamente legittima in quanto conforme all’uso normativo; e) le c.d. commissioni di massimo scoperto costituivano una voce di spesa nettamente distinta, anche nel contratto, dalla voce “interessi”, in quanto rappresentavano il corrispettivo spettante alla banca per la messa a disposizione della somma prevista nell’apertura di credito; f) in ogni caso l’opponente, nella convinzione di essere debitore, ha provveduto ai pagamenti (per interessi e spese) in favore della banca, sicchè veniva in rilievo la soluti retentio ex art. 2034 c.c.; g) non sussisteva alcun comportamento contrario a buona fede da parte dell’istituto di credito, di modo che non era neppure dovuto alcun risarcimento.
Concludeva, pertanto, chiedendo rigettarsi le domande attoree e, in via riconvenzionale, condannarsi l’attore al pagamento della somma di £. 13.489.367, oltre agli interessi convenzionali, capitalizzati in ragione trimestrale dal 31 dicembre 1999 al saldo e condannarsi- in via cumulativa o, in subordine, in via alternativa- l’attore al risarcimento dei danni in relazione alla violazione del dovere di correttezza, da determinarsi in via equitativa; il tutto con vittoria di spese e competenze del giudizio. Espletati gli adempimenti di cui all’art. 180 (con la concessione del termine ex art. 170 c.p.c. per il deposito di note), 183 (con la c.d. appendice scritta di cui all’ultimo comma della stessa norma9 e 184, il G.I., con ordinanza del 6 novembre 2001, disponeva consulenza tecnica d’ufficio contabile a mezzo del dott. Carlo Modugno, che assunto l’incarico in data 22 maggio 2002, depositava la propria relazione il 25 luglio 2002. Sulle contestazioni mosse dalle parti alla consulenza, l’esperto veniva richiamato dal G.I. e forniva i propri chiarimenti nella relazione integrativa depositata in data 12 settembre 2003. In assenza di ulteriore attività istruttoria, le parti venivano invitate a precisare le proprie conclusioni. All’udienza del 5 aprile 2004, dunque, la causa sulle conclusioni come in epigrafe precisate, veniva riservata per la decisione con i termini ex art. 190 c.p.c. per il deposito di comparse conclusionali e memorie di replica.
Motivi della decisione
La ricostruzione del rapporto intercorso tra le parti riguarda esclusivamente il saldo relativo ad una apertura di credito con affidamento mediante scopertura su c/c n. 10/10351. Si tratta, nella specie, di un affidamento, per l’importo di £. 80.000.000, concesso in data 21 novembre 1991 ed appoggiato su un conto corrente preesistente, affidamento che alla data del 31 dicembre 1999 presentava un saldo passivo di £. 13.489.367. In breve, il D. G. ha contestato alcune voci del predetto conto che, a suo dire, nonostante i numerosi pagamenti alla banca, avevano fatto illegittimamente lievitare l’esposizione debitoria. In particolare, è stata contestata l’applicazione di interessi ultralegali in assenza di previsione scritta e determinata, di voci di spesa quali la commissione di massimo scoperto, non dovute, di un criterio diverso e più svantaggioso per il cliente per il calcolo dei giorni valuta e della capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi, anch’essa ritenuta contraria al divieto normativo dell’anatocismo. Orbene, occorre prendere le mosse dalla prima delle contestazioni sollevate, per verificare anche la fondatezza delle eccezioni sollevate dalla banca convenuta. Le eccezioni sollevate dall’istituto di credito sono prive di fondamento giuridico. Infatti l’approvazione anche tacita degli estratti conto, rende incontestabili le risultanze contabili, ma non la validità ed efficacia giuridica delle operazioni cui tali contabili si riferiscono. La separazione fra l’aspetto contabile e quello sostanziale degli estratti conto, ai fini della contestazione della validità ed efficacia dei rapporti obbligatori cui si riconnettono, è affermazione pacifica e risalente sia in dottrina che in giurisprudenza (per quest’ultima cfr. fra le ultime, Cass. 11.9.1997 n. 8989; 14.5.1998 n. 4846; 1.2.2002 n. 1287 in Foro It. 2002, I, 1411). In riferimento alla natura confessoria delle ricognizioni di debito – che avrebbero avuto, secondo la prospettazione della convenuta, la funzione di determinare tra le parti il tasso applicabile – va detto che la banca convenuta nel depositare la propria comparsa conclusionale e la propria memoria di replica non ha provveduto a ridepositare il proprio fascicolo di parte (ad eccezione di un fascicolo contenente soltanto precedenti giurisprudenziali) contenente tutti di documenti tra cui le citate ricognizioni di debito; di modo che non sarà possibile per lo scrivente apprezzare la natura di tali scritture, ovvero il valore asseritamene confessorio sostenuto dalla convenuta. Quanto alla nullità del patto di determinazione d’interessi in misura superiore a quella legale e con rinvio per la determinazione di esso alle condizioni di piazza, va rilevato in primis che l’art. 1284 co. 3 prescrive che il tasso ultralegale è dovuto solo se determinato per iscritto. Nel contratto de quo, esso non è specificamente indicato (circostanza questa pacifica tra le parti), né ad individuarlo, per iscritto, può valere la clausola di rinvio per relationem agli usi di piazza. Infatti la Suprema Corte , superando un precedente orientamento (di cui è esempio Cass. 9.12.1997 n. 12453 in Foro It. Rep. 1998 voce Contratti Bancari n. 34 e Giur. It 1998, 1, 1644), con successivi arresti (Cass. 11.8.1998; n. 7871; 23.6.1998 n. 6247; 19.7.2000 n. 9465 in Foro It. 2000, 1, 155; Cass. 1.2.2002 n. 1287 in Foro It. 2002 1, 1411; Cass. 21.6.2002 n. 9080 in Rep. Giur. It. 2002 voce Interessi n. 17; Cass. 28.3.2002 n. 4490 in Giust. Civ. 2002, 1, 1857; Cass. 23.9.2002 n. 13823 in Mass. Giuris. It 2002;) ha meglio precisato il suo pensiero, stabilendo che il rinvio per relationem agli usi di piazza, soddisfa il criterio sotteso dall’art. 1284 co. 3, solo quando esso contenga criteri prestabiliti e specifici per la concreta determinazione del tasso d’interesse, come nel caso in cui si faccia pattiziamente rinvio ad un criterio provvisto di caratteri di certezza, obbiettività, uniformità e conoscibilità: infatti il rinvio agli usi di piazza “sic et simpliciter” – come nel caso di cui si discute – non consente di individuare, con i sovracitati criteri di certezza ed univocità, il tasso cui le parti hanno pattiziamente fatto rinvio, poiché “sulla piazza” sono utilizzati diversi tassi passivi di interesse, diversificati per 1) ammontare dell’operazione; 2) tipo di contratto; 3) tipo di clientela. Pertanto la clausola in parola, rinviando agli accordi di Cartello su piazza, senza alcuna altra specificazione, è nulla, non soddisfacendo il criterio della determinazione scritta dell’interesse ultralegale. Più radicalmente deve ritenersi che esso non risulta stipulato per iscritto e pertanto si identifica con quello legale, poiché la disposizione dell’art. 1284 co. 3 c.c. è norma di carattere cogente la cui violazione può, quindi, esser rilevata d’ufficio. Peraltro, benché il contratto di apertura di credito con affidamento de quo sia stato stipulato il 21/11/91 e, quindi, in epoca antecedente all’entrata in vigore della L. n. 154/92 (9/7/92), la clausola di rinvio per la determinazione delle variazioni dei tassi agli usi su piazza è comunque nulla perchè tale richiamo non è idoneo a provare la pattuizione di un tasso debitore maggiore rispetto a quello concordato. In ordine al minimum richiesto per l’identificazione dell’oggetto del contratto, l’indirizzo giurisprudenziale consolidatosi prima dell’entrata in vigore della legge sulla trasparenza bancaria (cfr., in proposito, Cass. Civ. 3/2/94 n. 1110; Cass. Civ., 7/3/92 n. 2745 ed altre) riconosceva efficacia alla clausola di rinvio alle “condizioni usualmente praticate dalle aziende di credito sulla piazza” sul rilievo che tali condizioni vengono determinate su scala nazionale, sicché il rinvio al tasso usuale vale comunque ad ancorarlo a criteri oggettivi, di agevole riscontro e non influenzabili ad libitum dal singolo istituto di credito. Tale orientamento, che legittimava una prassi bancaria che rendeva di fatto incontrollabile da parte del cliente il tasso debitore di volta in volta applicato, è di recente mutato anche a seguito delle sollecitazioni dei Giudici di merito (cfr. Trib. Napoli, 25/3/94, Trib. Pavia, 1/10/1993, Trib. Milano, 24/2/92), i quali avevano ripetutamente dichiarato la radicale nullità di tale clausola sia per violazione dell’obbligo imposto dall’art. 1284 C .C. di pattuire per iscritto gli interessi in misura ultralegale sia per la sua assoluta genericità, che non consentiva di determinare l’oggetto della prestazione in violazione dell’ art. 1346 c.c. Tale portato giurisprudenziale, tradottosi sul piano normativo nell’espressa previsione della nullità di siffatte clausole, introdotta dall’art. 4 l . n. 154/92 e dall’ art. 117 co 6° D. Leg.vo n. 385/93, ha indotto recentemente la Suprema Corte a mutare orientamento ed a statuire che il generico riferimento alle “condizioni di piazza” non soddisfa di per sé il requisito di oggettiva determinabilità del tasso di interesse, il quale, sia pure per relationem, deve essere fissato fin dal momento della stipulazione del contratto in base ad elementi certi ed oggettivi che escludano ogni successiva valutazione discrezionale della banca (cfr. Cass. Civ., 13/3/96 n. 2103; Cass. Civ. 29/11/96 n. 10657; Cass. Civ. 10/11/1997 n. 11042 e Cass. Civ. 8/5/1998 n. 4696; conforme anche Trib. Trani, 11/7/1998 n. 1023; tra le altre successive cfr. Cass. Civ., Sez. 1, 19/7/2000 n. 9465 e Cass. Civ., Sez. 1, n. 1287 /2002). In conclusione, può essere correttamente adottata la soluzione prospettata dal consulente tecnico d’ufficio al punto 1 a ) delle conclusioni (pag. 11 della relazione del 22 maggio 2002), che prevede un saldo credito di £. 17.722.112. Risulta, pertanto, superata la questione e non compete allo scrivente la relativa verifica circa l’eventuale superamento del tasso soglia previsto dalla normativa anti-usura ex lege 108/96, se bene il consulente tecnico sia stato investito della relativa indagine (ed abbia, per la verità, escluso ogni ipotesi di sconfinamento, se non nei limitati periodi 1° aprile 1999- 31 dicembre 1999, nel caso in cui si voglia considerare nel calcolo del T.A.E.G. i soli dati previsti dalla legge- interessi dare + cms + spese – , ovvero nel periodo 1° ottobre 1999- 31 dicembre 1999, nel caso in cui si vogliano considerare soltanto gli interessi dare + cms, secondo la tecnica bancaria), dal momento che la soluzione prescelta, come detto, è quella dell’applicabilità all’intero rapporto degli interessi legali in virtù della sostituzione automatica per mancata previsione per iscritto della clausola di interessi ultralegali. Quanto poi all’eccepita nullità del patto di capitalizzazione trimestrale di interessi esso è nullo per violazione del divieto d’anatocismo, contenuto nell’art. 1283 c.c., cui può derogare solo un “uso normativo”. In proposito, giova ricordare brevemente gli ultimi sviluppi in sede giurisprudenziale e normativa. E’ noto il recente orientamento giurisprudenziale, che con improvviso revirement ha escluso l’esistenza di un uso normativo in deroga al divieto di anatocismo di cui all’art. 1283 c.c. affermando che ”la revisione contrattuale della capitalizzazione trimestrale degli interessi dovuti dal cliente, in quanto basata su un uso negoziale, ma non su una vera e propria norma consuetudinaria è nulla, in quanto anteriore alla scadenza degli interessi” (Cass. Civ. 16 marzo 1999, n. 2374). E’ noto altresì che dopo pochi mesi dall’avvento di quella vera e propria rivoluzione copernicana, si è registrato un intervento legislativo che, senza provvedere ad alcuna abrogazione dell’art. 1283 c.c., che ancora sancisce un generale divieto di anatocismo, con l’art. 25 del d.Lgs.n 342/99 ha aggiunto al primo comma dell’art. 120 T.U. due nuove disposizioni. Con la prima ha attribuito al CICR il potere di stabilire modalità e criteri per la produzione di interessi sugli interessi maturati nelle operazioni poste in essere nell’esercizio dell’ attività bancaria. Il CICR dunque, ha provveduto all’incombente, riconoscendo la possibilità di capitalizzazione degli interessi creditori e debitori senza impedimento alcuno, quindi anche con frequenza giornaliera, ove pattuita, e senza preoccuparsi di porre alcun limite alla nota ampia “forbice” , tipica del sistema bancario italiano, tra il tasso di interesse su conti debitori e tasso di interesse su conti creditori. Con la seconda, ha stabilito che ”le clausole relative alla produzione di interessi su interessi maturati, contenuti sui contratti stabiliti anteriormente alla data in vigore della delibera di cui al comma 2° , sono valide ed efficaci fino a tale data e, dopo di essa , debbono essere adeguate al disposto della menzionata delibera che stabilirà altresì modalità e tempi dell’ adeguamento. In difetto dell’adeguamento le clausole divengono inefficaci e l’inefficacia può essere fatta valere solo dal cliente”. Ebbene, la Corte Costituzionale , in accoglimento delle doglianze relative all’ecceso di delega immediatamente sollevate da diversi giudici di merito ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l‘art. 25, comma 3° D.Lgs., 4 agosto 1999, n. 342 ”nella parte in cui stabilisce che la clausole riguardanti la produzione di interessi su interessi maturati, contenuti nei contratti stipulati anteriormente all’entrata in vigore della delibera del Comitato interministeriale per il credito e il risparmio (CICR), relativa alle modalità e criteri per la produzione di interessi maturati nelle operazioni poste in essere nell’esercizio dell’attività bancaria, siano valide ed efficaci fino a tale data, e che, dopo di essa, debbono essere adeguate – a pena di inefficacia da farsi valere solo dal cliente – al disposto detta menzionata delibera, con le modalità ed i tempi ivi previsti”. La censura di incostituzionalità rende ora inutile qualsivoglia tentativo di giungere per altra via ad escludere la possibilità di applicazione del 3° comma dell’alt. 120 T.U. ai contratti bancali in conto corrente stipulati prima dell’entrata in vigore della novella. A tale risultato si era comunque pervenuti escludendo che all’art. 25 citato, potesse conoscersi il carattere di legge di interpretazione autentica o avente efficacia retroattiva con riguardo ai contratti stipulati anteriormente alla sua entrata in vigore, nella consapevolezza che comunque il provvedimento legislativo in questione non abrogava, in tutto od in parte l’art. 1283 c.c., che continuava a sancire il generale divieto di anatocismo, fatta salva l’esistenza di usi normativi di segno contrario (cfr. sul punto Cass. Civ., Sez. I, 28 marzo 2002, n. 4490). Ebbene, l’iter argomentativi degli ultimi arresti della Cassazione, ripreso da diverse Corti di merito può essere ricostruito nel modo che segue. Va premesso che l’art 8 delle preleggi al codice civile del 1942, innovando rispetto alla disposizione del codice civile del 1865 e del codice di commercio del 1882, considera tra le fonti normative non tutti gli usi “tout court”, ma solo quelli che siano richiamati da una fonte normativa propria. Ne consegue, sul piano del diritto positivo, differenziandosi questo da quello della ricerca storica ed erudita, che gli usi su cui fondare l’eccezione al divieto di cui all’art. 1283 c.c., devono avere il loro fondamento in norme dell’ordinamento positivo, cioè “vigente”, escludendosi così, già per ipotesi logica, che possa ritenersi sussistere un uso normativamente fondato su una norma abrogata o non costituente uso normativo ex art. 8. preleggi. Pertanto né le norme del codice civile del 1865, né quelle del codice di Commercio Zanardelli del 1882, possono costituire il fondamento normativo (perché non più “norme vigenti”) di un uso che costituisca eccezione alla regola dell’art. 1283. A maggior ragione non possono ritenersi normativamente fondate le raccolte di usi e consuetudini bancarie anteriori al 1942, a meno che siano recepite o fondate su una norma vigente. Inoltre, né le Norme Bancarie Uniformi né gli Accordi del Cartello Bancario possono costituire usi normativamente fondati. Non le prime, perché trattasi di raccolta di usi negoziali, realizzata a cura dell’Associazione Bancaria Italiana, i cui associati sono gli istituti di credito ai quali l’associazione che li rappresenta, fornisca indicazioni tese a raggiungere, la massima uniformità contrattuale, per ragionevoli fini di armonizzazione, non contraddittorietà e non conflittualità fra i negozi bancari posti in essere dagli operatori professionali del settore creditizio. Per tale loro spiegata natura e scaturigine, le N.B.U. non possono costituire “usi normativi” ma semplici “usi negoziali”, non vietati: infatti l’art. 1374 c.c. prevede che il contratto possa essere “integrato” da un uso negoziale, solo laddove la legge generale dello Stato o quella speciale del contratto,,tacciano. Ma l’integrazione del contratto, consentita agli usi negoziale non può, come detta l’art 1374 c,c., confliggere con la volontà della legge generale, né tanto meno costituisce il fondamento di un uso che possa correttamente qualificarsi normativo. La circostanza stessa che le N.B.U., per potersi applicare al contratto specifico, debbano esser accertate dal cliente non professionista, o debbano ritenersi per riconosciute per poter esser applicabili, svela la loro sostanziale natura di fonte negoziale. Non costituiscono “uso normativo” gli Accordi del Cartello Bancario, sorti nella prima metà del XX secolo a regolare, in forza dell’art. 32 della L. Bancaria del 7.3.1938 n. 141 e 7.4.1938 n. 636, i rapporti interbancari, anche al fine di determinare i limiti dei tassi attivi e passivi da praticarsi alla clientela. Peraltro detti accordi, ex art. 32 L . Bancaria 1038, ridivennero meri accordi volontari e quindi liberi quando cessarono le funzioni del “comitato dei ministri” e dell’”Ispettorato” previsti dall’art 32 della citata legge. Neanche tali accordi dunque, possono considerarsi “usi” normativamente fondati, ex art. 8 preleggi c.c. 1942. Né, ad esempio di norma fondante la capitalizzazione trimestrale prevista dal contratto in esame, può portarsi l’accenno alla “capitalizzazione di interessi”, contenuto nell’art 8 della L. 17.3.1993 n. 154, il cui testo è abrogato e trasfuso negli art 117, 119 e 120 della L. bancaria 385/93, ove non v’è più traccia di detta “capitalizzazione d’interessi”, essendosi abrogato, come già detto in precedenza, per eccesso di delega, il co. 3 dell’alt. 120 T.U.L.B. come modificato dall’art. 25 del decreto legislativo 4.8.99 n. 342 (cfr. Corte Costituz. 