Strozzavano gli imprenditori soffocati dalla crisi e a cui le banche avevano chiuso i rubinetti del credito. Prestavano soldi e poi li richiedevano indietro con un tasso di interesse che andava dal 120 al 140% annuo, facendosi dare in garanzia assegni e immobili e minacciando costantemente le vittime di gettarle sul lastrico. Cinque soci dell’Istituto Popolare Salentino di Aradeo (società di capitali dedita all’intermediazione finanziaria dal 1983) sono stati posti agli arresti domiciliari dai militari della Guardia di finanza di Lecce guidati dal colonnello Vincenzo Di Rella, in esecuzione delle ordinanze di custodia cautelare firmate dal gip Giovanni Gallo su richiesta del pm Alessio Coccioli.

Associazione a delinquere, usura, estorsione ed esercizio abusivo della raccolta del risparmio, le accuse contestate a Carmine Minerba, ai suoi figli Antonio e Massimo, alla nuora Aurora Pepe, e al socio Roberto Giuri, proprietari dell’80% delle quote dell’istituto finanziario, che in passato aveva avuto nella sua compagine societaria anche Giuseppe Coluccia (referente dell’omonimo clan di Galatina) e le sue figlie, Federica e Valentina, che oggi conservano un’azione ciascuna del valore di 17 centesimi. L’inchiesta ha avuto inizio nel 2008, grazie alla denuncia di due commercianti di complementi d’arredo, che non riuscivano più a far fronte alle richieste usuraie degli indagati.

“Le vittime per anni hanno sopportato – ha chiarito il procuratore di Lecce Cataldo Motta – tirando in mezzo ai loro guai anche parenti e amici e, solo quando hanno capito che non avrebbero mai potuto restituire le cifre che erano diventate enormi, si sono rivolte alla magistratura”. Al racconto degli usurati è seguita un’intensa attività investigativa, che ha portato i finanzieri del colonnello Nicola De Santis e del maggiore Giuseppe Dinoi ad intercettare interessanti conversazioni telefoniche, grazie alle quali è stata ricostruita la rete dei prestiti usurai e anche l’elenco delle presunte vittime.

Altri sei imprenditori (di Neviano, Nardo’, Gallipoli, Parabita e Galatina), ascoltati come persone informate sui fatti, hanno poi confermato le accuse nei confronti del gruppo criminale di Aradeo. La finanziaria, in sostanza, operava sul territorio come fosse una banca, senza averne però le autorizzazioni. Raccoglieva i risparmi dei clienti, che li affidavano ai Minerba ignari della loro reale attività, e con i soldi messi insieme avviava i prestiti nei confronti di imprenditori in difficoltà. I finanziamenti venivano proposti tramite lo sconto di assegni post-datati e l’acquisizione di idonee garanzie quali cambiali, assegni emessi da terzi garanti e beni immobili come case e negozi.

Per ottenere il pagamento dei prestiti, le persone finite in manette avrebbero utilizzato pressioni continue, non disdegnando di minacciare pesantemente anche una donna all’ottavo mese di gravidanza, che era finita nel loro meccanismo perverso. Le indagini hanno consentito di verificare che, in passato, alcune operazioni di sconto assegni erano state effettuate anche in favore di esponenti del clan Coluccia. Grazie a tale sistema gli indagati erano riusciti a costruire un vero e proprio impero, del valore di 10 milioni di euro, che è finito totalmente sotto sequestro. I sigilli sono stati apposti all’Istituto Popolare Salentino, a tre locali commerciali, quattro appartamenti, cinque autoveicoli, diciotto rapporti bancari-postali, affidati a un custode giudiziario.

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(lo staff)