17.10.2000 n. 425, in Foro It 2000,3045). Né si ritiene che gli art. 1 e 2 della L. 7.3.1996 n. 108, possano fornire un fondamento normativo alla capitalizzazione trimestrale anatocistica. Infatti, mentre l’art. 1 riguarda esclusivamente la riformulazione dell’art. 644 c.p., l’art. 2 co. 1, nel determinare il tasso effettivo globale medio, al fine del calcolo del tasso soglia, lo calcola in riferimento all’anno anche se la rilevazione ha cadenza trimestrale, potendo da ciò inferirsi che la capitalizzazione inferiore a tale periodo annuale sia illegittima posto che, da un canto l’art, 1283 è sicuramente imperativa non derogabile e che gli interessi anatocistici sono leciti solo se computati dal dì della sentenza e per pattuizione posteriore (e non anteriore) alla loro scadenza. Le posizioni ormai dominanti in giurisprudenza, anche di merito, cui lo scrivente ritiene di aderire, attesa la congruità delle argomentazioni, concludono nel senso che nell’ordinamento positivo si rinvenga un supporto normativo in deroga all’art. 1283 c.c. Né peraltro verso, proprio per quanto sin qui detto si può convenire con alcune sentenze rese nell’anno 1999, già note a questo Tribunale, che non ne condivide l’assunto essenziale: che, cioè per la deroga al 1283 c.c. sia inessenziale l’esistenza di uso normativo tenendo conto del mero fatto che la banca può recedere ad nutum dal contratto di c/c bancario a tempo indeterminato, ovvero diversamente sostenendo l’applicabilità al contratto di c/c bancario dell’art. 1831 c.c., anche in presenza del mancato richiamo di detta norma nell’art. 1857 c.c. Precisato che il primo argomento elude il testo normativo dell’art. 1283 c.c., il secondo, induce il Tribunale a riflettere sui rapporti legislativi positivi intercorrenti fra il contratto di conto corrente ordinario e il contratto di c/c bancario. Infatti, “in tali arresti si argomenta in favore della capitalizzazione trimestrale, supponendola fondata in alcuni articoli del codice civile, precisamente l’art. 1823, 1825, 1831, 1833. L’argomento, di tipo sistematico, non è nuovo e ve ne è traccia nella difesa svolta dagli istituti di credito innanzi alla Corte Costituzionale, in occasione del vaglio di legittimità Costituzionale, già citato, dell’art. 25 co. 3 d.leg.tivo 4.8.99 n. 342 (Corte Costit. 17.10.2000 n. 425, citata). Si parte dal presupposto esplicito dell’assimilabilità fra il contratto di conto corrente ordinario e quello di conto corrente bancario al quale ultimo, Cassazione e Dottrina avrebbero sempre ritenuto applicabili tutte le disposizioni del conto corrente ordinario. Conseguentemente, la comune applicabilità ai due tipi contrattuali degli artt. 1823, 1825, 1831 c.c. determinerebbe che gli interessi conteggiati a chiusura del conto, perdano la loro originaria natura e si trasformino in “prima rimessa” del periodo successivo, diventando cioè “capitale” secondo il meccanismo individuato nell’art. 1823 2° co. c.c. L’errore è nella premessa. Innanzitutto mentre il conto di corrispondenza ordinario è un contratto “tipico” il contratto di conto corrente bancario non è disciplinato dal c.c. vigente come figura contrattuale autonoma, laddove, invece, è positivamente disciplinato lo svolgimento delle “operazioni bancarie in conto corrente”. In dottrina, si argomenta che fra il conto corrente ordinario e quello bancario la differenza è data dalla circostanza che mentre nel primo i crediti annotati nel conto sono inesigibili, e indisponibili sino alla chiusura del conto, (art. 1823 c.c.), essendo destinati alla compensazione con eventuali futuri crediti di controparte, nel secondo il credito disponibile nel conto è sempre quello disponibile sulla base del saldo giornaliero: il che è esperienza verificabile da ognuno. Peraltro nel conto corrente bancario manca l’elemento tipico del conto corrente ordinario e cioè le “reciproche rimesse”, ovvero la pluralità reciproca di rapporti di dare ed avere, che costituisce la ragione pratica del conto corrente ordinario e la sua funzione economico sociale tipica, mentre nel conto di corrispondenza solo il correntista è facultato a dare impulso al rapporto, non la banca, che esegue gli ordini del correntista. Sotto altro aspetto gli accreditamenti della banca non possono avere valore di rimesse, anche perché queste mentre nel conto corrente ordinario (art. 1827 e 1828 c.c.) ancorché iscritte nel conto, non perdono la loro singola individualità, al contrario nel conto di corrispondenza bancario le singole partite perdono la loro individuabilità, nel senso che non danno luogo a rapporti di credito/debito autonomi fra loro, tra i quali sia configurabile, ad esempio compensazione in senso tecnico, ingenerando soltanto semplici variazioni del saldo disponibile (cfr. Cass. 12.4.1984 n.2353 in Foro It. 1984 I, 2796; Cass. 15.12.1970 n. 2685; 11.12.1978 n. 5836 in Banca, Borsa titoli di credito, 1980 II, 270; Cass. 9.6.1983 n. 3951 in Foro It. 1983, I, 3064;). Si conclude, sia in dottrina che in giurisprudenza, che il conto di corrispondenza bancario è un contratto atipico di natura mista, dominato dalle regole del mandato (Cass. 30.101968 n.3637; 9.10.1971 n. 2973; Cass. 21.12.71 n. 3701;) ben distinto dal conto corrente ordinario (Cass. 30.12.1968 n. 3667 citata; 14.12.1971 n. 3638 in Foro It. 1972, 1, 326; Cass. 111.12.78 n. 5836 citata). Peraltro la girata di un titolo di credito con l’opposizione della clausola “salvo incasso” consegue differenti effetti rispettivamente nel conto corrente ordinario e in quello bancario di corrispondenza: nel primo ha efficacia di condizione sospensiva dell’accreditamento, nel secondo è condizione risolutiva, ove segua il mancato pagamento del titolo(Cass.30.7.1984 n. 4552 in Banca Borsa titoli di credito ;1986). Infine Cass.21.3.1963 n. 689, in Foro It. 1963, 1, colonna 908 e Cass. 11.12.1978 n. 5836, ritengono inapplicabile al conto corrente di corrispondenza proprio gli art. 1823 e 1833 c.c. dettati in tema di conto corrente ordinario”. (cfr. Corte d’Appello Bari, Sez.2, 30 dicembre 2003, n.1295).” Questo Tribunale ritiene, dunque, in conformità alla citata pronuncia di merito e conformemente all’opinione espressa da Cass.16.3.1999 n. 2374; Cass. 3.3.1999 n. 3096; Cass.4.5.2001 n. 6263; Cass.28.3.2002 n. 4490 citata, che non potendosi applicare al conto corrente di corrispondenza bancario le norme del conto corrente ordinario per tutte le differenze evidenziate, a questo non sia applicabile, ex lege, un conteggio di interessi infrannuale, perchè vietato dall’art.1283 c.c. Pertanto va dichiarata sul punto la nullita’ della clausola contrattuale relativa alla capitalizzazione trimestrale degli interessi, perchè in contrasto con il disposto dell’art.1283 c.c. Ciò potrebbe indurre a negare l’ammissibilità della capitalizzazione sia trimestrale che annuale o di altro tipo sui conti creditori. Tanto però condurrebbe ad escludere che l’inadempimento dell’obbligazione di pagamento degli interessi alla scadenza fosse fonte di alcuna responsabilità risarcitoria. E’ possibile, pertanto, come ha evidenziato attenta dottrina, scorgere la soluzione del problema nell’art. 1284 c.c. che individua nell’anno il termine di scadenza ex lege dell’obbligazione di interessi. Se infatti e’ la legge stessa a ritenere adeguato l’anno quale termine entro il quale l’obbligazione viene a scadenza appare congruo ritenere che esso costituisca anche un termine reputato dalla legge sufficientemente ampio per precludere quell’effetto di moltiplicazione automatica del debito che l’art.1283 c.c. vuole evitare impedendo scadenze infrasemestrali. La soluzione può essere condivisa:da un canto non stride con l’art. 1283 c.c. e, d’altro canto, ha il pregio di evitare la configurabilità nel sistema di obbligazioni il cui inadempimento sia privo di sanzione . Ciò che viene escluso per l’ipotesi del mutuo, cui non segue un rapporto di corrispondenza di dare ed avere con un sistema di interessi passivi ed attivi, può correttamente valere per il conto corrente bancario, laddove alla chiusura dell’anno vengono corrisposti al correntista gli interessi attivi e su di essi – con cadenza annuale, quindi- maturano ulteriori interessi. Tale ultimo aspetto è stato espressamente affrontato dal CTU, il quale ha individuato nel punto 2 a ) l’ipotesi di un saldo con l’applicazione del tasso legale per gli interessi passivi e la capitalizzazione annuale, indicando in £. 22.759.509 il saldo a credito a favore dell’attore al 31 dicembre 1999. La citata soluzione prevede l’applicazione della commissione massimo scoperto e delle spese così come indicate dalla banca, in quanto le stesse erano contrattualmente previste e non rappresentavano una duplicazione di voci di spesa, sebbene il loro calcolo sia stato adeguato all’esposizione debitoria accertata tempo per tempo . In definitiva la domanda attorea va accolta, determinandosi in complessive £.22.759.509 il saldo creditore in favore dell’odierno attore alla data del 31 dicembre 1999. Quanto alla domanda risarcitoria spiegata dall’attore, lo scrivente ritiene che la stessa non sia stata sufficientemente provata , dal momento che non e’ stato dato riscontro all’allegato danno sofferto dall’attore in relazione alla comunicazione della Banca alla Centrale Rischi, nè si può ritenere lo stesso presunto, non svolgendo, peraltro, il D. G. una attività di tipo imprenditoriale (o almeno non ve ne e’ traccia in atti ). Del resto le richieste istruttorie dell’attore si sono limitate alla consulenza tecnica d’ufficio, onde verificare la propria esposizione debitoria. Quanto alle spese processuali, ivi comprese quella per la CTU, esse seguono la soccombenza e vengono liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale di Trani, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta da Di Gregorio Giacomo con atto di citazione notificato in data 10 marzo 2000 nei confronti dell’Istituto San Paolo IMI S.p.A., in persona del legale rappresentante pro-tempore, così provvede:
1) accoglie la domanda per quanto di ragione e, per l’effetto,:
a) dichiara che l’Istituto convenuto è debitore dell’attore della somma complessiva di Euro 11.754,31 (pari a £. 22.759.509), oltre agli interessi attivi così come convenzionalmente pattuiti, cui deve applicarsi la capitalizzazione annuale decorrere dal 31 dicembre 1999 e sino al soddisfo.
b) condanna l’Istituto convenuto al pagamento in favore dell’attore della somma indicata alla lettera a);
2) condanna l’Istituto convenuto alla rifusione delle spese processuali sostenute dall’attore che si quantificano in complessivi Euro 11.800,00 di cui Euro 4.500,00 per onorari, Euro 2.500,00 per diritti, Euro 4.800,00 per esborsi (ivi compresi quelli per il ctu), oltre IVA, CAP, e rimborso forfetario come per legge.
Trani, 30 novembre 2004
Il Giudice Dott. A.Binetti
Depositata in Cancelleria il 09 dicembre 2004
IX
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
La Corte di Appello di Lecce – Sezione 2 Civile – composta dai Signori:
1) Dott. Alfredo LAMORGESE – Presidente
2) Dott. Marcello DELL’ANNA – Consigliere Est.
3) Dott. Rosa CASABURI – Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA N.D.
nella causa civile in grado di appello iscritta al N. 609 del Ruolo Generale delle cause dell’anno 2000 trattata e passata in decisione all’udienza collegiale dell’8 giugno 2004
TRA
SANAPO Alberto, nato a Specchia (LE) il 21.8.1949 (C.F. SNP LRT 49M21 1887A) e RATTAZZI Quintina Laura, nata a Taurisano il 14.7.1954 (C.F. RTT QTN 54L54 L064Q), residenti in Ugento alla Via Capitano Giannuzzi, 97, elettivamente domiciliati in Lecce alla Via Martiri d’Otranto n. 4, presso e nello studio dell’avv. Antonio Tanza, che li rappresenta e difende in virtù di mandato apposto a margine dell’atto di appello.
APPELLANTI
E
BANCO DI NAPOLI S.p.A., con sede in Napoli alla Via Toledo n. 177, Filiale di Lecce (p. IVA 06385880635), in persona di due dei suoi legali rappresentanti pro – tempore, elettivamente domiciliato in Lecce alla Via O. Parini n. 55, presso e nello studio dell’avv. Luisa Baldassarre che lo rappresenta e difende in virtù di mandato a margine della memoria di costituzione.
– APPELLATO –
All’udienza di precisazione delle conclusioni i procuratori delle parti hanno così concluso:
IL PROCURATORE DEGLI APPELLANTI
Voglia la Ecc.ma Corte di Appello di Lecce:
1) dichiarare la invalidità a titolo di nullità delle clausole contrattuali di cui all’art. 57 delle norme regolanti il contratto di apertura di credito mediante affidamento con scopertura su c/c n. 27/792, particolarmente in relazione alle clausole di determinazione e di applicazione degli interessi ultralegali, della determinazione di applicazione dell’interesse anatocistico con capitalizzazione trimestrale, della determinazione ed applicazione della provvigione di massimo scoperto, della determinazione ed applicazione degli interessi per c.d. giorni – valuta, dei costi, delle competenze e remunerazioni a qualsiasi titolo pretese;
2) dichiarare che Sanapo Alberto e Rattazzi Quintina Laura non devono, in solido tra loro e nei confronti di Banco di Napoli S.p.a. la somma di £. 45.762.957, oltre interessi legali dal 10.7.1997 al saldo, accertata nel dispositivo della sentenza appellata;
3) dichiarare l’esatto dare – avere tra le parti dell’impugnato rapporto bancario, in base al risultati del ricalcolo che potrà essere effettuato in sede di C.T.U. contabile e sulla base dell’intera documentazione relativa al rapporto di apertura di credito oggetto del presente processo;
4) determinare il costo effettivo annuo dell’indicato rapporto bancario;
5) dichiarare la nullità e 1’inefficacia di ogni e qualsivoglia avversa pretesa per interessi, spese, ammissioni e competenze per contrarietà al disposto di cui alla legge 7 marzo 1996 n. 108, perchè eccedente il c.d. tasso soglia nel periodo trimestrale di riferimento, con 1’effetto, ai sensi degli artt. 1339 e 1419 c.c. della applicazione del tasso legale in regime di contabilizzazione semplice annuale;
6) condannare la convenuta banca alla restituzione delle somme illegittimamente addebitate e/o riscosse, oltre agli interessi legali creditori in favore degli odierni istanti;
7) dichiarare 1’invalidità di ogni altra obbligazione connessa all’impugnato rapporto bancario, ivi comprese la fideiussione omnibus rilasciata da Rattazzi Quintina Laura a favore di Sanapo Alberto, titolare del rapporto di apertura di credito per cui giudizio;
8) condannare la banca convenuta al risarcimento dei danni patiti dagli attori, in relazione agli artt. 1337, 1366, 1376 c.c., da determinarsi in via equitativa;
9) condannare la banca al risarcimento dei danni subiti dall’opponente a seguito della illegittima segnalazione alla Centrale rischi presso la Banca d’Italia a motivo del rischio a sofferenza falsamente quantificato;
10) condannare la parte soccombente al pagamento delle spese e competenze di giudizio in favore del procuratore anticipatario.
11) In via istruttoria disporre perizia contabile (C.T.U.).
IL PROCURATORE DEL BANCO DI NAPOLI
Voglia la Ecc.ma Corte dichiarare infondati i motivi d’appello ex adverso proposti e rigettare le domande di riforma della sentenza di primo grado formulate dagli appellanti principali.
Voglia altresì riformare la sentenza impugnata nella parte in cui limita 1’importo dovuto dai coniugi Sanapo a L. 45.762.957 oltre interessi legali a partire dal 10.7.1997 e non riconosce, invece, che la misura degli interessi dovuti e pari al 13,50% 1’anno.
Con vittoria di spese e competenze di entrambi i gradi del giudizio.
In via istruttoria si oppone a tutte le richieste ex adverso avanzate, in particolare all’invocata C.T.U. contabile, poiche inammissibile.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto 20 febbraio 1998, i coniugi Alberto Saponaro e Quintina Laura Rattazzi, il primo, titolare del canto corrente 27/792 presso il Banco di Napoli S.p.A. – filiale di Ugento – con apertura di credito mediante affidamento con scopertura, e la seconda fideiussore omnibus, premesso che il rapporto era iniziato il 17 marzo 1987 e che l’ultimo estratto conto recava un saldo passivo di L. 48.045.738, nel contrastare siffatta risultanza dedussero: A) la “nullità” della clausola di determinazione degli interessi al tasso “uso piazza”; B) la “illegittimità” dell’applicazione della clausola anatocistica di capitalizzazione trimestrale degli interessi scaduti e, comunque, il saggio di interessi praticato, diverso da quello legale, nella relativa operazione; C) la “inammissibilità” della commissione di massimo scoperto (C.S.M.) applicata dalla Banca nonostante 1’assenza di apposita pattuizione; D) la irregolarità delle operazioni, concernenti la valuta,attribuita, con riguardo ai versamenti,a distanza di tempo da quello in cui la banca aveva acquistato effettivamente la disponibilità del denaro; E) la illegalità del comportamento tenuto dalla Banca con riferimento al difetto di trasparenza nella pubblicizzazione degli interessi praticati ed al rispetto della normativa antitrust; F) la nullità ex lege 154/1992 della fideiussione “illimitata”.
Convennero, pertanto, il Banco di Napoli, innanzi al Tribunale di Lecce per sentire, previo ordine alla Banca di deposito dei contratti originari, delle modifiche eventualmente intervenute nonché degli estratti conti insieme con il rendiconto di gestione, e previa sospensione del giudizio ai sensi dell’art. 187 del Trattato CEE per la decisione in via pregiudiziale sui quesiti all’uopo indicati nelle lettere da A e C (delle conclusioni), determinare, il dare – avere tra le parti sulla base dei rilievi formulati con condanna della convenuta alla restituzione delle somme indebitamente addebitate e/o riscosse oltre interessi legali e risarcimento dei danni – da liquidare in via equitativa – correlati alla illegittimità della comunicazione e quantificazione delle sofferenze, operate dal Banco di Napoli, alla centrale rischi presso la Banca d’Italia.
Istituitosi rituale contraddittorio, 1’istituto bancario contrasto 1’avversa pretesa sui rilievi preliminari del “riconoscimento del debito per capitale ed interessi”, effettuato dal Sanapo con dichiarazione 10 luglio 1997, contenente inoltre una richiesta di rateizzazione e la proposta – accettata – di riduzione del tasso di interessi al 13,50% nonché della mancata contestazione degli estratti – conto.
Sottolineò 1’inconsistenza dell’avversa tesi in ordine alla violazione degli artt. 85 e 86 del Trattato CEE e della conseguente richiesta di sospensione.
Osservo nel merito la validità della clausola degli interessi “usa piazza” e, dell’anatocismo, la legittimità della C.M.S. e della c.d. valuta d’uso, prevista dall’art. 7 delle N.U.B. e conforme alla prassi bancaria, e dedusse 1’irrilevanza dell’assunto attoreo sulla “pubblicità ingannevole”.
Rilevò, infine, la validità della fideiussione omnibus, peraltro, limitata nel tempo prima a L. 50.000.000 e poi a L. 70.000.000.
Le parti nei successivi scritti difensivi ribadirono le rispettive posizioni aggiungendo gli attori il difetto e comunque l’irrilevanza dell’asserito riconoscimento di debito (nota 23 febbraio 1999 e successive) ed eccependo il convenuto la configurabilità della menzionata dichiarazione come “confessione stragiudiziale” (nota 13 aprile 1999) nonché la prescrizione “della domanda” di cui al n. 1 delle conclusioni con la memoria di replica 5 luglio 1999 all’avversa comparsa conclusionale.
Con sentenza 13 luglio – 18 ottobre 1999, il giudice adito rigetto la domanda e compenso integralmente tra le parti le spese processuali.
A base della decisione rilevo: 1) la natura confessoria della dichiarazione 10 luglio 1997 a firma Sanapo, in quanta la scrittura faceva riferimento al rapporto di c.c. bancario; 2) la validita della fideiussione omnibus, in quanto anteriore alla riforma del 1992.
Avverso la pronuncia proposero appello il Sanapo e la Rattazzi, in via principale, con atto 10 novembre 2000 ed il Banco di Napoli, in via incidentale, con comparsa di risposta, depositata il 13 febbraio 2001. Precisate le conclusioni, la causa all’udienza collegiale dell’8 giugno 2004 fu riservata per la decisione con assegnazione alle parti dei termini di legge per il deposito delle difese scritte.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di gravame, gli appellanti principali criticano la qualificazione data dal Tribunale alla scrittura del 10 luglio 1997, all’uopo deducendo, sotto il profilo soggettivo, la mancanza di animus confitenti, in quanto la dichiarazione stessa aveva costituito il risultato delle pressioni esercitate dalla Banca sul Sanapo, cui era stata comunicata la revoca dell’apertura di credito con invito perentorio di ripianare entro due giorni la situazione debitoria e con avvertimento, in caso negativo, di azioni legali (v. racc. 21 maggio 1997); e rilevando, sotto il profilo oggettivo, che essa non conteneva 1’ammissione di fatti sfavorevoli al Sanapo e favorevoli alla Banca, ma in sostanza un adeguamento del primo alla richiesta della seconda o, al più, una promessa di pagamento o ricognizione di debito.
Conseguentemente, concludono che la dichiarazione in parola e priva di valore vincolante per 1’invalidità del rapporto fondamentale nella parte in cui questo era inficiato da clausole nulle (interessi ultralegali, anatocismo), addebiti non pattuiti (C.S.M.).
La censura e fondata.
La scrittura del 10 luglio 1997 e del seguente testuale tenore: “C.C. 27/792 Int. Sanapo Alberto Ugento, premesso di essere debitore dell’importo di L. 51762957 oltre interessi sino alla data di estinzione, il sottoscritto chiede, assumendone formale impegno, che detta posizione possa essere versata nel seguente modo…”; seguono le modalità per la “eliminazione dell’esposizione”.
Pur mancando, agli atti, il fascicolo di parte di primo grado della Banca, è pacifico tra le parti che quelle modalità furono da questa accettate e che la dichiarazione segui all’intimazione della Banca stessa di ripiano della posizione debitoria per il citato importo con avvertimento che, in difetto, sarebbero state adottate iniziative legali.
Cio premesso, rileva la Corte che la dichiarazione in questione non integra gli estremi della confessione, ma si colloca nell’ambito dell’art. 1988 C .C., che disciplina la promessa di pagamento e la ricognizione di debito.
A tale fine non va attribuito carattere esaustivo – come, invece, ritenuto dal Tribunale – alla circostanza che la promessa o la ricognizione sia titolata, giacché la distinzione tra promessa – ricognizione e confessione prescinde da qualsiasi esplicito riferimento al rapporto fondamentale, occorrendo, viceversa, verificare se la dichiarazione che la contiene, espliciti o meno fatti sfavorevoli alla parte che la effettua, pertinenti al predetto rapporto.
Nella specie, la frase “premesso di essere debitore” non contiene neppure un vago accenno ai fatti storici costitutivi del rapporto fondamentale di conto corrente e correlativamente alle obbligazioni che ne derivano, ma si sostanzia unicamente in una asserzione di debito (oltreché nel resto in una proposta in ordine alle modalità di pagamento), stante la correlazione sul piano logico della predetta asserzione con il previo riconoscimento del debito stesso.
Val quanto dire che l’espressione citata presuppone e si giustifica con il suddetto riconoscimento, sicché essa, sganciata da fatti, integra una dichiarazione di volontà del Sanapo, con la quale costui assume di essere debitore della Banca di L. 51.762.957 e non di scienza: a tale ultimo riguardo giova, invero, segnalare che la dichiarazione de qua non racchiude fatti storici, quali la ricezione di una determinata somma capitale, un intervenuto finanziamento, la esistenza di determinate pattuizioni.
Ne consegue che, concretando la scrittura del 10 luglio 1997 una ricognizione di debito, va escluso che essa costituisca fonte di obbligazioni nuove ed autonome, dovendosi attribuirle valore meramente confermativo di un preesistente rapporto fondamentale con il limitato effetto di dispensare colui a favore del quale e stata emessa dall’onere di fornire la prova e di porre a carico della controparte l’onere di dimostrare l’insussistenza del rapporto suddetto ovvero l’invalidità di esso nella sua interezza ovvero delle clausole dedotte come nulle o applicate in assenza di pattuizione: in altri termini la prova contraria può riguardare tutti gli aspetti rilevanti relativi al rapporto sottostante.
Come si vedrà in appresso, gli appellanti principali hanno riproposto, in questo grado, le domande – non delibate dal Tribunale, che come si e detto, accolse l’eccezione preliminare sollevata dal Banco di Napoli – relativa alla nullità delle clausole concernenti gli interessi “uso piazza” e la capitalizzazione trimestrale ed alla non spettanza della commissione di massimo scoperto.
Prima di esaminare le anzidette censure vanno vagliate le eccezioni all’uopo formulate dalla banca appellata che, con riguardo ad esse, ha dedotto: 1) la preclusione di ogni indagine per essere gli appellanti decaduti ex artt. 1832 e 1945 C .C. “dal diritto di porre in discussione le varie poste del canto corrente de quo” per mancata contestazione degli estratti conto; 2) la prescrizione del “preteso diritto alla restituzione degli interessi” ai sensi dell’art. 2948, 4 C .C.; 3) nonché, sempre con riguardo agli interessi, l’applicabilità dell’art. 2034 C .C., alla cui stregua il debitore che abbia pagato interessi superiori al tasso legale non pattuiti per atto scritto, a norma dell’art. 1284 C .C., non può ripeterne l’importo, dovendo tale pagamento essere qualificato come adempimento di un’obbligazione naturale.
Le eccezioni vanno tutte disattese.
Quanto a quella sub 1, va osservato che, per costante giurisprudenza, l’approvazione del conto – anche tacita preclude qualunque contestazione circa la conformità delle singole e concrete operazioni sottostanti ai rapporti obbligatori da cui derivano gli addebiti e gli accrediti sotto il profilo meramente contabile, senza incidere sulla validità ed efficacia dei rapporti medesimi, che restano soggette alle regole ordinarie.
Conseguentemente, la parte ben può impugnare oltre il termine pattuito o usuale le risultanze dell’estratto conto attaccando direttamente il titolo, come e avvenuto nella specie, avendo gli attori – appellanti dedotto la nullità di alcune clausole (interessi “uso piazza” e anatocismo) e l’insussistenza di convenzione in ordine ad altre voci (C.S.M. e giorni valuta).
La seconda eccezione e, innanzi tutto, inammissibile, essendo stata formulata tardivamente in violazione dell’art. 345 C .P.C.: essa era stata, infatti, formulata per la prima volta nella memoria di replica della banca alla comparsa conclusionale di Sanapo – Rattazzi. Tale eccezione e, comunque, infondata nel merito, in quanto, come gia sottolineato da questa Corte in altre pronunce, il termine prescrizionale (decennale, collegandosi la pretesa del correntista alla ripetizione di indebito) inizia a decorrere dalla chiusura del rapporto che, pur articolandosi in una pluralità di atti esecutivi, si atteggia come unico e unitario, donde è soltanto con quella chiusura che i crediti ed i debiti assumono definitività: nella specie l’apertura di credito è stata revocata il 21 maggio 1997 ed il conto chiuso successivamente, talché e indiscutibile la tempestività dell’azione.
Inammissibile e, infine, per violazione dell’art. 345 C .P.C. l’eccezione sub 3 per la prima volta sollevata alla banca in questo grado, a parte il rilievo di merito che nella specie non si e in presenza di un pagamento “spontaneo” per avere la banca proceduto di sua iniziativa e senza alcuna autorizzazione del Sanapo all’addebito sul conto di quest’ultimo di interessi in misura ultralegale.
Con il secondo motivo, gli appellanti principali si dolgono del mancato accertamento della illegittimità della clausola contrattuale di determinazione dell’interesse ultralegale mediante riferimento al c.d. usa piazza, previsto dall’art. 1284 C .C.: da qui la nullità ed inefficacia della clausola predetta.
A sua volta il Banco di Napoli, nel sottolineare che il rapporto de quo, sorto nel 1987, e insensibile alla disciplina contenuta nella L. 154/1002 e nel decreto Leg.vo 385/1993, deduce per un verso la validità della clausola in discorso potendo il tasso essere determinato per relationem e per altro verso di avere nel periodo ricompreso tra il 1993 ed il 1996 espressamente indicato i tassi di interesse che avrebbe praticato nel prosieguo del rapporto, accettati e sottoscritti dal Sanapo.
E’ fondata la censura degli appellanti principali, fermo restando che occorrerà verificare se nel periodo indicato dalla Banca vi sia stato un accordo – nelle forme di legge – tra le parti sul tasso di interesse. Com’e noto, sulla validità ed efficacia della clausola relativa all’applicazione convenzionale degli interessi nella misura del tasso ultralegale, determinati secondo il c.d. uso piazza, si e da qualche tempo registrato un ampio dibattito dottrinale e giurisprudenziale.
Attualmente la questione si pone per i contratti conclusi anteriormente all’entrata in vigore della L. 154/1992, che all’art. 4 ha sancito la nullità delle clausole di rinvio agli usi e si incentra nello stabilire se la clausola – presente in tali contratti e di per se sottratta alla nullità comminata dalla novella – presenti o meno i requisiti necessari per l’assolvimento dell’obbligo della forma scritta fissato dall’art. 1284 C .C. appunto per la validità della pattuizione di interessi ultralegali.
In passato la prevalente giurisprudenza di legittimità e di merito, formatasi prima della novella aveva ritenuto sufficiente il suddetto parametro, in quanto per un verso le “condizioni praticate usualmente dalle aziende di credito sulla piazza” erano indicate da un terzo estraneo, non influenzabile dalle parti del contratto, su scala nazionale con accordi interbancari, riscontrabili dalla clientela, mentre per altro verso affermava – in via di principio – che 1’elemento di forma non postulava necessariamente che il documento contrattuale contenesse l’indicazione numerica del tasso convenuto, che poteva, pertanto, essere desunto ed integrato per relationem, attraverso dati estrinseci, ma oggettivamente individuabili ai fini della concreta determinazione del tasso convenzionale: con tale ragionamento, la giurisprudenza in definitiva finisce per ritenere sussistente l’elemento della forma scritta della relativa pattuizione.
A partire dal 1996, tale orientamento è stato rivisitato non tanto con riguardo all’affermazione di principio, rimasta sostanzialmente inalterata, essendosi ribadita la legittimità della determinazione per relationem e la non necessità dell’indicazione puntuale del tasso di interesse, quanto sull’altro tema, in precedenza non trattato funditus, della sufficiente certezza dei criteri cui correlare l’uso piazza.
Sul piano sostanziale il mutato indirizzo, cui questa Corte reputa di prestare totale adesione, trova congrua e ragionevole giustificazione nella esigenza – indispensabile al fine del corretto bilanciamento degli interessi in gioco – di ancorare il giudizio di sufficienza a parametri certi, che consentano di accertare una effettiva volontà delle parti in relazione alla previsione di interessi, cui entrambe abbiano inteso riferirsi nel determinare l’oggetto della pattuizione extralegale degli interessi stessi ai sensi dell’art. 1284 cit..
Tale giudizio di sufficienza con riguardo “alle condizioni usualmente praticate dalle aziende di credito sulla piazza”, postula, per ritenerne la validità, l’esistenza di vincolanti discipline fissate su larga scala nazionale con accordi interbancari e non anche quando tali accordi contengano riferimenti a tipologie di tassi – praticati su scala locale – e non consentano per la genericità delle predette condizioni di stabilire a quale previsione le parti abbiano inteso fare concreto riferimento.
Conseguentemente solo la determinabilità effettiva e l’intrinseca controllabilità dei criteri, oggettivamente indicati e richiamati nella convenzione, conferiscono validità alle “condizioni uso piazza”, requisiti entrambi che vengano meno in difetto di accordi e/o in presenza di tipologie di tassi notevolmente diversi: in quest’ambito va, altresì, considerato che oltre un decennio mancano accordi di cartello e che la indicazione del tasso c.d. prime rate non è vincolante per gli istituti bancari.
Nella specie, il contratto di conto corrente, intercorso tra le parti contiene, all’art. 5, un mero riferimento alle condizioni praticate usualmente alle aziende di credito sulla piazza e, nel contempo, attribuisce alla banca 1 facoltà di modificare “in qualsiasi momento le norme e le condizioni tutte che regolano i rapporti di conto corrente”: la previsione nel combinato disposto delle due clausole non precisa alcun elemento estrinseco d: riferimento che permetta una sicura determinabilità degli interessi né i parametri, cui possa essere ancorata la variabilità nel tempo dei tassi, al di fuori di valutazioni unilaterali e discrezionali della banca stessa, sicché deve escludersi che la convenzione richiami una fonte dotata di sufficiente grado di univocità, che disciplini la prestazione degli interessi.
Conclusivamente, va dichiarata la nullità della clausola in esame, in conformità ad un orientamento che si è andato nel tempo via via consolidando, tanto da costituire ormai jus receptum (v. da ultimo Cass. 13823/2002; Cass. 17338/2002).
Con il terzo motivo gli appellanti principali deducono la nullità, ai sensi del combinato disposto degli artt. 1283 e 1418, 2° c. C.C., della clausola, ricompresa nell’art. 57 citato del contratto di conto corrente, concernente la capitalizzazione trimestrale, che – assumono – si basa un uso negoziale ed interviene anteriormente alla scadenza degli interessi.
A sua volta, il banco di Napoli sostiene la validità della clausola in esame in quanto – a suo avviso – il meccanismo della capitalizzazione trimestrale configura un uso normativo.
E’ fondata la tesi degli appellanti principali.
A norma dell’art. 1283 C .C. gli interessi scaduti possono produrre ulteriori interessi nella sola ipotesi di interessi dovuti da almeno sei mesi, subordinatamente alla proposizione di domanda giudiziale – che ne determina la decorrenza – ovvero al perfezionamento di una convenzione successiva alla scadenza degli interessi stessi.
La stessa disposizione fa comunque salvi gli usi contrari, ma deve trattarsi di veri e propri usi normativi e non di semplici usi negoziali o interpretativi: pacificamente trattasi di disposizione di carattere imperativo e di natura eccezionale, volta a consentire al debitore di conoscere al momento della stipulazione della convenzione anatocistica l’entità del suo debito.
Incontroverso che nella specie, il patto che racchiude la convenzione è ricompreso nel contratto di conto corrente ed è, quindi, anteriore alla scadenza degli interessi, sicché l’art. 1283 cit. non può trovare applicazione nel suo aspetto generale, il problema che si pone consiste in definitiva nello stabilire se in subiecta materia la capitalizzazione trimestrale costituisce un uso normativo o negoziale.
Com’è noto, la giurisprudenza aveva in passato sostenuto la prima tesi, senza tuttavia sviscerare la problematica, ma dando per scontata l’esistenza dell’uso, così come registrato dalle Camere di Commercio, in linea di massima ricorrendo al “notorio” e rilevando, sotto questo profilo, che “nel campo delle relazioni tra istituti di credito e clienti, in tutte le operazione di dare e avere, l’anatocismo trova generale applicazione”, donde la superfluità di accertare un uso specifico: tale orientamento si è trascinato tralaticiamente per decenni.
Anche su questo versante – come per gli interessi ad uso piazza – si è registrato di recente un mutamento di indirizzo, che può dirsi oramai consolidato e che questa Corte interamente condivide; premesso che le c.d. norme bancarie uniformi – predisposte dall’ABI non hanno natura normativa, ma pattizia, trattandosi di proposte di condizioni generali di contratto indirizzate alle Banche associate e che non esistono usi locali – come già sottolineato a proposito degli interessi ad uso piazza- l’indagine, cui s’è accennato, concerne la verifica dell’esistenza di una consuetudine – fonte di diritto – sulla capitalizzazione trimestrale.
Come rilevato in giurisprudenza l’uso normativo postula la contestuale ricorrenza di due requisiti: l’uno di carattere oggettivo, consistente nella uniforme e costante ripetizione di una determinata condotta, tra l’altro di tipo soggettivo, consistente nella consapevolezza di osservare attraverso quella condotta, una norma giuridica, sicché l’uso, come la norma, deve possedere i requisiti della generalità e dell’astrattezza.
In questo quadro, risulta indifferente – al fine di considerare esistente l’uso – che la capitalizzazione trimestrale degli interessi dovuti dal cliente alla banca trovi generale riscontro nei loro rapporti, giacché l’applicazione della capitalizzazione stessa discende dalla relativa previsione, contenuta negli schemi contrattuali predisposti dalle banche, in base alle norme bancarie uniformi, aventi natura pattizia: in sostanza la prassi così instaurata si correla al modo di operare di uno dei soggetti del rapporto – la banca – cui il cliente, nello stipulare un certo tipo di contratto, non può. di fatto sottrarsi, sicché nella stragrande maggioranza dei casi, l’adesione a quella prassi diventa in concreto ineludibile.
Siffatta ricostruzione già porta ad escludere che l’osservanza della prassi sia accompagnata dalla convinzione – che deve ovviamente essere comune ai contraenti di un certo settore – di attuare una regola, volta a disciplinare giuridicamente determinate situazioni: in definitiva, il cliente, nell’ambito dei contratti bancari, stipula sulla base delle condizioni generali, fissate dalla banca, ed il fatto stesso che si avverta la necessità di inserire – come nella specie – la clausola anatocistica tra quelle condizioni vale a dimostrare che l’uso in questione non è normativo, ma negoziale.
L’uso normativo, infatti, operando come la norma, non ha bisogno di una previsione convenzionale (o imposta), sicché l’inserimento della capitalizzazione nel documento contrattuale è funzionale a trovare una base pattizia in assenza di una regola giuridica.
L’esclusione dell’uso normativo comporta la declaratoria di nullità della clausola, in quanto questa imponendo una capitalizzazione trimestrale anteriore alla scadenza degli interessi, viene a porsi in contrasto con l’art. 1283 C .C., senza che a contrario avviso possa condurre la disciplina in tema di conto corrente ordinario.
Con il quarto motivo gli appellanti principali si dolgono dell’omesso accertamento sulla “inammissibilità ed illegittimità dell’applicazione” ed addebito in conto della commissione di massimo scoperto (C.S.M.), non convenuta tra le parti.
Anche tale assunto, è contrastato dal Banco, che sostiene che la C.M .S. è prevista nel primo comma dell’art. 7 della N.U.B., che essa “è frutto consolidato di uso normativo” e che la sua applicazione non fu contestata dal correntista, che, pertanto, ad essa aderì “quanto meno per facta concludentia”.
E’ fondata la censura di Sanapo – Rattazzi.
La commissione in parola non compete alla Banca, non essendo prevista in contratto come è agevole dedurre dal documento 17 marzo 1987, che contempla le clausole regolatrici del conto corrente.
Il dato è, peraltro, pacifico giacché la Banca, come si è visto, si è richiamata alle norme bancarie uniformi, inidonee a disciplinare il rapporto de quo; ad un uso normativo, imprecisato ed insussistente, posto che di esso non è stato evidenziato alcuno dei due requisiti – oggettivo e soggettivo – che devono supportarlo e che viceversa si tratta di mera prassi imposta dalla banca al cliente; ad una adesione tacita del Sanapo, in definitiva priva di prospettazione in fatto, essendo stata desunta dall`incontestato utilizzo dell’apertura di credito, circostanza questa di cui non si riesce a cogliere la correlazione con la asserita “adesione per facta concludentia”.
Con il quinto motivo, gli appellanti principali si dolgono dell’omesso accertamento sulla illegittimità della clausola sull’addebito e sull’accredito delle valute.
La censura è inammissibile.
Ancorché sia condivisibile il principio, già affermato da questa Corte, secondo cui per la decorrenza della valuta occorre fare riferimento alla data in cui il correntista abbia preso o acquistato la disponibilità del denaro, in quanto la banca non è libera di effettuare le relative operazioni senza limiti di tempo, ma con la massima rapidità consentita dagli strumenti tecnici, va tuttavia rilevato, in punto di fatto, che la censura non contiene l’indicazione di una sola operazione di addebito o di accredito non effettuato entro termini ragionevoli.
Al di là, quindi, della esattezza del principio, la pretesa, correlata alle, doglianze, è affatto generica e priva di idonea prospettazione per essere delibata.
Con il quinto motivo, gli appellanti principali ripropongono la domanda risarcitoria – dolendosi dell’omessa pronuncia – per la segnalazione operata dal Banco di Napoli alla centrale rischi presso la Banca d’Italia alla posizione a sofferenza del Sanapo.
La censura è infondata, in difetto di allegazione del tipo di danno, risentito dal Sanapo per effetto della dedotta segnalazione.
Peraltro per effetto dell’accoglimento dei primi quattro motivi di gravame, la causa va istruita come da separata ordinanza.
Il Banco di Napoli, a sua volta, ha proposto appello incidentale sul tasso di interesse – quello legale – riconosciutogli in sentenza con decorrenza 10 luglio 1997 – anziché quello del 13,50% – nonché sulla compensazione delle spese processuali.
L’impugnazione è inammissibile, in quanto proposta tardivamente oltre il termine previsto dal combinato disposto degli artt. 343 e 166 C .P.C.: invero, a fronte della citazione fissata nell’atto di appello per il 12 febbraio 2001, il banco di Napoli si è costituito all’udienza di comparizione tenuta il 13 successivo.
Le spese verranno liquidate con la sentenza definitiva.
P. T. M.
LA CORTE
Non definitivamente pronunciando sugli appelli proposti avverso la sentenza 13 luglio – 18 ottobre 1999 dal Tribunale di Lecce da Alberto Saponaro e Quintina Laura Rattazzi, in via principale, con atto 10 novembre 2000 e dal Banco di Napoli S.p.A., in via incidentale, con comparsa di risposta 13 febbraio 2001, così provvede:
A) in accoglimento dei primi quattro motivi dell’appello principale, previa qualificazione come ricognizione di debito dello, scrittura 10 luglio 1997, dichiara la nullità della clausola n. 57 del contratto di conto corrente stipulato dalle parti in data 17 marzo 1987 nelle parti relative agli interessi “uso piazza” ed alla capitalizzazione trimestrale e non dovuta la commissione di massimo scoperto;
B) dichiara inammissibile il quinto motivo e rigetta il sesto motivo dell’appello principale;
C) dichiara inammissibile l’appello incidentale.
Spese al definitivo.
Lecce, 22 ottobre 2004
IL CONSIGLIERE est. IL PRESIDENTE
Dott. Marcello Dell’Anna Dott. Alfredo Lamorgese
Depositata in cancelleria il 17 dicembre 2004
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TRIBUNALE DI LECCE SEZIONE DISTACCATA DI GALATINA
Il Giudice
Nella causa civile iscritta al n. 495/08 R.G. promossa da
M. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avv. Antonio Tanza ed elettivamente domiciliato nello studio di questi in Galatina al Corso Porta Luce n. 20
Contro
Banca Monte dei Paschi di Siena S.p.a., rappresentato e difeso dall’Avv. Paolo Federico FEDELE ed elettivamente domiciliato nello studio di questi in Lecce alla Via Imbriani n. 30
Visto il ricorso ex art. 700 cpc – in corso di causa – depositato in data 17 dicembre 2012 dalla M. srl, ritenuto:
In fatto
Il giudizio n. 495 R.G. del 2008 è stato introdotto dalla M. Srl al fine di ottenere il ricalcolo dell’esatto dare-avere relativo ad un rapporto di apercredito utilizzata con scoperto su un c/c principale, con secondari confluenti, intrattenuto dall’attrice con la banca. Nel corso del giudizio è stata espletata (depositata il 10 novembre 2010) CTU econometrica che ha evidenziato, alla data del 1° marzo 2008, un saldo “ricalcolato” di euro 38.383,46 (senza capitalizzazione: cfr. SU 24418/10), nettamente inferiore a quello riportato nell’e/c bancario e pari ad euro 147.386,23. Il CTU, chiamato a chiarimenti, in data 13 febbraio 2012 depositava un ulteriore schema il quale evidenziava, anche tenuto conto del quesito formulato dal CTP della banca, che il presunto credito bancario ammontava ad euro 49.510,72; mentre applicando un ulteriore criterio suggerito da parte attrice il credito veniva ridotto ad euro 32.742,66.
Con ricorso ex art. 700 cpc depositato, in data 17 dicembre 2012, in corso di causa, la M. Srl deduceva che, nel corso del giudizio ordinario, la Banca Monte dei Paschi di Siena S.p.A., a fronte di un “accordato” di euro 240.000 abbia segnalato un “rischio di revoca” ma “utilizzato” per euro 474.418, così come risulta dalla documentazione prodotta a sostegno del ricorso.
In diritto
La presentazione del ricorso in corso di causa determina una situazione di non sussidiarietà nella gestione della fattispecie con differenti possibili strumenti processuali, poiché diversamente decidendo si appesantirebbe oltremodo la parte attrice con un aggravamento dell’onere della prova sia sull’esistenza del fumus boni juris che del periculum in mora, essendo evidente che un ricorso ex novo (promosso anche con diverso procedimento) non godrebbe appieno (in termini temporali, ma anche di cognizione) delle difese e del materiale raccolto nel procedimento ordinario naturale del giudizio in cui viene promosso (specialmente se dura da vari anni).
Sul fumus boni juris
L’esigenza di celerità propria della cognizione cautelare può essere praticamente assicurata sia sulle cadenze ordinatorie del processo, autorizzando p. es. termini di comparizione brevissimi nonché l’omissione di ogni formalità non essenziale al contraddittorio (si veda l’art. 669 sexies cpc); dall’altro si deve legittimare il giudice a decidere anche sulla base di materiale probatorio incompleto, qualora il tempo necessario per il completamento dell’istruttoria si appalesi troppo lungo in relazione alle concrete esigenze di velocità di tutela. Il fumus boni iuris o “parvenza di buon diritto è la prima condizione che in limine litis il giudice è chiamato ad accertare, sulla base, di una cognizione strutturalmente semplificata rispetto al giudizio di merito, per poter così concedere alla parte istante un provvedimento d’urgenza. Le difese espletate dalle parti e la conferma di alcuni pacifici principi anche nella recente giurisprudenza (cfr. SU n. 24418/2010), nonché gli esiti della CTU sulla base dei quesiti proposti, muniscono il ricorso sia della sussistenza della situazione giuridica soggettiva posta a fondamento della domanda cautelare, che del giudizio di probabilità e di verosimiglianza della bontà delle domande della ricorrente: i risultati della CTU alla stregua dei quesiti proposti evidenziano, quanto meno, una forte discrasia relativa al dato numerico risultante dal saldo bancario, rispetto a quello ricalcolato.
Sul periculum in mora
L’esistenza di un certo comportamento illecito (ad es. capitalizzazione composta ed altre competenze illegittime) della convenuta è stato dimostrato essere ancora in corso ed è produttivo di un pregiudizio imminente e irreparabile, potenzialmente in continuo aumento, per parte ricorrente, determinando una situazione di non sussidiarietà della gestione della presente fattispecie con differenti strumenti. E’ quindi provata, anche quantitativamente a mezzo di CTU, l’attualità del pericolo per la ricorrente di essere esposta a subire danni, sempre maggiori, sino alla definizione del giudizio di merito. L’irreparabilità del pregiudizio che giustifica l’accoglimento del ricorso ex art. 700 c.p.c., va intesa non solo nel senso di irreversibilità del danno alla situazione soggettiva di cui si invoca la cautela ma anche come insuscettibilità di tutela piena ed effettiva della situazione medesima all’esito del giudizio di merito: trattasi, in altri termini, di fattispecie che ricorre ove l’istante abbia a disposizione strumenti risarcitori per la riparazione del pregiudizio sofferto ma gli stessi non appaiano in grado di assicurare una tutela satisfattoria completa, con conseguente determinarsi di uno “scarto intollerabile” tra danno subito e danno risarcito (cfr. Tribunale di Catanzaro, sezione seconda, ordinanza del 10.2.2012 – Dott. LANIA), come accade per i danni derivanti da errata segnalazione alla centrale dei rischi, dove il risarcimento avviene pressoché equitativamente, senza riuscire a cogliere la fatalità degli stessi. Una perdurante errata e considerevole segnalazione di “sconfinamento”, in quanto idonea a provocare un abbassamento del rating del segnalato con un ingiustificato innalzamento dei tassi e competenze, comporta la “saturazione delle possibilità di credito” limitando apprezzabilmente le ulteriori possibilità di ricorrere al credito ed è idonea a provocare la risoluzione dei rapporti di credito in essere.
Sussistono, altresì i presupposti per provvedere inaudita altera parte ex art. 669 sexies cpc potendo, in ipotesi, la previa convocazione della parte resistente pregiudicare l’attuazione del provvedimento stante i tempi brevissimi relativi alla comunicazione della Banca alla centrale dei rischi relativa al mese di novembre, nonchè la successiva del mese di dicembre 2012.
P.Q.M.
Visto l’art. 700 c.p.c.
Ordina
alla BANCA MONTE dei PASCHI di SIENA S.p.A.: 1. di rettificare immediatamente, con la notifica del presente atto, la segnalazione effettuata e le successive da effettuarsi alla Centrale Rischi presso la Banca d’Italia, segnalando una somma debitoria (voce “utilizzato”), non superiore a € 49.510,72 (dato evidenziato in CTU, seppur nell’ipotesi più sfavorevole alla ricorrente), compresa nei limiti voce “accordato operativo” (pari ad € 240.000,00);
2. di redigere, sulla scorta dei quesiti e metodologie indicate in CTU, con esclusione delle modalità relative a capitalizzazioni in favore della banca, i nuovi saldi ricalcolati del c/c, depositandoli nella prossima udienza di comparizione;
fissa
per la comparizione delle parti avanti a se per la revoca, modifica o conferma del decreto ai sensi dell’art. 669 sexies cpc l’udienza del 03 gennaio 2013, nei 15 giorni dall’emissione del presente procedimento, assegnando alla ricorrente termine fino a giorni 8 dall’emissione del presente rimedio, per la notifica alla controparte del ricorso e del presente provvedimento, riservando ogni ulteriore pronuncia (anche relativamente alle spese della presente fase) all’esito della fissata udienza. Si comunichi, Galatina, 20 dicembre 2012 Il Giudice
Alessandro MAGGIORE
All’udienza del 3 gennaio 2012 la banca si costituiva ed il Tribunale si riservava nuovamente, adottando il seguente provvedimento:
TRIBUNALE DI LECCE SEZIONE DISTACCATA DI GALATINA
Il Giudice
Nella causa civile iscritta al n. 495/08 R.G. promossa da
M. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avv. Antonio Tanza ed elettivamente domiciliato nello studio di questi in Galatina al Corso Porta Luce n. 20
Contro
Banca Monte dei Paschi di Siena S.p.a., rappresentato e difeso dall’Avv. Paolo Federico Fedele ed elettivamente domiciliato nello studio di questi in Lecce alla Via Imbriani n. 30 Con ricorso ex art. 700 c.p.c. depositato in data 17 dicembre 2012, la M. s.r.l., chiedeva a questa Autorità Giudicante, verificata la sussistenza degli estremi di cui all’art. 700 c.p.c., con decreto ed inaudita altera parte, o altro provvedimento, di voler ordinare alla BANCA MONTE dei PASCHI di SIENA S.p.A.: 1) di rettificare immediatamente il saldo derivante dal c/c bancario n. 631003.80 (già n. 5.72 ed ancor prima 9013.56) e collegati sulla base della CTU in atti; 2) operando l’immediata rettifica della segnalazione effettuata alla Centrale Rischi presso la Banca d’Italia e le future da effettuarsi, con l’evidenza di un utilizzo pari ad euro 32.742,66 (unico dato allo stato attendibile), non attuando illegittime variazioni dello status dell’azienda, ciò al fine di evitare il pacifico e certo ingiusto danno al patrimonio della M. Srl nelle more della conclusione dell’azione di merito, diretta ad accertare l’esatto dare-avere tra le parti in causa. Con decreto emesso in data 20 dicembre 2012 questo Giudice ravvisando, alla luce di una sommaria valutazione dei fatti e degli elementi di diritto, l’esistenza del fumus boni iuris e del periculum in mora, nonché la sussistenza dei presupposti per provvedere inaudita altera parte ex art. 669 sexies c.p.c., attesi i tempi brevissimi relativi alla comunicazione della Banca alla centrale dei rischi relativa al mese di novembre, nonché la successiva del mese di dicembre 2012, disponeva: – a carico della banca Monte dei Paschi di Siena S.p.a. l’immediata rettifica, con la notifica del detto decreto, della segnalazione effettuata e le successive da effettuarsi alla Centrale dei Rischi presso la Banca d’Italia, segnalando una somma debitoria (voce “utilizzo”), non superiore a Euro 49.510,72 (dato evidenziato in CTU, seppur nell’ipotesi più sfavore alla ricorrente), compresa nei limiti voce “accordato operativo” (pari ad Euro 240.000,00); – di redigere, sulla scorta dei quesiti e metodologie indicate in CTU, con esclusione delle modalità relative a capitalizzazioni in favore della banca, i nuovi saldi ricalcolati del c/c, depositandoli nella prossima udienza di comparizione. Fissava, altresì, la comparizione delle parti avanti a sé per la revoca, modifica o conferma del decreto ai sensi dell’art. 669 sexies c.p.c. all’udienza del 3 gennaio 2013, assegnando alla ricorrente termine perentorio fino a 8 giorni dall’emissione del decreto, per la notifica al resistente del detto decreto e del ricorso cautelare, riservando ogni ulteriore pronuncia (anche relativamente alle spese della presente fase) all’esito della fissata udienza. All’udienza citata compariva in giudizio il ricorrente che depositava l’originale della copia autentica del ricorso cautelare con pedissequo provvedimento, regolarmente notificato, nonché computo dei saldi ricalcolati al 31 dicembre 2012. Compariva, altresì, parte resistente la quale depositava memoria avverso ricorso ex art. 700 c.p.c. in corso di causa con la quale contestava sotto vari profili la pretesa della ricorrente e chiedeva la declaratoria della inammissibilità ed improcedibilità del ricorso, o il suo rigetto per carenza dei requisiti di legge in quanto, in particolare: 1) in via preliminare ed assorbente, nel presente giudizio parte ricorrente non ha promosso alcuna azione risarcitoria in danno della Banca in relazione a quella che ritiene una illegittima segnalazione alla Centrale rischi; 2) nel merito, per mancata prova della sussistenza del periculum in mora e del fumus boni iuris; comunque, per mancanza del periculum in mora. Concludeva pertanto per la revoca del provvedimento emesso il 20.12.2012 inaudita altera parte; la dichiarazione dell’avverso ricorso inammissibile, irricevibile ovvero improcedibile con condanna di controparte ex art. 96 c.p.c., nonché al pagamento delle spese della presente fase cautelare. Parte resistente con la detta memoria, coglieva, altresì l’occasione per domandare a questo Giudice l’emissione di ordinanza ex art. 186 quater c.p.c. per l’importo di Euro 49.510,72 per come quantificato dalla c.t.u. per dott. B., oltre interessi e rivalutazione monetaria decorrenti dal 16.12.2008 data del deposito della comparsa di costituzione con domanda riconvenzionale della banca nel presente giudizio. A riguardo, parte resistente deduceva che ricorrono tutti gli elementi della detta norma essendosi chiusa l’istruttoria ed essendo stata fissata per il 12.02.2013 l’udienza per la precisazione delle conclusioni. Parte ricorrente insisteva per la conferma del provvedimento de quo e per il rigetto dell’avversa istanza di ordinanza ex art. 186 quater c.p.c. All’esito dell’udienza questo Giudice assumeva la causa in riserva. Tanto premesso, si osserva quanto segue: – Preliminarmente deve essere rigettata l’eccezione d’inammissibilità, irricevibilità ed improcedibilità della tutela del ricorso per non aver parte ricorrente promosso nel presente giudizio alcuna azione risarcitoria in danno della Banca in relazione a quella che ritiene una illegittima segnalazione alla Centrale rischi. In verità, nel caso in esame è di tutta evidenza che la necessità cautelare non è mai stata legata ad un’azione risarcitoria, bensì alla corretta comunicazione alla Centrale dei Rischi presso la Banca d’Italia dell’esatto dare-avere. Il giudizio n. 495 R.G. del 2008 è stato introdotto dalla M. Srl al fine di ottenere il ricalcolo dell’esatto dare-avere relativo ad un rapporto di apercredito utilizzata con scoperto su un c/c principale, con secondari confluenti, intrattenuto dall’attrice con la banca e detto ricalcolo costituisce elemento fondamentale per la comunicazione alla Centrale dei Rischi presso la Banca d’Italia del saldo. Detta comunicazione, inoltre, è dovuta per legge in quanto si tratta di un servizio gestito dalla Banca d’Italia e disciplinato dalla delibera del Comitato Interministeriale per il Credito e il Risparmio (CICR) del 29 marzo 1994 e dalle circolari emanate dalla Banca d’Italia fra le quali vi è la circolare n, 139 dell’11 febbraio 2004 ( cfr. D.Lgs. 1 settembre 1993, n. 385, art. 51 e art. 53, comma 1, lett. b), art. 67, comma 1, lett. b), artt. 106 e 107 – come integrati: a) dalla Delib. Comitato interministeriale del credito e del risparmio (CICR) 29 marzo 1994; b) dalla Circolare Banca d’Italia n. dell’11 febbraio 1991 in tema di istruzioni per gli intermediari creditizi nel testo risultante dall’8^ aggiornamento del 14 novembre 2001 e dal provvedimento della Banca d’Italia del 5 agosto 1995 denominato “Obbligo di partecipazione degli intermediari finanziari al servizio di centralizzazione dei rischi gestito dalla Banca d’Italia ed infine dalle “Modifiche alla Circolare 139/91. Centrale dei rischi. Istruzioni per gli intermediari Creditizi” della stessa Banca d’Italia del novembre 2009). Il punto 6.5 del foglio informativo così dispone: “Se ci sono errori nelle segnalazioni trasmesse, gli intermediari devono inviare subito le relative rettifiche. La C.R. acquisisce le rettifiche e le comunica immediatamente a tutti gli intermediari che avevano ricevuto l’informazione errata”. In sostanza, dunque, nel caso in esame la CTU è servita a delineare l’oggetto della domanda, ovvero l’esatto saldo e, dunque, anche il dato che la banca avrebbe dovuto comunicare alla C.R.- – Del pari devono essere rigettate le eccezioni di merito sollevate da parte resistente volte a sostenere la revoca del provvedimento cautelare ex art. 700 c.p.c. in corso di causa per non aver parte ricorrente provato la sussistenza dei presupposti del periculum in mora e del fumus boni iuris e comunque per insussistenza degli stessi. Infatti, il risultato della CTU che si discosta fortemente dal saldo dell’e/c bancario, già di per sé, prova il fumus boni iuris, quanto al periculum in mora è oramai acquisito nella giurisprudenza di merito ma anche in quella di legittimità (Cassazione civile sez. I, 24 maggio 2010, n. 12626 Banca Carime c/ I.MAR.FA. SRL) che l’errata segnalazione alla C.R. provoca un danno “in re ipsa” e la misura cautelare serve proprio ad evitare/limitare quel danno. Segue l’accoglimento del ricorso e la conferma del predetto provvedimento. La pronuncia delle spese deve essere rimessa al giudizio di merito trattandosi di provvedimento di accoglimento di misura cautelare.
– Quanto all’istanza di emissione di ordinanza ex art. 186 quater c.p.c. per l’importo di Euro 49.510,72 per come quantificato dalla c.t.u. per dott. Bellantone, oltre interessi e rivalutazione monetaria decorrenti dal 16.12.2008, la stessa non può trovare accoglimento non ricorrendone i presupposti, anche perché il saldo indicato dalla difesa della banca non è l’unico risultato rilevato dal CTU, anzi è quello più favorevole alla banca. Inoltre non risulta depositato agli atti il computo richiesto nel provvedimento cautelare.
P.Q.M.
Visti gli artt. 700 c.p.c. e 186-quater c.p.c. Ogni diversa istanza disattesa 1) accoglie il ricorso proposto da M. s.r.l. nei confronti della banca Monte dei Paschi di Siena S.p.a. e per l’effetto, a conferma del provvedimento emesso inaudita altera parte in data 20 dicembre 2012, condanna il resistente all’immediata rettifica della segnalazione effettuata e le successive da effettuarsi alla Centrale dei Rischi presso la Banca d’Italia, segnalando una somma debitoria (voce “utilizzo”), non superiore a Euro 49.510,72 (dato evidenziato in CTU, seppur nell’ipotesi più sfavore alla ricorrente), compresa nei limiti voce “accordato operativo” (pari ad Euro 240.000,00); 2) dichiara chiusa la fase d’urgenza; 3) Spese all’esito del giudizio di merito Si comunichi
Così deciso in Galatina, l’8 gennaio 2013
Il Giudice
Alessandro MAGGIORE
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale civile di Lecce – Seconda Sezione civile – nella persona del giudice, dott. Paolo Moroni, ha pronunciato all’esito dell’udienza dell’8 giugno 2012 la seguente
SENTENZA n. 328 del 25 gennaio 2013
nel procedimento civile iscritto al n. 2470 del ruolo generale dell’anno 1998 avente ad oggetto: ripetizione di indebito; promosso da
O. Dr. C. R. sas di R. R. & C., già O. Dr. C. R. srl, in persona del legale rappresentante pro-tempore, nonché R. R. e R. A., assis.ti e difesi dall’avv. Antonio Tanza, giusta procura a margine dell’atto di citazione;
-attore
contro
Banca Carime spa, in persona del legale rappresentante pro-tempore, assis.ta e difesa dall’avv. Giorgio Costantino, giusta procura a margine dell’originale della comparsa di costituzione;
-convenuta
nonché contro
IntesaBCl Gestione Crediti spa, quale successore a titolo particolare di Banca Carime spa, in persona del legale rappr.te pro-tempore, assis.ta e difesa dall’avv. Giorgio Costantino, giusta procura in calce all’originale della comparsa di intervento depositata il 27.5.2002;
-interveniente volontario
In primis vanno rigettate tutte le eccezioni preliminari di parte convenuta: quanto a quella di incompetenza, non avendo le parti agli artt. 20 dei rispettivi contratti pattuito la deroga con carattere di esclusività, come richiesto dall’art. 29, 2° co., cod. proc. civ. In merito alla disponibilità manifestata dal legale rappresentante della società attrice con missiva del 23.1.1995 ad estinguere, sia pure parzialmente, il debito risultante all’epoca sul conto corrente alla stessa società intestato, non potendo in alcun modo rivestire tale dichiarazione i caratteri di una confessione stragiudiziale, avendo già in quella lettera, anzi, la parte interessata contestato le condizioni pattuite e quelle applicate relative al conto, tanto che lo stesso scritto risultava essere di accompagnamento al versamento a saldo di un importo minore da quello risultante dalle risultanze contabili del rapporto. Peraltro, la Corte di Cassazione ha precisato che “La ricognizione di debito titolata, che comporta la presunzione fino a prova contraria del rapporto fondamentale, si differenzia dalla confessione, che ha per oggetto l’ammissione di fatti sfavorevoli al dichiarante e favorevoli all’altra parte. Ne consegue che la promessa di pagamento, ancorché titolata, non ha natura confessoria, sicché il prominente può dimostrare l’inesistenza della causa e la nullità della promessa…” [Cass. Sez. 5.7.2004 n. 12285]. Nella parte motivazionale della richiamata pronuncia la stessa Corte ha avuto modo di precisare che la ricognizione di debito ha per oggetto rapporti giuridici, oppure opinioni o valutazioni e comporta la presunzione fino a prova contraria del rapporto fondamentale, mentre la confessione riguarda fatti sfavorevoli al dichiarante e favorevoli all’altra parte. Ne consegue che la promessa di pagamento, anche quando sia titolata, perché contenente l’indicazione della “causa debendi”, non assume per questo natura confessoria, “sicché, anche in tale ipotesi vige la regola – stabilita dall’ultima parte dell’art. 1988 c. c. – secondo cui il promittente può dimostrare l’inesistenza della causa e, perciò, la nullità della promessa; mentre le particolari limitazioni di prova poste dall’art. 2732 c.c. (impossibilità di revocare la confessione non determinata da errore di fatto o da violenza) per la confessione, potranno trovare applicazione quando, nel contesto dello stesso documento, accanto alla volontà diretta alla promessa, coesista la dichiarazione di fatti storici dai quali scaturisce il rapporto fondamentale” [cfr. sent. cit. in motivazione, ma anche Cass. Sez. III, 15.5.2009 n. 11332]. Ciò premesso, nella lettera in questione la società attrice non aveva fatto altro che mostrare la sua disponibilità a ripianare la passività di conto senza alcun riferimento al rapporto giuridico fondamentale, mancando, dunque, in quelle dichiarazioni gli estremi della confessione tanto dal punto di vista oggettivo che con riguardo all’animus, non potendo comunque la predette dichiarazioni incidere sulla qualificazione giuridica del fatto o del rapporto ovvero sull’invalidità totale o parziale dello stesso, come nel caso di specie, avendo parte attrice fatto valere la nullità di clausole contrattuali da cui è scaturito il debito poi dalla stessa riconosciuto. […] Ciò premesso, quanto alla determinazione del tasso di interesse, deve osservarsi come “In tema di contratti bancari, la clausola, stipulata anteriormente all’entrata in vigore della legge sulla trasparenza bancaria 17 febbraio 1992, n. 154, la quale, per la pattuizione di interessi dovuti dalla clientela in misura superiore a quella legale, si limiti a fare riferimento alle condizioni praticate usualmente dalle aziende di credito sulla piazza, è in ogni caso divenuta inoperante a partire dal 9 luglio 1992 – data di acquisto dell’efficacia delle disposizioni della citata legge qui rilevanti, ai sensi dell’art. 11 della medesima -, atteso che la previsione imperativa posta dall’art. 4 della legge (poi trasfuso nell’art. 117 del testo unico 1 settembre 1993, n. 385), là dove sancisce la nullità delle clausole di rinvio agli usi per la determinazione dei tassi di interesse, se non incide, in base ai principi regolanti la successione delle leggi nel tempo, sulla validità delle clausole contrattuali inserite in contratti già conclusi, impedisce tuttavia che esse possano produrre per l’avvenire ulteriori effetti nei rapporti ancora in corso. Ad un tal riguardo, per rapporti in corso devono intendersi i rapporti, anteriormente costituiti, non ancora esauriti, alla data di inizio dell’operatività della norma sopravvenuta, per non avere il debitore, indipendentemente dalla pregressa “chiusura” del conto corrente bancario, adempiuto alla propria obbligazione, atteso che la già riferita innovazione impinge sulle stesse caratteristiche del sinallagma contrattuale, generatore di conseguenze obbligatorie protraentisi nel tempo” [Cass. Sez. I, 18.9.2003 n. 13739].
E’ così evidente che gli interessi da applicarsi al caso di specie siano quelli legali, con riferimento a quelli previsti dal codice civile fino all’entrata in vigore dell’art. 117 del T.U. in materia bancaria, che deve invece trovare applicazione per il periodo successivo.
Con riferimento all’anatocismo, risulta ormai pacifico il principio di diritto secondo il quale “la clausola di un contratto bancario che preveda la capitalizzazione trimestrale degli interessi dovuti dal cliente deve reputarsi nulla in quanto basata su un uso negoziale (ex art. 1340 c.c.) e non su un uso normativo (ex artt. 1 e 8 delle preleggi al c.c.) come esige l’art. 1283 c.c., laddove prevede che l’anatocismo non possa ammettersi (salve le ipotesi della domanda giudiziale e della convenzione successiva alla scadenza degli interessi) in mancanza di usi contrari”. L’inserimento della clausola nel contratto, in conformità alle cosiddette norme bancarie uniformi predisposte dall’ABI, non esclude la suddetta nullità, poiché a tali norme deve riconoscersi soltanto il carattere di usi negoziali, non quello di usi normativi (Cass. sent. 12507 dell’11.11.99). Tale orientamento, dopo talune oscillazioni ed un intervento legislativo volto a garantire la perdurante validità di tali previsioni pattizie convenute nel passato (introduzione di un nuovo 3° comma all’art. 120 T.U.B.), novella cassata dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 425/2000, ha trovato definitivo suffragio con la pronuncia delle Sezioni Unite della Suprema Corte n. 21095 del 7 ottobre-4 novembre 2004, con la quale è stata definitivamente esclusa la possibilità di formazione di un uso negoziale che possa derogare al divieto di anatocismo.
L’esclusione dell’uso normativo comporta la declaratoria di nullità della clausola, in quanto questa, imponendo una capitalizzazione trimestrale anteriore alla scadenza degli interessi, si pone in contrasto con la norma inderogabile dell’art. 1283 c.c.
Una volta ritenuta la nullità della clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi, reputa questo giudice di dover aderire – condividendosene appieno le argomentazioni – a quell’indirizzo giurisprudenziale secondo il quale non è possibile sostituire l’anatocismo trimestrale con quello annuale, posto che, come correttamente osservato, “la contrarietà a norma imperativa di cui all’art. 1283 c.c. involge l’intero contenuto della clausola (e non solo quindi la parte di essa relativa alla periodicità della capitalizzazione); è la pattuizione in contratto dell’anatocismo ad essere nulla, onde secondo i principi generali trattasi di contratto nullo ab origine privo di qualsiasi pattuizione di capitalizzazione, trimestrale come annuale come di diversa periodicità. Non vi è possibilità di sostituzione legale o di inserzione automatica di clausole prevedenti capitalizzazioni di diversa periodicità, in quanto l’anatocismo è consentito dal sistema soltanto in presenza di determinate condizioni, in mancanza delle quali esso rimane giuridicamente non pattuito tra le parti” (Trib. Pescara 3.6.2005, giudice dr. Falco; Trib. Mantova 21.1.2005, giudice dr. Bernardi).
Tale orientamento ha, peraltro, trovato di recente l’avallo delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, le quali hanno ritenuto che la previsione della capitalizzazione annuale per gli interessi creditori non può essere estesa agli interessi debitori, una volta accertata la nullità di quella – convenuta dalle parti per questi ultimi – di capitalizzazione trimestrale; tanto alla luce dei criteri di ermeneutica contrattuale e, in particolare, di quello di interpretazione sistematica delle clausole; non emerge da alcun elemento, infatti, che le parti – quando hanno convenuto la capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi (nel caso di specie, nell’art. 7 c. 2 di entrambi i contratti) – abbiano anche previsto la sua sostituzione con la capitalizzazione annuale (di cui all’art. 7, quanto agli interessi a credito), nell’ipotesi di nullità della stessa; pertanto, “dichiarata la nullità della previsione negoziale di capitalizzazione trimestrale, per contrasto con il divieto di anatocismo stabilito dall’art. 1283 cod. civ. (il quale osterebbe anche ad un’eventuale previsione negoziale di capitalizzazione annuale), gli interessi a debito del correntista devono essere calcolati senza operare alcuna capitalizzazione” [cfr. sent. 2.12.2010 n. 24418].
[…] Priva di pregio appare l’eccezione dell’Istituto di credito secondo cui la domanda di parte attrice non potrebbe trovare accoglimento perché nessuna contestazione era mai stata mossa avverso gli estratti conto trasmessi. È, infatti, pacifico in giurisprudenza che l’incontestabilità delle risultanze del conto ex art. 1832 c.c. si riferisce agli accrediti ed agli addebiti considerati nella loro realtà effettuale e non riguarda, invece, i debiti fondati su un negozio nullo, annullabile o inefficace [tra le tante, Cass., 26.07.200.1, n. 10186; C. Appello Catania, sez. I, 19.05.2008, n. 671]. Nel caso di specie, le clausole di pattuizione degli interessi anatocistici mediante rinvio ad usi piazza sono nulle, per quanto sopra detto, e perciò possono essere contestate anche al di là dei limiti di tempo di cui all’art. 1832
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REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO di PESCARA
SEZIONE CIVILE
Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Carmine Di Fulvio, ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa civile di I Grado iscritta al n. 6209/2007 r.g. e vertente TRA
M. N., quale procuratore di M. C., rappresentato e difeso dagli avv.ti ANTONIO TANZA e MARIATERESA DE CARLO, giusta procura in atti,
ATTORE
E
INTESA SANPAOLO SPA (P.I. 10810700152), corrente in Torino, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall’avv. VINCENZO DI BALDASSARRE, giusta procura in atti,
CONVENUTA
CONCLUSIONI Come in atti. Concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione Con atto di citazione notificato in data 17 dicembre 2007 M. N., quale procuratore generale e speciale di M. C., in virtù di procura notarile del 21.12.2003 rep. n.60464, raccolta n.17042 a rogito del dr Egicio Marra, ha convenuto in giudizio innanzi a questo Tribunale la Intesa Sanpaolo s.p.a. per l’udienza del 26.3.2008 al fine di sentir accogliere le seguenti conclusioni: “Voglia l’On.le Tribunale adito: 1) ACCERTARE E DICHIARARE la nullità ed inefficacia, per violazione degli artt. 1284, 1346, 2697 e 1418 cc, nonché dell’art. 8 della legge n. 64 del 1986, dell’art. 7, comma 3, delle condizioni generali del contratto apertura di credito e di conto corrente n. 1935370/10/27 oltre i secondari confluenti, intestato a C. M. ed acceso presso la ex Banca Commerciale Italiana, oggi INTESA SANPAOLO SPA, oggetto del rapporto tra le parti del presente giudizio, relativa alla determinazione degli interessi debitori con riferimento alle condizioni usualmente praticate dalle Aziende di credito sulla piazza e, per l’effetto, DICHIARARE la inefficacia degli addebiti in c/c per interessi ultralegali applicati nel corso dell’intero rapporto e l’applicazione in via dispositiva, ai sensi dell’art. 1284, comma 3, cc, degli interessi al saggio legale tempo per tempo vigente; 2) ACCERTARE e DICHIARARE la nullità ed inefficacia, per violazione degli artt. 1283, 2697 e 1418 cc, nonché dell’art. 7, commi 2 e 3, delle condizioni generali del contratto apertura di credito e di conto corrente n. 1935370/10/27 oltre i secondari confluenti, intestato a C. M. ed acceso presso la ex Banca Commerciale Italiana, oggi INTESO SANPAOLO SPA, oggetto del rapporto tra le parti del presente giudizio, relativa alla capitalizzazione trimestrale di interessi, competenze, spese ed oneri applicata nel corso dell’intero rapporto e, per l’effetto, DICHIARARE la inefficacia di ogni e qualsivoglia capitalizzazione di interessi al rapporto in esame; 3) ACCERTARE e DICHIARARE la nullità ed inefficacia, per violazione degli artt. 1325 e 1418 cc, degli addebiti in c/c per non convenute commissioni sul massimo scoperto trimestrale; comunque prive di causa negoziale; 4) ACCERTARE e DICHIARARE la nullità ed inefficacia, per violazione degli artt. 1284, 1346, 2697 e 1418 cc, degli addebiti di interessi ultralegali applicati nel corso dell’intero rapporto sulla differenza in giorni – banca tra la data di effettuazione delle singole operazioni e la data della rispettiva valuta; nonché per mancanza di valida giustificazione causale; 5) ACCERTARE e DICHIARARE, per l’effetto, l’esatto dare-avere tra le parti del rapporto sulla base della riclassificazione contabile del medesimo in regime di saggio legale di interesse, senza capitalizzazioni, con eliminazione di non convenute commissioni di massimo scoperto e di interessi computati alla differenza in giorni – banca tra la data di effettuazione delle singole operazioni e la data della rispettiva valuta; 6) DETERMINARE il Tasso Effettivo Globale (T.E.G.) nell’indicato rapporto bancario; 7) ACCERTARE e DICHIARARE, previo accertamento del Tasso Effettivo Globale, la nullità e l’inefficacia di ogni e qualsivoglia pretesa della convenuta banca per interessi, spese, commissioni, e competenze per contrarietà al disposto di cui alla legge 7 marzo 1996 n. 108, perché eccedente il c.d. tasso soglia nel periodo trimestrale di riferimento, con l’effetto, ai sensi degli artt. 1339 e 1419 cc, della applicazione del tasso legale soma capitalizzazione; 8) CONDANNARE la convenuta banca alla restituzione delle somme illegittimamente addebitate e/o riscosse, oltre interessi legali creditori e rivalutazione monetaria, in favore dell’odierna istante; 9) CONDANNARE in ogni caso la parte soccombente al pagamento delle spese e competenze di giudizio con distrazione in favore dei sottoscritti procuratori antistatari”. La convenuta si è costituita in giudizio con comparsa di costituzione e risposta depositata in Cancelleria il 25.3.2008 concludendo nei seguenti termini: “1) in via preliminare accertare e dichiarare prescritto, almeno parzialmente, l’eventuale diritto della attore ai sensi per gli effetti dell’art. 2947, 2948 n.4 e 2935 c.c.; 2) in ogni caso, rigettare, siccome inammissibili, improcedibili ed infondate, in fatto ed in diritto tutte le richieste avanzate dall’attore sig. C. M. con la citazione notificata in data 17 dicembre 2007 per tutto quanto esposto nel presente atto; 3) in via subordinata, nella denegata ipotesi in cui l’On. le Giudice adito dovesse ritenere illegittimi gli interessi applicati dalla Banca convenuta al conto corrente n. 16673/1, circoscrivere il ricalcolo degli interessi al periodo che va dall’apertura del conto corrente in oggetto al 1 luglio 2000; 4) con vittoria di spese e competenze di lite’. A sostegno della domanda l’attore ha dedotto che: 1) Il contratto base originario che regolava il rapporto di apertura di credito con affidamento mediante scoperto sul conto corrente n. 1935370/10/27, aperto in data anteriore al 30.9.1966 e presentante alla data del 11.11.2002 un saldo a chiusura pari a 0, non statuiva un tasso ultralegale determinato ma faceva riferimento alle condizioni praticate usualmente dalle aziende di credito sulla piazza; tale clausola era nulla ed inefficace, per violazione degli artt. 1284, 1346, 2697 e 1418 cc, nonché dell’art. 8 della legge n. 64 del 1986, e gli interessi applicati dalla banca dovevano essere sostituiti da quelli legali ex art.1284 ultimo comma c.c.; 2) Il medesimo contratto prevedeva in favore della banca la capitalizzazione trimestrale degli interessi, di commissioni e spese, con clausola da ritenersi nulla ed inefficace, per violazione degli artt. 1283, 2697 e 1418 cc; le capitalizzazioni applicate dovevano, quindi, essere eliminate; 3) Nel corso del rapporto erano, poi, state applicate commissioni di massimo scoperto, anticipazioni e posticipazioni dei giorni valuta e spese non pattuite, che, perciò, andavano escluse; 4) Nel ricalcolo dei rapporti di dare-avere tra le parti in base ai suddetti criteri doveva valutarsi anche l’eventuale superamento dei tassi soglia usurari e la banca doveva essere condannata a restituire all’attore le somme indebitamente versate dal correntista. La convenuta ha anzitutto eccepito la prescrizione del diritto della controparte alla ripetizione dei pagamenti indebiti, ha sostenuto la legittimità della clausola di determinazione degli interessi mediante rinvio all’uso su piazza, come pattuita nel contratto originario e nel corso del rapporto, nonché della clausola di pattuizione della capitalizzazione trimestrale degli interessi, quantomeno dal 1.7.2000 in poi, e l’esistenza di legittimi accordi su commissioni di massimo scoperto, giorni valuta e spese. Si deve anzitutto rilevare che, a seguito di smarrimento, non imputabile alla parte attrice. di tre faldoni contenenti la documentazione prodotta da detta parte nel corso del giudizio, la causa, dopo essere stata trattenuta in decisione all’udienza del 1.3.2012, in accoglimento di istanza del procuratore di parte attrice è stata rimessa sul ruolo per verificare l’accaduto e disporre la ricostruzione di detta documentazione nel contraddittorio tra le parti. All’udienza del 2.10.2012, sentito anche il C.T.U., dr Raffaele Pietrangelo, e considerato che, proprio in base alle sue dichiarazioni (v. verbale di udienza), poteva ritenersi certo che i documenti che il procuratore di parte attrice intendeva nuovamente produrre erano gli stessi già precedentemente depositati ed esaminati dal predetto C.T.U. per elaborare la sua relazione tecnica, è stata autorizzata la ricostruzione della medesima documentazione. In relazione a tale documentazione non si pone, poi, alcun problema di tempestività del deposito nei termini di cui all’art.183 comma 6 c.p.c., dato che mai prima del suddetto smarrimento la convenuta aveva sollevato alcuna eccezione sul punto e considerato anche che il C.T.U. era stato incaricato di ricalcolare i rapporti di dare-avere tra le parti “sulla base della documentazione prodotta in atti e di quella che le parti vorranno depositare di comune accordo”. Si osserva, poi, che, contrariamente a quanto sostenuto dalla convenuta nelle memorie conclusive, l’intervenuta morte di M. C. in data 24.4.2010 non determina l’interruzione del presente giudizio, perché non vi è stata la dichiarazione o la notifica di cui all’art. 300 comma 1 c.p.c. ad opera dei procuratori di parte attrice e perché la rappresentanza processuale sopravvive alla morte del mandante che sta in giudizio per mezzo di mandatario ad negotia costituito in giudizio tramite procuratore legale (Cass. civile 721/2001 e 13592/1991). Passando al merito, si deve preliminarmente rilevare che l’eccezione di prescrizione sopra descritta non va esaminata, perché sollevata tardivamente dalla convenuta, atteso che questa non si è costituita in giudizio nel termine di cui all’art.166 c.p.c. (almeno venti giorni prima dell’udienza di comparizione fissata nell’atto di citazione) ma solo il giorno precedente l’udienza di comparizione, così incorrendo nelle decadenze di cui all’art.167 comma 2 c.p.c.. Va poi osservato che solo l’attore ha versato in atti il contratto originario disciplinante il rapporto di conto corrente con apertura di credito oggetto di controversia. Trattasi in verità di modulo predisposto dalla banca, totalmente lasciato in bianco oltre che privo di sottoscrizioni delle parti, e riportante le condizioni generali di contratto regolanti i “conti correnti di corrispondenza e servizi connessi”, ma, data la posizione difensiva assunta dalle parti, come sopra descritta, e considerato che il rapporto, come desumibile dagli estratti di conto corrente in atti, è risalente ad epoca nettamente anteriore all’entrata in vigore della legge 154/1992, che ha introdotto l’obbligo di forma scritta a pena di nullità del contratto, si deve considerare il contratto in questione validamente stipulato con le clausole indicate in dette condizioni generali (che, tuttavia, come si sta per dire, sono in parte nulle). Ebbene l’art.7 comma 3 di tali condizioni generali prevede che “gli interessi dovuti dal correntista alla banca, salvo patto diverso, si intendono determinati alle condizioni praticate usualmente dalle banche sulla piazza e producono a loro volta interessi nel la stessa misura”. Va subito detto che nel caso di specie non risulta un patto diverso, nemmeno in epoca successiva alla stipula del citato contratto, non essendo stata dimostrata un’espressa proposta della banca di nuove condizioni contrattuali, né una relativa accettazione da parte del correntista. Detta clausola deve ritenersi nulla, sia per violazione del requisito formale previsto dall’art. 1284, ultimo comma c.c., in base al quale “gli interessi superiori alla misura legale devono essere determinati per iscritto, altrimenti sono dovuti nella misura legale”, sia per violazione del criterio di determinabilità dell’oggetto del contratto di cui all’art. 1346 c.c., essendo il tasso degli interessi passivi indeterminato ed indeterminabile e rimesso unilateralmente alla volontà del creditore. La nota giurisprudenza secondo cui la fissazione del tasso degli interessi dovuti dal cliente nel corso di un rapporto bancario di durata può essere resa determinabile – ed idonea a soddisfare il requisito della forma scritta ad substantiam prescritto dal terzo comma dell’art. 1284 – mediante il rinvio, previsto nella scrittura negoziale, ad elementi di fatto e dati estrinseci rispetto al contratto che siano però stati individuati (quali il rinvio alle condizioni praticate normalmente sulla piazza dagli Istituti di credito ovvero agli accordi interbancari), appare non pertinente nella fattispecie in quanto superata dalla successiva interpretazione della norma da parte della stessa Corte di Cassazione in relazione ai contratti bancari conclusi in data antecedente all’entrata in vigore delle nuove nonne disciplinanti l’attività bancaria (art. 4 L. 17 febbraio 1992 n 154 e artt.117 e 118 d.leg. 1 settembre 1993 n 385), le quali, introducendo una precisa deroga nel settore creditizio e finanziario rispetto al sistema normativo previgente, hanno espressamente negato la validità delle clausole contrattuali di rinvio agli usi nella determinazione degli elementi principali ed accessori del rapporto obbligatorio. Secondo l’orientamento tradizionale, favorevole alla fluidità dei rapporti bancari, “L’obbligo della forma scritta ad substantiam imposto dall’art. 1284 ultimo comma,… è da ritenersi egualmente rispettato quando nel documento contrattuale le parti indicano criteri certi ed oggettivi che consentano la concreta quantificazione del tasso d’interesse, ancorché ciò avvenga per relationem…, come quando in un contratto di conto corrente bancario si faccia riferimento… alle condizioni praticate usualmente dalle aziende di credito sulla piazza, giacche tali condizioni vengono fissate su scala nazionale con accordi di cartello per modo che il rinvio al tasso usuale vale ad ancorare la misura degli interessi a fatti oggettivi, certi e di agevole riscontro non influenzabili dal singolo istituto bancario”(v. Cass. 12 novembre 1987, n 8335; Cass. 3 dicembre 1988 n 6554; Cass. 22 maggio 1990 n 4617). Tale assetto giurisprudenziale ha subito un fondamentale arresto a partire dalla sentenza della Corte di Cassazione 13 marzo 1996, n 2103, seguita da Cass. 29 novembre 1996 n 10657, Cass. 10 novembre 1997, n 11042, Cass. 8 maggio 1998, n 4696, Cass. 23 giugno 1998 n 6247, nonché successivamente dalle sentenze della S.C. 12222/2003 e 13823/2002, e dalla prevalente giurisprudenza di merito. Sulla scorta del predetto revirement giurisprudenziale (che può ritenersi consolidato) l’obbligo della forma scritta sancito per la validità della pattuizione degli interessi ultralegali, pur non comportando necessariamente che il documento contrattuale contenga l’indicazione in cifre del tasso d’interesse pattuito e potendo essere soddisfatto anche per relationem, richiede comunque che le parti abbiano richiamato per iscritto criteri prestabiliti ed elementi estrinseci al documento negoziale, obiettivamente individuabili, che consentano la concreta determinazione del tasso convenzionale, con la conseguenza che il mero riferimento contrattuale alle condizioni praticate usualmente dalle banche è da considerare sufficiente solo ove esistano vincolanti discipline del saggio di interesse fissate su scala nazionale con accordi di cartello e non già ove tali accordi contengano diverse tipologie di tassi o, addirittura, non costituiscano più un parametro centralizzato e cogente. In tal caso occorrerà accertare, con riferimento al singolo rapporto dedotto in controversia, sulla base degli elementi probatori forniti, “se sussistevano elementi di qualificazione originaria del cliente atti a determinare, senza successiva valutazione discrezionale da parte della banca, l’oggettiva determinazione del tasso che fosse oggetto di variazione nel corso del rapporto”. (v. Cass. 2103/96). In sostanza, la Suprema Corte ha imposto un maggiore rigore per la validità della clausola, che ora diviene ammissibile soltanto nella misura in cui ricorrano elementi idonei a rendere automatico e non discrezionale l’assoggettamento del rapporto ad una determinata categoria di tassi di interesse. A tale conclusione la Corte di legittimità perviene seguendo un iter argomentativo che prende le mosse dalla considerazione dell’evoluzione verificatasi progressivamente nel settore bancario, sia con riferimento al venire meno di situazione di cartello nella valorizzazione della concorrenza bancaria, sia al mutamento “culturale” nella stessa concezione e funzione dell’attività bancaria che, portando alla rivalutazione della tutela del contraente più debole al di là della disciplina degli artt. 1341 e 1342 c c, ha finito con l’esprimersi in situazioni normative (e segnatamente art. 117 t.0) espressamente negatorie della validità delle clausole di rinvio agli usi nella determinazione dei tassi d’interesse. Al riguardo, si è precisato che, sebbene la nuova normativa non sia applicabile ai rapporti bancari sorti in epoca antecedente alla sua entrata in vigore, tuttavia non può non tenersi conto, sul piano interpretativo, della normativa anche comunitaria nel frattempo intervenuta a salvaguardia della concorrenza bancaria e decisamente negatoria di situazioni di cartello, sia del mutamento progressivo delle situazioni oggettive dell’operatività delle banche, al fine di valutare se il riferimento agi usi soddisfi ancora il requisito di oggettiva determinabilità, secondo la disciplina dell’art. 1346 c.c., la cui violazione è sanzionata come causa di nullità negoziale ai sensi dell’art. 1418 2° comma c.c. (così espressamente, in motivazione, Cass. 2103/96 cit.). Alla luce della richiamata giurisprudenza – ampiamente condivisibile – nella fattispecie in esame la pattuizione degli interessi in misura ultralegale deve ritenersi nulla, non presentando la relativa clausola caratteri di certezza ed oggettività. Ed invero, i tassi della piazza bancaria variano da istituto ad istituto e da cliente a cliente (prime rate, top rate e situazione intermedie) e gli stessi accordi di cartello sono ormai venuti meno come parametro centralizzato e vincolante per effetto della c.d. disciplina antitrust. Inoltre la banca opposta non ha fornito alcun riferimento a criteri prestabiliti od elementi estrinseci al documento negoziale che consentano la concreta determinazione del tasso convenzionale. Né detta lacuna può ritenersi superata, nel senso prospettato dalla difesa dell’opposta, con l’invio alla cliente dei riassunti scalari, dai quali risultava il tasso ultralegale applicato dall’Istituto, atteso che la relatio, per essere valida, deve consentire una determinazione del saggio ex ante e non rimetterlo alla discrezionalità immotivata dell’Istituto con comunicazione ex post alla scadenza del periodo trimestrale di chiusura delle partite contabili. Va rilevato, inoltre, che neppure si può ritenere che, non avendo il correntista mai impugnato gli estratti conto inviati, questi ultimi siano stati senz’altro approvati, con pieno effetto riguardo a tutti gli elementi che hanno concorso a formare le risultanze del conto e, quindi, anche con riferimento al calcolo degli interessi. Ciò in quanto la valenza probatoria delle tacite approvazioni dei conti trimestrali deve intendersi rigorosamente circoscritta alle risultanze numeriche degli addebiti in conto, senza che tale preclusione impedisca al correntista di contestare – anche oltre il termine contrattuale – la validità e l’efficacia dei rapporti giuridici sottostanti alle singole rimesse contabili riportate negli estratti, contestazione che l’attore ha qui effettuato anche sotto il profilo della violazione dell’art. 1284 terzo comma c.c.. Al riguardo, appare opportuno ricordare l’orientamento giurisprudenziale del Supremo Collegio (senz’altro meritevole di essere condiviso) in base al quale la mancata tempestiva contestazione dell’estratto conto bancario rende non più contestabili l’iscrizione delle singole partite ma non la validità ed efficacia dei rapporti obbligatori da cui queste derivano (vedi, proprio con riferimento ad ipotesi di addebito di interessi ultralegali: Cass. 1112/84, 6736/95, 10129/01), onde la questione relativa all’illegittimità dell’applicazione di interessi passivi in misura ultralegale non può essere preclusa dalla tacita approvazione del conto. Ne consegue che, in mancanza di qualsiasi specificazione in ordine a criteri o parametri concreti ed univoci (non potendo ravvisarsi questi “nelle condizioni praticate usualmente dalle banche sulla piazza”), il precetto di cui all’art. 1284 comma terzo non può ritenersi nella specie soddisfatto, ragion per cui la quantificazione e capitalizzazione degli interessi operata dalla Banca in misura costantemente ultralegale deve essere ritenuta illegittima. Perciò all’interesse ultralegale applicato al rapporto di conto corrente andrà sostituito quello legale, come previsto dall’art.1284 ultimo comma c.c., non potendosi applicare il criterio di cui all’art.117 D.L.vo 385/1993, essendo stato il contratto in esame stipulato prima dell’entrata in vigore di detto D.L.vo (come previsto dall’art.161 comma 6 stesso D.L.vo). Inoltre andranno detratte anche le capitalizzazioni operate dall’opposta nel corso del rapporto in proprio favore ed in misura trimestrale, secondo le pattuizioni in tal senso ricavabili dall’art.7 commi 1°, 2° e 3° delle predette condizioni generali, clausole nulle per violazione dell’art.1283 c.c.. Infatti, come è noto, la Corte di Cassazione nel corso del 1999 (sentenze n.2734, 3096, 3445 e 12507) è tornata sul tema dell’anatocismo nei contratti bancari, affermando principi che hanno invertito la rotta di un orientamento giurisprudenziale pluriennale iniziato con la sentenza n.6631/81 della medesima Suprema Corte. Detto art.1283 c.c. non esclude radicalmente la capitalizzazione degli interessi ma subordina la validità del patto che la contempli ad alcune condizioni: la posteriorità alla scadenza e la semestralità del periodo minimo di riferimento. La stessa disposizione fa, poi, salvi gli usi contrari. Nel caso di specie non risultano rispettate le due condizioni, atteso che il patto è anteriore alla scadenza degli interessi e che è prevista in favore della banca la capitalizzazione trimestrale degli interessi. Rimane, perciò, solo da stabilire se ricorra il caso degli usi contrari. E su tale punto entrano in gioco i due citati orientamenti giurisprudenziali contrapposti. Argomento condiviso da entrambi (ed anche da questo Tribunale) è che gli usi contrari fatti salvi dall’art.1283 c.c. possono essere solo quelli normativi e che, in mancanza di essi, essendo la norma citata imperativa – perché mira a prevenire il pericolo di fenomeni usurari e a mettere il debitore in condizione di calcolare l’esatto ammontare del suo debito al momento di stipulare la convenzione – la previsione della capitalizzazione degli interessi è affetta da nullità ai sensi dell’art.1418 comma 1° c.c.. Ma mentre il primo orientamento, quello meno recente, ha sempre affermato che l’anatocismo nei rapporti bancari derivava da un vero e proprio uso normativo e che, come tale, era lecito, il secondo sostiene che si tratta di semplice uso negoziale, illecito perché contrario alla disposizione dell’art.1283 c.c.. Tra i due è preferibile il secondo, le cui argomentazioni si danno qui per riportate, atteso che a partire dal 1999 si sono succedute numerose pronunce della S.C., culminate nella sentenza delle Sezioni Unite civili 21095/2004, tutte favorevoli alla tesi della nullità di clausole che, come quella in esame, prevedono l’anatocismo in mancanza di apposito uso normativo. Dunque la citata clausola è senz’altro nulla e le capitalizzazioni operate nel corso del rapporto vanno escluse; ciò va effettuato, però, come chiesto dalla convenuta, fino al 30.6.2000, perché quelle a partire dal 1.7.2000 (effettuate con periodicità trimestrale anche in favore del correntista, come verificato dal C.T.U. mediante esame degli estratti conto) sono state legittime in virtù delle disposizioni di cui alla delibera del CICR 9.2.2000, emessa in base all’art.120 D.L.vo 385/1993, come modificato dall’art.25 D.L.vo 342/1999, che ha consentito anche per i contratti già in essere, alle condizioni di cui all’art.7 nel caso di specie osservate dalla Banca Commerciale Italiana (v. pubblicazione effettuata sulla G.U. il 13.6.2000, prodotta dalla convenuta) -, la capitalizzazione trimestrale degli interessi. Quanto a commissioni di massimo scoperto, valute e spese l’art.7 comma 5 delle medesime condizioni generali prevedono che esse sono applicate secondo i criteri concordati con il correntista o usualmente praticati dalle banche sulla piazza. Mancando la prova della stipula tra le parti di patti su tali condizioni e valendo per il richiamo all’uso su piazza contenuto nell’art,7 comma 5 tutto quanto già esposto in ordine alla nullità della clausola di cui all’art.7 comma 3, vanno esclusi anche gli addebiti sul conto corrente a titolo di commissioni di massimo scoperto, valute e spese. […] Dunque […] la somma spettante a parte attrice, come emerge dalla relazione di consulenza tecnica d’ufficio e dalle correzioni indicate nella relazione del C.T. di parte convenuta, dott.ssa Maria Angela Damiani, ammonta a € 171.405,21. […]
Ai sensi dell’art.91 c.p.c. la convenuta va condannata anche al pagamento delle spese di lite, liquidate in dispositivo in base all’entità del credito riconosciuto, in favore dei procuratori antistatari della controparte; a suo carico vanno poste definitivamente le spese di consulenza tecnica d’ufficio, già liquidate in corso di causa con decreto del 3.6.2009.
P.Q.M.
Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone: 1. dichiara la nullità delle clausole di cui all’art. 7, commi 1, 2, 3 e 5 delle condizioni generali del contratto di apertura di credito e di conto corrente n. 1935370/10/27, intestato a M. C. ed acceso presso la Banca Commerciale Italiana, oggetto del presente giudizio, nelle parti in cui determinano interessi debitori, commissioni di massimo scoperto, valute, spese e relative capitalizzazioni; 2. condanna la Intesa Sanpaolo s.p.a. a pagare in favore di M. N., quale procuratore generale e speciale di M. C., la somma di € 171.405,21, oltre a interessi nella misura di cui all’art.1284 comma I c.c. dal 17.12.2007 al saldo; 3. condanna la Intesa Sanpaolo s.p.a. a pagare in favore degli avvocati Mariateresa De Carlo e Antonio Tanza, procuratori antistatari di M. N., le spese del presente giudizio, che liquida in complessivi € 12.400,00, di cui 400,00 per esborsi e il resto per compensi, oltre a CAP e IVA come per legge;
4. pone definitivamente a carico della Intesa Sanpaolo s.p.a. le spese di consulenza tecnica d’ufficio, già liquidate in corso di causa.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE DI VERBANIA
in composizione monocratica, in persona del dott. Claudio Michelucci ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
nella causa iscritta al n. 570/2011 R.G. promossa da:
M. Emilio, titolare della ditta individuale M. EMILIO ARTE E A. (p.iva 00052000031) con sede in _______ Via ____ 118, rappresentato e difeso dall’avv. Antonio TANZA del foro di Lecce e dall’avv. Celestino BROCCA del foro di Verbania in forza di procura speciale a margine dell’atto di citazione ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell’avv. BROCCA in Verbania Via G. Parisio 6
ATTORE
CONTRO VENETO BANCA scpa (gia’ VENETO BANCA HOLDING scpa) (p. iva 00208740266), con sede in Montebelluna Piazza G.B. Dell’Armi 1 in persona del procuratore speciale dott. Stefano SION, rappresentata e difesa dall’avv. Massimo MALVESTIO, dall’avv. Antonella LILLO del foro di Treviso e dall’avv. Sergio NAPOLETANO del foro di Verbania in forza di procura a margine della comparsa di costituzione e risposta ed elettivamente domiciliata in Verbania Corso Cobianchi 19 presso Studio avv. Sergio Napoletano
CONVENUTA
Conclusioni delle parti Parte attrice “Voglia l’On.le Tribunale adito, respinta ogni altra istanza, in accoglimento della domanda : – ACCERTARE e DICHIARARE la nullità ed inefficacia, per violazione degli artt. 1284 c.c., 1346, 2697 e 1418 comma 2, nonché dell’art. 8 della legge n. 64 del 1986, dell’art. 7, comma 3, delle condizioni generali del contratto di apertura di credito e di conto corrente n. 0105990 e collegati, intestato a M. Emilio Arte e A. ed acceso presso la Banca Popolare di Intra S.c.r.l. – Agenzia di Gravellona (VB), nonché del c/c n. 0105995 e collegati, intestato a M. Emilio Arte eA. ed acceso presso la Banca Popolare di Intra S.c.r.l. – Agenzia di Gravellona (VB), oggetto del rapporto tra le parti del presente giudizio, relativa alla determinazione degli interessi debitori con riferimento alle condizioni usualmente praticate dalle Aziende di credito sulla piazza, e per l’effetto, DICHIARARE la inefficacia degli addebiti in c/c per interessi ultralegali applicati nel corso dell’intero rapporto e l’applicazione in via dispositiva, ai sensi dell’art. 1284, comma 3, c.c., degli interessi al saggio legale tempo per tempo vigente; – ACCERTARE e DICHIARARE la nullità ed inefficacia, per violazione degli artt. 1283, 2697 e 14182 c.c., dell’art. 7, commi 2 e 3, delle condizioni generali del contratto apertura di credito e di conto corrente n. 0105990 e n. 0105995, oggetto del rapporto tra le parti del presente giudizio, relativa alla capitalizzazione trimestrale di interessi, competenze, spese ed oneri applicata nel corso dell’intero rapporto e, per l’effetto, DICHIARARE la inefficacia di ogni e qualsivoglia capitalizzazione di interessi al rapporto in esame; -ACCERTARE e DICHIARARE la nullità ed inefficacia, per violazione degli artt. 1325 e 1418, degli addebiti in c/c per non convenute commissioni sul massimo scoperto trimestrale; comunque prive di causa negoziale; – ACCERTARE e DICHIARARE la nullità ed inefficacia, per violazione degli artt. 1284, 1346, 2697 e 14182 c.c., degli addebiti di interessi ultralegali applicati nel corso dell’intero rapporto sulla differenza in giorni – banca tra la data di effettuazione delle singole operazioni e la data della rispettiva valuta; nonché per mancanza di valida giustificazione causale; – ACCERTARE e DICHIARARE, per l’effetto l’esatto dare-avere tra le parti in base ai risultati del ricalcolo effettuato in sede di CTU; – DETERMINARE il Tasso Effettivo Globale (T.E.G.) dell’indicato rapporto bancario; – ACCERTARE e DICHIARARE, previo accertamento del Tasso effettivo globale, la nullità e l’inefficacia di ogni e qualsivoglia pretesa della convenuta banca per interessi, spese, commissioni, e competenze per contrarietà al disposto di cui alla legge 7 marzo 1996 n. 108, perché eccedente il c.d. tasso soglia nel periodo trimestrale di riferimento, con l’effetto, ai sensi degli artt. 1339 e 14192 c.c., della applicazione del tasso legale senza capitalizzazione; – DETERMINARE, nell’ipotesi di apercredito ancora in esser, il saldo ricalcolato alla data dell’accertamento peritale (come da CTU) CONDANNANDO la banca ad attenersi per il proseguo del rapporto alle nullità parziali rilevate; mentre DETERMINARE e CONDANNARE, nell’ipotesi di revoca o di chiusura dell’apercredito, la convenuta banca alla restituzione della somme illegittimamente addebitate e/o riscosse, oltre agli interessi legali creditori e maggior danno (derivante dalla mancata utilizzazione del maggior credito cfr SSUU sentenza 18 luglio 2008, n. 19499), in favore dell’odierna istante dalla data della contrattuale maturazione in estratto conto sino all’effettivo soddisfo, calcolando sui saldi creditori del correntista la capitalizzazione annuale; CONDANNARE in ogni caso la parte soccombente al pagamento delle spese e competenze di giudizio in favore dei sottoscritti procuratori antistatari, nonché spese di CTU. Parte convenuta IN VIA PRELIMINARE DI RITO – accertarsi e dichiararsi, per i motivi dedotti in atti, la nullità dell’atto di citazione ai sensi dell’art. 163 c.p.c., nn. 3 e 4; – accertarsi e dichiararsi, per i motivi dedotti in atti, la carenza di interesse ad agire della M. Emilio Arte e A. in ordine alle domande fatte valere in giudizio nei confronti di Veneto Banca S.c.p.a. NEL MERITO In via principale Rigettarsi le domande proposte dall’attrice in quanto prescritte e comunque infondate per tutti i motivi esposti in atti; In via subordinata Nella denegata ipotesi in cui l’intestato Tribunale ritenesse nulla la capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi, accertato che la Banca ha provveduto ad adeguarsi alla nuova normativa in materia di anatocismo di cui alla Delibera C.I.C.R. del 9 febbraio 2000, dichiararsi: – legittima, quantomeno a far data dal 1° luglio 2000, la capitalizzazione trimestrale degli interessi; – per il periodo antecedente l’adeguamento alla Delibera C.I.C.R., e quindi per il periodo antecedente al 30 giugno 2000, la legittimità della capitalizzazione semestrale o quanto meno annuale degli interessi passivi; con ogni conseguenza in ordine all’eventuale calcolo dell’importo chiesto in restituzione dalla M. Emilio Arte e A.. IN OGNI CASO Con vittoria di spese, diritti ed onorari di lite. IN VIA ISTRUTTORIA La Banca, oltre a far proprie e a ribadire in questa sede tutte le osservazioni svolte nel corso delle operazioni peritali dal proprio C.T.P. dott. Bruno Mesirca, insiste affinchè il Giudice – previa revoca della nomina del dott. Alberto Scruzzi quale C.T.U. nel presente giudizio e designazione di un nuovo C.T.U. per tutti i motivi dedotti nell’istanza di ricusazione in data 23.03.2012 proposta dalla convenuta – in forza di quanto dedotto ed eccepito dalla Banca in atti, Voglia disporre un’integrazione della C.T.U. in particolare per quantificare gli asseriti illeciti addebiti effettuati dalla Banca tenendo conto: – della prescrizione secondo quanto previsto dalla sentenza della Corte di Cassazione, SS.UU., n. 24418/2010; – di quanto addebitato a titolo di C.M.S. in quanto contrattualmente pattuita. La Banca chiede inoltre che l’eventuale disponenda integrazione della C.T.U.: – non abbia ad oggetto il c/c n. 0105990 dato che, con riferimento a detto rapporto e come già rilevato in corso di causa, deve ritenersi interamente prescritto ogni diritto fatto valere in giudizio dall’attrice, essendo stato il conto estinto in data 29.01.1998. I c/c nn. 0105990 e 0105995 non possono essere ritenuti un unicum ma devono essere considerati e trattati come due distinti e separati rapporti intercorsi tra la Banca e la M. Emilio Arte e A.. MOTIVI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE Con atto di citazione, ritualmente notificato, l’impresa individuale M. EMILIO ARTE E A. conveniva in giudizio la Veneto Banca S.p.a. allegando di avere intrattenuto intrattenuto con la Banca Popolare di Intra S.c.r.l. – Agenzia di Gravellona (ora Veneto Banca) un rapporto bancario consistente in apertura di credito con affidamento mediante scopertura su c/c n. 0105990 per il periodo 1985 al 1998, oltre i secondari confluenti c/c n. 090/010599/1 e c/c n. 090/010599/2, nonché il c/c ordinario n. 0105995, intestato a M. Emilio per il periodo 1993 – 2003, e lamentando, in relazione ai predetti rapporti, l’illegittima capitalizzazione trimestrale da parte della banca degli interessi passivi in violazione dell’art. 1283 c.c., l’applicazione di interessi ultralegali non pattuiti per iscritto, in misura anche oltre soglia usura, la scorretta antergazione e postergazione delle valute nonché l’illegittima applicazione di commissioni di massimo scoperto, competenze e spese. Chiedeva, pertanto, che previa riliquidazione del saldo finale del rapporto sulla base delle eccezioni e delle contestazioni proposte, la convenuta fosse condannata al pagamento in favore di M. EMILIO delle somme indebitamente percepite, oltre interessi e maggior danno. Si costituiva in giudizio la VENETO BANCA scpa eccependo, in via pregiudiziale, l’improcedibilità dell’azione ai sensi dell’art. 5 d.lgs. 28/2010, la nullità dell’atto di citazione per indeterminatezza dei fatti posti a fondamento della domanda, e, in via preliminare, la carenza di interesse della ditta attrice poiché la corresponsione delle somme, nell’assunto attoreo, illegittimamente percepite dalla Banca integrerebbe adempimento di un’obbligazione naturale nonché la prescrizione delle pretese creditorie fatte valere dalla società attrice; nel merito, sosteneva la legittimità della capitalizzazione trimestrale degli interessi dovuti dal correntista, ovvero, in subordine, la necessità di applicare quantomeno la capitalizzazione semestrale o almeno annuale, ferma in ogni caso la legittimità della capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi almeno a partire dal 30.6.2000, successivamente al d.lgs. 342/1999 e alla delibera CICR 9.2.2000, avendo la banca rispettato le condizioni da questa prescritte; osservava ancora come i tassi di interessi e le commissioni fossero stati validamente pattuiti e quindi correttamente applicati. Riteneva infondata e indimostrata la richiesta di accertamento di interessi pretesi in misura eccedente il tasso soglia di cui alla legge 108/1996. All’udienza di prima comparizione il procuratore di parte attrice dava atto che era stato avviato il procedimento di mediazione obbligatorio ex d.lgs. 28/2010 e il Giudice, rilevato che lo stesso non si era ancora concluso, rinviava a nuova udienza ai sensi dell’art. 5 della predetta legge. Esaurita la procedura di conciliazione obbligatoria, depositate le memorie ex art. 183 comma 6 cpc, la causa veniva istruita mediante espletamento di CTU affidata al dott. Alberto SCRUZZI, nei confronti del quale la Banca presentava istanza di ricusazione, rigettata come da ordinanza 30.3.2012; quindi all’udienza dell’8.1.2013, sulle conclusioni delle parti riportate in epigrafe, il giudice tratteneva la causa a sentenza previa concessione dei termini di cui all’art. 190 c.p.c. per il deposito di comparse conclusionali e memorie di replica. Preliminarmente deve essere respinta l’eccezione pregiudiziale di nullità dell’atto di citazione sollevata ex artt. 164 – 163 n. 3-4 c.p.c. dalla banca convenuta in quanto parte attrice ha indicato espressamente gli estremi dei conti corrente bancari sui quali allega essere stati applicati gli interessi anatocistici e le altre voci, riportate specificamente, asseritamente non dovute nonché la durata del rapporto; la convenuta, pertanto, in possesso delle convenzioni e degli estratti conto, è stata posta in condizione di comprendere l’oggetto della pretesa e di apprestare adeguate difese; l’indicazione da parte del correntista dei titoli dai quali trae origine la sua pretesa consente, infatti, di soddisfare le esigenze difensive sottese alla norma di cui all’art. 163 comma 4 cpc. Parimenti priva di fondamento è l’eccezione di carenza di interesse ad agire della M. ARTE E A., fondata sulla constatazione che il correntista ha per lunghissimo tempo corrisposto somme a titolo di interessi ultralegali non pattuiti per iscritto, a titolo di interessi anatocistici non dovuti, nonché a qualsiasi altro titolo oggetto delle domande avversarie, senza alcuna contestazione, pur avendo ricevuto gli estratti di conto corrente con annotazione di tutti gli addebiti eseguiti: tale condotta, per un verso, dovrebbe essere qualificata secondo la convenuta come adempimento di un’obbligazione naturale non soggetto a ripetizione ex art. 2034 c.c., per altro verso, varrebbe quale rinuncia tacita da parte del correntista all’azione di ripetizione. Sotto il primo aspetto, deve osservarsi che le somme oggetto di contestazione nel presente giudizio non sono state oggetto di un pagamento spontaneo, e quindi, adempimento di una obbligazione naturale ex articolo 2034 cc, bensì il frutto di un conteggio eseguito dalla banca di sua esclusiva iniziativa e senza alcuna autorizzazione del correntista, difettando, così, la volontà di pagamento, la spontaneità ed il dovere morale o sociale richiesti dalla citata norma. Sotto il secondo profilo, è sufficiente osservare che la volontà tacita di rinunziare ad un diritto si può desumere soltanto da un comportamento concludente del titolare che riveli la sua univoca volontà di non avvalersi del diritto stesso, laddove l’ inerzia o il ritardo nell’esercizio del diritto non costituiscono elementi sufficienti, di per sè, a dedurne la volontà di rinunciare del titolare, potendo essere frutto di ignoranza, di temporaneo impedimento o di altra causa, e spiegano rilevanza soltanto ai fini della prescrizione estintiva. Ne consegue che il solo ritardo nell’esercizio del diritto, per quanto imputabile al titolare dello stesso, non può costituire motivo per negare la tutela giudiziaria dello stesso (cfr. Cass. Civ. sez. III 15.3.2004 n. 5240). Si aggiunga, per quanto attiene alla mancata impugnazione delle risultanze degli estratti conto che, nel contratto di conto corrente, l’incontestabilità delle risultanze del conto conseguente all’approvazione tacita dell’ estratto conto , a norma dell’art. 1832, c.c., si riferisce agli accrediti ed agli addebiti considerati nella loro realtà effettuale, ma non impedisce la contestazione della validità e dell’efficacia dei rapporti obbligatori da cui essi derivino, né l’approvazione o la mancata impugnazione del conto comportano che il debito fondato su di un negozio nullo, annullabile, od inefficace resti definitivamente incontestabile tra le medesime parti. Ancora, non appare fondata l’eccezione di prescrizione sollevata dalla Banca né con riferimento al c/c 0105990 né al c/c 0105995. Anzitutto deve ritenersi ormai dato acquisito che l’azione di ripetizione di indebito, proposta dal cliente di una banca, il quale lamenti la nullità delle clausole negoziali poste a base del conto, è soggetta all’ordinaria prescrizione decennale (cfr. Cass. SS.UU. 14418/2010) Deve quindi precisarsi che detto termine decennale di prescrizione decorre dalla data di cessazione del rapporto. Con orientamento di gran lunga maggioritario, infatti, la giurisprudenza ha ripetutamente affermato che la prescrizione del diritto alla ripetizione dell’indebito decorre dalla chiusura definitiva del rapporto, considerata la natura unitaria del contratto di conto corrente bancario, il quale dà luogo ad un unico rapporto giuridico, ancorché articolato in una pluralità di atti esecutivi: la serie successiva di versamenti e prelievi, accreditamenti e addebiti, comporterebbe soltanto variazioni quantitative del titolo originario costituito tra banca e cliente; soltanto con la chiusura del conto si stabilirebbero in via definitiva i crediti e i debiti delle parti e le somme trattenute indebitamente dall’istituto di credito potrebbero essere oggetto di ripetizione (vd. Cass. 10127/2005 e giurisprudenza ivi richiamata). La Suprema Corte di Cassazione con pronuncia resa a Sezioni Unite (24418/2010) ha sostanzialmente confermato questa conclusione aggiungendo peraltro che, quando nell’ambito del rapporto in questione è stato eseguito un atto giuridico definibile come pagamento (consistente nell’esecuzione di una prestazione da parte di un soggetto, con conseguente spostamento patrimoniale a favore di altro soggetto), e il solvens ne contesti la legittimità assumendo la carenza di una idonea causa giustificativa e perciò agendo per la ripetizione dell’indebito, la prescrizione decorre dalla data in cui il pagamento indebito è stato eseguito. Ma ciò soltanto qualora si sia in presenza di un atto con efficacia solutoria, cioè per l’appunto di un pagamento, vale a dire di un versamento eseguito su un conto passivo (“scoperto”), cui non accede alcuna apertura di credito a favore del correntista, oppure di un versamento destinato a coprire un passivo eccedente i limiti dell’accreditamento (cosiddetto extra fido). In definitiva, qualora i versamenti eseguiti dal correntista in pendenza del rapporto abbiano avuto solo funzione ripristinatoria della provvista, il termine di prescrizione dell’azione di ripetizione decorre dalla data in cui è stato estinto il conto corrente in cui gli interessi non dovuti sono stati registrati. Solo da tale momento sussiste infatti un pagamento indebito. Nel caso di specie, non solo la banca non ha neppure allegato che vi siano stati, in corso di rapporto, versamenti solutori nel senso prospettato né li ha specificati così non adempiendo al proprio onere probatorio sotto tale profilo ma il CTU ha comunque accertato e concluso che tutte le rimesse effettuate sul c/c 10599/5 hanno avuto chiaramente funzione ripristinatoria , in quanto la ditta attrice in nessuno dei periodi oggetto della rielaborazione ha mai oltrepassato il limite dell’affidamento risultante dai documenti prodotti in giudizio, ovvero lire 350.000.000. Non ha più rilievo alcuno il richiamo all’art. 2 co. 61 d.l. 225/2010 (c.d. milleproroghe) che, nel porre una norma di natura interpretativa dell’art. 2935 c.c., prevedeva che “In ordine alle operazioni bancarie regolate in conto corrente l’art. 2935 del codice civile si interpreta nel senso che la prescrizione relativa ai diritti nascenti dall’annotazione in conto inizia a decorrere dal giorno dell’annotazione stessa” e che “In ogni caso non si fa luogo alla restituzione di importi già versati alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto legge” in quanto la Corte costituzionale con sentenza n. 78/2012 ne ha dichiarato l’illegittimità costituzionale, sicché resta superato anche ogni problema relativo all’interpretazione da dare alla suddetta disposizione. Ora, nel caso di specie la Banca convenuta osserva che, in ogni caso, l’azione di ripetizione delle somme indebitamente corrisposte con riferimento al c/c 0105990 sarebbe, anche a seguire i principi sopra esposti (per quanto non condivisi dalla convenuta), prescritta, poiché detto conto è stato (pacificamente) estinto in data 29.1.1998. Deve però osservarsi che altrettanto pacificamente il saldo di tale conto corrente è stato, al momento dell’estinzione, “girocontato” sull’altro conto corrente oggetto di causa n. 0105995, come d’altronde accertato dallo stesso CTU. Quest’ultimo conto corrente non può pertanto considerarsi autonomo proprio in forza dell’intervenuta imputazione di somme provenienti dal precedente conto corrente. Da tale imputazione di somme discende, invece, che deve ritenersi sussistere un collegamento giuridico e quindi una continuità tra i due rapporti stipulati tra le parti, con l’ulteriore conseguenza che il termine iniziale di prescrizione va calcolato dalla data di chiusura del suddetto c/c 0105995 avvenuta il 24.7.2003. L’eccezione di prescrizione deve essere pertanto rigettata. Venendo alla disamina del merito, fondata risulta, invece, anzitutto, la doglianza di parte attrice circa l’illegittima capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi (sino al 30.6.2000) pacificamente applicata ai rapporti de quibus ed effettivamente riscontrata dal CTU. La norma dell’art. 1283 c.c. è ritenuta pacificamente di carattere imperativo e di natura eccezionale nella parte in cui ammette la possibilità che gli interessi scaduti possano produrre ulteriori interessi nella sola ipotesi di interessi dovuti per almeno un semestre e sempre che vi sia stata una formulazione di domanda giudiziale ovvero per effetto di una convenzione successiva alla scadenza degli interessi stessi. Tale norma può essere derogata da usi contrari ma deve trattarsi di veri e propri usi normativi e non di semplici usi negoziali (art. 1340 c.c.) o intepretativi (art. 1368 c.c) consistendo l’uso normativo nella ripetizione generale, uniforme, costante e pubblica di un determinato comportamento accompagnato dalla convinzione che si tratti di comportamento giuridicamente obbligatorio in quanto conforme a norma che già esiste o che si ritiene debba far parte dell’ordinamento giuridico (opino iuris ac necessitatis). Quanto ai contratti bancari, la giurisprudenza ormai consolidata della Suprema Corte di Cassazione, con riferimento ai contratti di conto corrente di corrispondenza stipulati in data anteriore al 22 aprile 2000, ritiene del tutto illegittimo l’anatocismo trimestrale degli interessi debitori applicato dagli istituti di credito (v. cass. s.u. 21095/2004 e cass. 10127/2005) in quanto fondato su un uso negoziale contrariamente a quanto previsto dall’art. 1283 c.c. In particolare, le Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione con la sentenza n. 21095/2004 hanno definitivamente chiarito che deve escludersi l’esistenza di un uso normativo legittimante l’anatocismo trimestrale nei rapporti bancari, idoneo a derogare al precetto di cui all’art. 1283 c.c. che prevede il generale divieto di anatocismo e cioè della produzione di interessi sugli interessi; le clausole anatocistiche stipulate fino all’entrata in vigore della delibera CICR di cui al comma 2 del del d.lgs. 342/1999 sono, quindi, da considerare nulle in quanto stipulate in violazione dell’art. 1283, cod.civ., perché basate su un uso negoziale, anziché su un uso normativo, mancando di quest’ultimo il necessario requisito soggettivo, consistente nella consapevolezza di prestare osservanza, operando in un certo modo, ad una norma giuridica, per la convinzione che il comportamento tenuto è giuridicamente obbligatorio, in quanto conforme ad una norma che già esiste o che si reputa debba fare parte dell’ordinamento giuridico (“opinio juris ac necessitatis”). Infatti, va escluso che detto requisito soggettivo sia venuto meno soltanto a seguito delle decisioni della Corte di cassazione che, a partire dal 1999, modificando il precedente orientamento giurisprudenziale, hanno ritenuto la nullità delle clausole in esame, perché non fondate su di un uso normativo, dato che la funzione della giurisprudenza è meramente ricognitiva dell’esistenza e del contenuto della regola, non già creativa della stessa, e, conseguentemente, in presenza di una ricognizione, anche reiterata nel tempo, rivelatasi poi inesatta nel ritenerne l’esistenza, la ricognizione correttiva ha efficacia retroattiva, poiché, diversamente, si determinerebbe la consolidazione ‘medio tempore’ di una regola che avrebbe la sua fonte esclusiva nelle sentenze che, erroneamente presupponendola, l’avrebbero creata. Deve ritenersi, invece, attualmente ammissibile la capitalizzazione degli interessi pattuita mediante apposite clausole contenute nei contratti bancari in forza della delibera CICR 9.2.2000; l’art. 120 TUB come modificato dall’art. 25 del d.lgs. 342/99, ha infatti attribuito al CICR il potere di stabilire le modalità ed i criteri per la produzione degli interessi maturati nelle operazioni poste in essere nell’esercizio dell’attività bancaria. La disciplina introdotta dal CICR vale peraltro anche per i contratti stipulati in precedenza a decorrere dal 1.7.2000 purché risultino rispettate le disposizioni contenute nella delibera entro il 30.6.2000. In relazione al caso di specie, dunque, va accertata e dichiarata la nullità della clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi sino al 30.6.2000; depurato il conto corrente degli addebiti derivanti dall’illegittima applicazione di interessi anatocistici su base trimestrale, non può essere riconosciuta alcuna capitalizzazione in quanto si tratterebbe pur sempre di una forma di anatocismo vietato dalla legge (art. 1283 c.c.) in assenza di usi normativi che legittimino tale conclusione (cfr. Cass. SS.UU. 24418/2010). Rispettate le condizioni prescritte dalla delibera CICR 9.2.2000 (con la pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale 29.6.2000 e con la comunicazione al cliente in calce all’estratto conto del 31.10.2000 delle nuove condizioni contrattuali e a fronte di condizioni non peggiorative di quelle precedentemente applicate) appare ammissibile la capitalizzazione trimestrale degli interessi successiva al 1.7.2000. Sempre con riferimento al suddetto rapporto, quanto alla lamentata applicazione di interessi ultralegali, la Banca non ha prodotto idonea documentazione attestante la loro determinazione per iscritto con riferimento al c/c 10559/0 e dunque, posto che la giurisprudenza in ossequio al disposto dell’art. 1284 c.c. è ormai granitica nell’affermare che – in tema di interessi nei contratti bancari – la relativa convenzione è nulla quando il relativo tasso risulti non determinabile e non controllabile in base ai criteri in detta convenzione oggettivamente indicati, opera tra le parti nel caso di specie la sostituzione della clausola difforme da una norma imperativa con il dettato della norma imperativa medesima ex art. 1419 c.c. Gli interessi perciò sono stati calcolati dal c.t.u. nella misura del tasso legale ex art. 1284 c.c. fino al 08.07.1992; successivamente con l’entrata in vigore della Legge n. 154 del 17.02.1992, gli interessi sono stati calcolati con il criterio stabilito dall’art. 117 n. 7 D.lvo. 385/93, ovvero con il così detto “tasso bot” (cfr. pag. 8 e 9 della relazione peritale). Corretto appare il criterio interpretativo per cui il tasso sostitutivo indicato dall’art. 117 comma 7 lettera a) è stato applicato nella misura nominale minima dei bot per le operazioni in favore della Banca e nella misura nominale massima dei bot per le operazioni a favore del cliente in ragione della natura eminentemente sanzionatoria, a carico della Banca, della norma medesima. Per quanto concerne invece il c/c 10599/5 il CTU ha dato atto di avere fatto applicazione del tasso di interesse contrattualmente previsto come risultante dalla documentazione versata in atti (doc. 6 parte convenuta) validamente pattuito per iscritto. La dedotta violazione della Legge 108/196 è risultata, invece, del tutto indimostrata considerando l’assoluta genericità della contestazione con cui gli opponenti non hanno fatto riferimento né al periodo in cui sarebbe stato superato il “tetto soglia” del tasso degli interessi debitori applicati al rapporto, né al tasso applicato effettivamente, né alla categoria di operazioni presa a riferimento per la valutazione di usurarietà. L’attrice contesta ancora l’illegittima applicazione della clausola di commissione di massimo scoperto. Come è noto, la c.m.s. è stata diversamente definita o individuata – limitandosi alle due accezioni principali e più diffuse – come il corrispettivo per la semplice messa a disposizione da parte della banca di una somma, a prescindere dal suo concreto utilizzo, oppure come la remunerazione per il rischio cui la banca è sottoposta nel concedere al correntista affidato l’utilizzo di una determinata somma, a volta oltre il limite dello stesso affidamento. Il termine commissione di massimo scoperto non è quindi riconducibile ad un’unica fattispecie giuridica, sicché l’onere di determinatezza della previsione contrattuale delle c.m.s. deve essere valutato con particolare rigore, dovendosi esigere, se non una sua definizione contrattuale, per lo meno la specifica indicazione di tutti gli elementi che concorrono a determinarla (percentuale, base di calcolo, criteri e periodicità di addebito), in assenza dei quali non può nemmeno ravvisarsi un vero e proprio accordo delle parti su tale pattuizione accessoria, non potendosi ritenere che il cliente abbia potuto prestare un consenso consapevole, rendendosi conto dell’effettivo contenuto giuridico della clausola e, soprattutto, del suo “peso” economico; in mancanza di ciò l’addebito delle commissioni di massimo scoperto si traduce in una imposizione unilaterale della banca che non trova legittimazione in una valida pattuizione consensuale. Ebbene venendo al caso di specie le commissioni di massimo scoperto vanno escluse, in ogni caso, perché la banca non ha provato la specifica pattuizione per iscritto della commissione stessa né degli elementi che concorrono a determinarla sulla dei principi sopra espressi; il calcolo del saldo del rapporto bancario de quo è stato, di ragione, epurato dei relativi effetti. Egualmente nei documenti contrattuali versati in atti dalla convenuta non risultano indicate le spese di gestione/chiusura del conto che, nel ricalcolo, pertanto devono essere azzerate. Venendo alla rideterminazione del saldo del rapporto di conto corrente ritiene il Tribunale che debba farsi riferimento ai risultati della CTU (con la precisazione che segue), avuto riguardo alla correttezza dei conteggi effettuati, e perché formulati nel rispetto dei principi sopra esposti, in quanto basata: – sull’esclusione di qualunque forma di capitalizzazione degli interessi in ottemperanza al disposto dell’art. 1283 dalla data di apertura del conto al 30.6.2000 – sulla capitalizzazione trimestrale in base alla delibera CICR 9.2.2000, dal 1.7.2000 alla chiusura del conto – sull’eliminazione degli interessi ultralegali non pattuiti e sull’applicazione dei tassi ex art. 117 TUB con riferimento al c/c 10599/0 e con applicazione dei tassi di interessi contrattualmente pattuiti con riferimento al c/c 10599/5 – sull’eliminazione della commissione di massimo scoperto e delle spese di gestione/tenuta conto non validamente pattuite Alla luce di tali risultati, dato atto che il saldo del c/c 10599/0 come ricalcolato è stato girato sul conto corrente 10599/5 come avvenuto in effetti nel corso del rapporto bancario, il saldo di quest’ultimo conto corrente deve essere rideterminato in € 180.603,90 a credito del correntista alla data del 30.6.2003. Non è stato possibile per il CTU, sulla base della documentazione a disposizione, effettuare conteggi per il periodo successivo sino alla chiusura del conto (24.7.2003 – doc. 12 parte convenuta), sicché per tale periodo, spettando l’onere della prova all’attore, non sono stati ricalcolati interessi né si è proceduto a depurare il conto da spese periodiche.
Il saldo finale documentato dalla banca a tale data è pari a € 239,64 a debito del correntista. In definitiva, recepito il conteggio effettuato dal CTU e tenuto conto del saldo finale dichiarato dalla Banca, la convenuta deve essere condannata al pagamento di € 180.363,45 (pari alla differenza del saldo ricalcolato dal CTU e il saldo finale indicato dalla banca) oltre interessi decorrenti dalla data della domanda al saldo. Le spese di causa seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo (dovendosi includere tra le spese anche i costi di CTP sostenuti dall’attrice). Le spese di CTU sono definitivamente poste a carico di parte convenuta.
P.Q.M.
Definitivamente pronunciando nella causa iscritta al n. 570/2011 RG ogni altra istanza, deduzione ed eccezione disattesa – in accoglimento della domanda proposta da M. Emilio titolare della ditta individuale M. EMILIO ARTE E A., ricalcolato il saldo effettivo dei conti corrente 0105990 e 0105995 intercorrenti tra M. EMILIO ARTE E A. e la Banca Popolare di Intra scrl, alla data di estinzione del conto 0105995 (sul quale risulta essere stata girato il saldo di chiusura del conto 0105990) 24.7.2003, con esclusione della capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi sino al 30.6.2000, nonché degli interessi ultralegali non pattuiti relativamente al c/c 0105990, delle commissioni di massimo scoperto e delle spese di tenuta conto, condanna la VENETO BANCA scpa, in persona del legale rappresentante pro-tempore, a pagare a favore dell’attore la somma di € 180.363,45, oltre interessi legali dalla data della domanda al saldo. Condanna la convenuta a rifondere a favore di parte attrice le spese di lite che liquida in € 12.200 per competenze e € 2.223,21 per spese, oltre accessori come per legge.
Pone definitivamente le spese di CTU, come già liquidate in corso di causa, a carico della convenuta. Verbania 24.4.2013
Il Giudice Claudio Michelucci